I conflitti nazionali e internazionali ci espongono, impreparati, a un trittico di crisi incombenti: le emergenze sanitarie globali, un cambiamento climatico devastante e la rivoluzione dell'intelligenza artificiale. Gli americani non riescono a mettersi d'accordo tra loro su nessuna questione politica rilevante, i leader statunitensi e cinesi si comportano come se fossero intrappolati in una nuova Guerra fredda e gli eserciti sono tornati a scontrarsi in Europa. Stiamo così sprecando l'opportunità di fronteggiare le sfide a cui presto nessuno potrà più sfuggire. Nei prossimi anni l'umanità dovrà combattere virus più letali e contagiosi del Covid. L'intensificarsi del cambiamento climatico metterà in fuga decine di milioni di rifugiati e ci costringerà a ripensare i nostri stili di vita. La sfida più pericolosa sarà però quella delle nuove tecnologie, che riplasmeranno l'ordine geopolitico destabilizzando la società più velocemente della nostra capacità di reazione. La buona notizia? Alcuni leader politici, decisori aziendali e cittadini lungimiranti stanno unendo le forze per affrontare queste crisi. La domanda è se riusciranno a lavorare abbastanza bene e velocemente per contenerne le ricadute e, soprattutto, se sapremo usare queste crisi per reinventare il nostro cammino verso un mondo migliore. Tracciando paralleli con strategie di ieri e di oggi, dal Piano Marshall al Green New Deal, Bremmer indica un piano d'azione per sopravvivere e prosperare anche nel XXI secolo.
«La mia convinzione è che abbiamo bisogno di un Paese innovatore, in tutte le sue articolazioni e declinazioni, e di uno Stato che nel Paese abiliti e sostenga imprese, cittadini, associazioni nel promuovere innovazione, a servizio dello sviluppo e del benessere di tutti noi.» È questa la tesi che Fuggetta pone al centro del libro, contro le tante occasioni in cui invece si chiede allo Stato di porre rimedio a ogni tipo di stortura, calamità naturale, sfortuna economica, torto o colpo della sorte. Ogniqualvolta sorge un problema che come singoli non sappiamo o non vogliamo affrontare invochiamo infatti l'intervento dello Stato, spesso immaginandolo come un'entità terza rispetto a noi, dotata di risorse infinite o comunque indipendenti dalle nostre, con doti taumaturgiche capaci di rimediare a qualunque male o ingiustizia del mondo, e portatore di virtù e moralità superiori a quelle dei privati, siano essi singoli cittadini o imprese. Ma lo Stato deve fare alcune cose e non altre: soprattutto non dobbiamo pretendere o anche solo immaginare che sia lo Stato a gestire in prima persona, come operatore economico, i temi dell'innovazione, della crescita e dello sviluppo. Non è lo Stato imprenditore e innovatore che ci salverà. Tutto il Paese deve crescere, svilupparsi ed essere innovatore, in tutte le sue articolazioni e strutture, certamente con un corretto ruolo e sostegno del soggetto pubblico. Perché a un Paese che si identifica con lo Stato, un Paese con uno Stato imprenditore, innovatore e ridistributore della ricchezza prodotta, preferiamo un Paese della responsabilità civile, degli investimenti a servizio della collettività, delle pari opportunità, della solidarietà vera con chi fa fatica, della valorizzazione delle capacità di ciascuno di noi.
Effetto Quarantena. Chi siamo e cosa saremo nella stagione del Covid-19" è una riflessione psicosociale sugli effetti delle misure di contenimento volute dai governi a livello globale. Che emozioni abbiamo provato chiusi in casa? Che fine ha fatto la nostra adrenalina senza una vita sociale? Come si sfoga la rabbia? Che rimedio c'è alla paura di ammalarsi? Esiste davvero lo smartworking o è una chimera? Stravolgendo i concetti di spazio e tempo, Luca Pani e Maria Elena Capitanio hanno provato a guardare dentro la mente umana per fare ordine e trovare la luce che possa portare fuori dal tunnel dell'emergenza Covid-19. Il mondo che ci aspetta dalla fase 2 in poi sarà segnato dalla crisi economica, da un cambio di volto della società e da un modo di relazionarsi agli altri che per forza di cose porteranno a una nuova grammatica della salute, della politica, della finanza, ma anche dei sentimenti.
Tra XII e XIII secolo molti esponenti dell’élite cittadina romana si dedicarono ad attività creditizie di rilievo. “Banchieri del papa”, creditori e finanziatori di sovrani e principi della Chiesa e della Terra, gestirono grandi capitali finanziari; la loro presenza in Europa, e in particolare alle fiere della Champagne, fu precoce e costante, anticipando in molti casi quella di mercanti-banchieri provenienti da altre città dell’Italia comunale.
Il loro successo economico dipese molto sia dai rapporti che ebbero con i pontefici e la curia papale sia dalle favorevoli condizioni che poteva offrirgli la stessa città di Roma, Caput Mundi. Ma a differenza degli altri banchieri italiani – ai quali gli storici hanno dedicato numerosi e importanti studi – i mercatores romani sono rimasti nell’oblio, la loro è stata di fatto una “storia negata”.
Grazie a questo libro, che è soprattutto uno studio di storia sociale mirante a mettere in luce il forte dinamismo della società romana del tempo, i mercanti-banchieri dell’Urbe possono finalmente trovare la meritata collocazione nella grande storia del credito e della banca nel medioevo.
Conosciamo i Longobardi? Oppure ne abbiamo soltanto un ricordo scolastico? Popolo in armi, essi iniziarono la loro migrazione verso sud, movendo dalle brume Scandinave e sempre con le armi conquistarono la loro sopravvivenza. Giunsero in Italia nel 568 guidati da Alboino e ne vollero fare la loro patria, apprendendo la civiltà romano-italica e la religione cattolica, difendendola. Combatterono contro i Franchi, i Bizantini, gli Arabi, gli Slavi; senza la loro determinazione oggi l'Italia sarebbe diversa, sicuramente non nostra. Il testo, con laica imparzialità, intende riscoprire la storia dei Longobardi non solo per evidenziare le iniziali diversità dal mondo latino, ma per valorizzare la volontà che tra mille "avventure" li farà, infine, sentire Italiani. Alboino, Autari, la splendida Teodolinda, Agilulfo e Rotari sono i magnifici guerrieri che di fatto hanno partecipato alla costruzione della storia d'Italia. Il paradigma del testo è riconoscere dignità ai Longobardi, perché lo hanno meritato, perché sono i nostri padri.
Indipendentemente dalla strada che ci condurrà alla meta - un evento singolare in grado di trasformare tutto in un solo istante, piuttosto che un cambiamento non troppo differente da quelli che hanno segnato passaggi d'epoca nel passato -, il mondo che ci accoglierà nel 2050 sarà un luogo molto diverso da oggi, e senza una guida adeguata il rischio di perderci appare elevato. E non illudiamoci che sia possibile continuare a non pensarci: il futuro, con le sue straordinarie novità, le esperienze inattese, l'estrema complessità, le opportunità e le minacce che porta con sé, richiede di arrivarci attrezzati. Se dunque vogliamo scoprire almeno qualcosa di ciò che ci aspetta, questo è il libro giusto per farlo, evitando di lasciarci trasportare dal tempo. A quale clima dobbiamo prepararci e che cosa portare con noi? Che cosa si mangerà nel 2050? Come ci si vestirà? In che tipo di città vivranno le persone? Dove andranno a divertirsi i giovani? Quali saranno le esperienze da non perdere? Quali le lingue, le monete, le cure? Come sarà fare shopping e con quali mezzi ci sposteremo? In un pianeta abitato da robot, cyborg e specie animali che si credevano estinte, ogni aspetto sarà molto distante dalle nostre attuali abitudini ma le indicazioni contenute in queste pagine saranno di grande aiuto per tutti, viaggiatori abituali del futuro o neofiti della materia in procinto di affrontare il loro primo viaggio.
La scelta islamica della statualità come forma della religione mirata all'adozione del diritto statale come diritto della Religione-Stato, un diritto positivo erga omnes configurato dai detentori del sapere religioso; tale statualità utilizza la cogenza del potere statuale per imporre un diritto su misura per musulmani, e non per non credenti e apostati, soggetti questi ultimi a pena capitale; un diritto positivo, per giunta, cristallizzato nei principi della immutabile sharia medievale, ancor oggi invocata da molti musulmani. Max Weber definiva un secolo fa il diritto musulmano un diritto non di tutti, ma "di ceto", ciò dei soli suoi credenti, un particolarismo giuridico, non certo un fenomeno di dignità universale. L'uscita da tale 'particolarismo' possibile solo abbandonando l'ibridazione 'Religione-Stato', riconducendo la Religione al precetto coranico di una fede senza costrizione; e comunque in solidarietà con i progressi storici dell'umanità. I musulmani, 'moderati' e non, sembrano storicamente destinati a separare la religione dalla politica, e cos' le leggi dei legislatori attuali dai vincoli di sistemi teocentrici obsoleti, accettando un quadro di eguaglianza come cittadini senza riserve mentali e doppie lealtà.
La diffusione dell'informatica e delle sue applicazioni è oggi inarrestabile. Innovazioni hardware e software si susseguono a ritmo incalzante, proiettando la disciplina verso il futuro, ma è legittimo chiedersi quali siano e dove si possano rintracciare le sue radici. E anche l'Italia ha la sua storia da raccontare. Una storia che si intreccia con la biografia di un personaggio poco noto al grande pubblico, Mario Tchou, e con i destini della Olivetti, azienda multinazionale nota ai più per la produzione e la commercializzazione di macchine per scrivere e da calcolo. È infatti Mario Tchou a guidare l'iniziativa di ricerca e sviluppo dell'azienda di Ivrea e sarà la sua équipe a progettare e realizzare il primo computer a transistor commerciale italiano e uno tra i primi al mondo, l'ELEA 9003. Purtroppo, però, non tutte le storie hanno un lieto fine e, alle debolezze strutturali dell'azienda, si sommano i destini avversi dei due principali sostenitori del Laboratorio, lo stesso Adriano Olivetti e Mario Tchou. Il libro conduce alla scoperta della travagliata esistenza del Laboratorio di Ricerche Elettroniche Olivetti e di Mario Tchou, grazie anche a numerose interviste e testimonianze di chi ha vissuto in presa diretta quel periodo.
In occasione del tricentenario della nascita di Jean-Jacques Rousseau l'Armando ha deciso di ripubblicare questo grande classico della pedagogia con l'intento di rendere omaggio all'illustre pedagogista svizzero, ripercorrendo le tappe salienti di questo capolavoro formativo a conferma dell'originalità e attualità del suo pensiero, nel contesto della pedagogia contemporanea. Oggetto di aspre critiche a causa del concetto innovativo di "educazione preventiva", quest'opera rappresenta un classico di tutti i tempi, fondamento e ispirazione per tutte le teorie pedagogiche che si sono succedute.
Aldo Capitini (1899-1968), il filosofo italiano della nonviolenza ed una delle più significative voci europee della cultura della pace, figura di spicco dell’antifascismo liberalsocialista, promotore nell’Italia repubblicana di vaste esperienze di democrazia diretta e “dal basso”, intellettuale ritenuto da molti un maestro di vita civile e di moralità laica, oggi può essere considerato anche un classico della pedagogia italiana. Questo suo primo importante scritto pedagogico raccoglie i temi maggiori delle riflessione capitiniana, ancora oggi di sconcertante attualità.
Raccolti in un unico volumetto, vengono pubblicati i tre discorsi sull'educazione di Martin Buber, uno dei maggiori filosofi del 900. La raccolta focalizza in temi precisi l'approccio di Buber verso "l'educativo", che abbraccia in prima istanza la figura dell'educatore.