Dopo aver riconosciuto la libertà religiosa nel 1990, dal 1997 la Russia ha ricostituito un sistema confessionista che rispecchia quello zarista, rinnegando il separatismo proclamato nella Costituzione. Alla Chiesa di Stato viene assegnato un ruolo privilegiato e si ricostituisce la triade Ortodossia, Autocrazia e Spirito nazionale. Mosca si ripropone come Terza Roma, il cui territorio canonico esorbita dai confini dello Stato. Sorgono di conseguenza dei conflitti tra le Chiese ortodosse in Ucraina, Estonia e Moldavia. Il rapporto sinfonico che si è consolidato tra Kirill e Putin porta alla sacralizzazione dell'identità nazionale russa e alla conseguente discriminazione delle minoranze religiose. Nel saggio che conclude questo volume, Stefano Caprio mostra come la Russia di Putin sia un'incarnazione della Russia di sempre: un grande Paese dalla vocazione universale e incompiuta, un popolo messianico non per elezione divina, ma per conseguenze della storia, una terra senza confini in cerca di una nuova definizione. Dopo un secolo segnato dall'ateismo più sistematico e totalitario, l'Ortodossia russa è rinata come l'Uccello di Fuoco della mitologia slava. La guida suprema di questa rinascita, Vladimir Putin, ha sottomesso ogni possibile avversario e ha mostrato al mondo la volontà della Russia di tornare a essere la superpotenza di un tempo; la Chiesa del patriarca Kirill cerca di guardare al terzo millennio come alla nuova era del cristianesimo universale.
Il colpo di Stato del 1917 soffoca i fermenti di rinnovamento che dalla fine del secolo XIX si sviluppano nella società civile e nella Chiesa e che trovano espressione nella legge sulla tolleranza religiosa del 1905 e nella convocazione, dopo anni di titubanze, del grande Concilio del 1917-1918 che delibera la ricostituzione dell'istituto del Patriarcato, abolito da Pietro il Grande nel 1721. Lo scontro del nuovo regime con la Chiesa è segnato sin dall'inizio dalla violenza e dalla coercizione cruenta, che viene sospesa solo a seguito dell'invasione nazista, quando Stalin si rende conto che per aggregare la popolazione contro il nemico è necessario ricostituire l'antico legame tra Ortodossia e patriottismo, concedendo alla Chiesa uno spazio di libertà. Prende allora avvio la Nep religiosa staliniana, la quale ha vita assai breve, lasciando il posto a una fase di asservimento del Patriarcato di Mosca ai fini della politica sovietica, durante la quale si procede nell'URSS e nei Paesi limitrofi alla soppressione violenta della Chiesa greco-cattolica e alla sua forzata aggregazione all'Ortodossia, nel dichiarato tentativo di dar vita a un Vaticano moscovita, finalizzato ad assegnare alla Chiesa di Mosca, pienamente controllata dal regime, un ruolo di guida sul piano internazionale al servizio della politica estera comunista. Nel contempo riprende dal 1947 una nuova fase di intolleranza che trova il suo culmine con Chruscèv.
L'era imperiale è dominata dalla figura di Pietro il Grande, il quale, affascinato dal progresso tecnologico, decide di modernizzare la Russia. L'imposizione del taglio della barba, segno di appartenenza all'Ortodossia, l'obbligo di portare abiti di foggia occidentale e i comportamenti blasfemi del sovrano inaspriscono la frattura tra i seguaci dello scisma dei veteroritualisti, emarginati e perseguitati, e i fedeli della Chiesa di Stato, completamente asservita all'autocrate. Pietro porta a termine un programma di laicizzazione al quale si ispireranno i regnanti del XVIII secolo, in particolare Caterina II, e decreta l'abolizione del Patriarcato, affermando: "Dio mi ha concesso di governare i laici e il clero e pertanto io sono per loro sovrano e patriarca", optando, quindi, per un cesaropapismo di stampo protestante e allontanandosi irrimediabilmente dal modello bizantino della sinfonia tra sacerdotium e imperium. La Chiesa, denominata Ente della professione ortodossa, viene trasformata in dicastero statale e si riduce a mero instrumentum regni. La storia di questa Chiesa è quella dello Stato stesso e lo sarà anche al tempo dei piissimi zar dell'Ottocento. L'imposizione di valori estranei al mondo russo crea una divisione tra i cultori della ricca tradizione spirituale della Russia (slavofili) e i partigiani del modello petrino (occidentalisti). Queste due antitetiche correnti di pensiero hanno, peraltro, in comune la convinzione di una missione salvifica della Russia.
Il volume racconta il confronto tra la politica costantiniana, la tradizione imperiale romana e le grandi tradizioni religiose mediterranee. Nel tessuto della città antica a lungo le appartenenze religiose si erano sovrapposte e intrecciate, con scambi fecondi e convergenze inattese. Vi prendevano parte piena anche i fedeli cristiani, sempre più numerosi. Quando sancì la pace religiosa, Costantino scelse il Dio cristiano come protettore dell'impero e garante della coesione sociale. Non volle sottomettergli a forza gli altri culti e fedi poiché pensava che nella concordia e nel tempo tutti si sarebbero convinti della sua verità. Governò i culti tramite la legge e cercò netti confini nella dottrina e nella pratica tra le diverse comunità religiose. Il suo progetto fu in parte assecondato e in parte contrastato da cristiani, pagani ed ebrei. Del precario equilibrio di antico e di nuovo realizzato in quei decenni restano testimonianze evidenti nelle immagini auliche e di uso comune negli interventi urbanistici e architettonici dell'imperatore a Roma, Costantinopoli e Gerusalemme. Il mondo costantiniano durò poche generazioni. L'esigenza delle autorità cristiane di definire in modo certo l'appartenenza dei fedeli, la loro volontà di affermare la propria libertà dal rapporto imperiale e la mancanza di imperatori della levatura politica e culturale di Costantino, in grado di governare la complessità religiosa, ne causarono la fine.
Nell'enorme bibliografia sull'argomento, spesso ha prevalso un atteggiamento tendente a vedere nell'antisemitismo un'eccezione nel quadro complessivo della cultura europea. Al contrario, l'antisemitismo è da leggere quale componente di un pensiero politico "rivoluzionario" ostile alla società borghese liberale e in aperta concorrenza col socialismo e il marxismo. L'antisemitismo si presenta come un'ideologia di mobilitazione dei ceti medi timorosi di uno sviluppo capitalistico che distrugga la proprietà, declinandosi quale progressiva finanziarizzazione dell'economia. Da qui, di conseguenza, la distinzione degli economisti antisemiti fra un capitalismo positivo e il capitalismo aggressivo della "finanza ebraica", la domanda di un "socialismo dei piccoli proprietari", l'elaborazione del concetto di "razza" quale nuovo legame sociale che sostituisca quello, ritenuto ormai corroso, della società borghese liberale, e, soprattutto, il progetto di restituire al "politico" quel primato che, in epoca capitalistica, sembra demandato alla "finanza ebraica". A questo punto, l'antisemitismo, dopo che per decenni, attraverso sociologi ed economisti, da Toussenel a Hamon, da Auguste Chirac a Malynski, aveva polemizzato contro la finanziarizzazione dell'economia, è ormai politicamente maturo per incrociare, subito dopo la prima guerra mondiale, le suggestioni dei movimenti politici totalitari, portando in dote una critica corrosiva della società borghese liberale.
La Roma tardomedievale e del primo Rinascimento dispone di un genere di fonti che altre città non hanno, neanche grandi potenze della tradizione archivistica come Venezia e Firenze. Sulla base dei registri doganali, conservati in maniera quasi continuativa dal 1445 al 1485, Esch dipinge un quadro della Roma proto-rinascimentale da una prospettiva inusuale. Dopo un lungo letargo, nella città tutto ricomincia a muoversi. Attraverso le analisi delle importazioni per nave e per terra Esch ritrae uno scenario in cui storia dell'arte, storia sociale e storia della cultura si intrecciano. Gli oggetti, i generi alimentari, perfino gli animali che entrano nell'Urbe sono l'indicatore più fedele della vita reale che vi si svolge. Ne emerge confermato il peso della Curia romana (e della dimensione religiosa) nella vita economica della città: senza papa Roma appare davvero una città mutilata, due terzi di se stessa. Prefazione di Bernard H. Stolte, introduzione di André Vauchez.
L'attenzione portata alla circolazione europea delle grandi correnti artistiche e quella dedicata alle varie espressioni delle "arti minori" costituiscono la struttura di questa sintesi dell'arte medioevale, che copre un arco temporale che va dal IV secolo alla prima metà del XV.
Le difficoltà in cui si trova l'Italia, più di altri Paesi, a centocinquant'anni dalla sua unificazione politica, sono sotto gli occhi di tutti. Tale condizione ha influito negativamente sul dibattito pubblico e sul carattere fortemente discontinuo e frammentato delle stesse celebrazioni. Non sono però mancati sforzi di approfondimento e iniziative volte a far emergere dimensioni e realtà tanto importanti quanto tenute ai margini del sistema della comunicazione, e ancor prima nella formazione scolastica. L'apporto degli scienziati e dei tecnici alla costruzione e al progresso dell'Italia unita è il gran tema che viene affrontato in questo volume, frutto di un convegno multidisciplinare promosso dalla Fondazione Micheletti di Brescia in collaborazione con ASSTI (Associazione per la Storia della Scienza e della Tecnica in Italia) e il Politecnico di Milano. I contributi di studiosi quali Giuseppe Bertagna, Carlo G. Lacaita, Vittorio Marchis, Andrea Silvestri e numerosi altri forniscono una panoramica complessiva, concentrando l'attenzione sul complesso rapporto tra scienza, industria, scuola, al centro del dibattito culturale ma non sempre dell'azione politica. Contributi analitici sono dedicati a specifiche discipline, istituzioni, momenti storici. Un'intera sezione riguarda il Politecnico di Milano, di cui, in termini non retorici, si mette in evidenza il ruolo di rilievo internazionale nello sviluppo della scienza e della tecnica lungo la storia dell'Italia unita.
Tra l'Europa centro-occidentale e l'Asia centro-settentrionale si estende un immenso spazio bicontinentale che si chiama Russia. Negli ultimi tre secoli questo spazio si è chiamato Impero russo poi Unione Sovietica e prima ancora Regno moscovita; il suo nucleo è costituito dai russi preponderanti su una miriade di altre popolazioni: la lingua unificante è quella russa, come russa è la cultura egemone. Così è stato fino a due decenni fa, quando, dopo l'impero zarista, crollato nel 1917, anche quello comunista si è disgregato, dando origine ad un nuovo stato, la Federazione russa. Questo grandioso sommovimento in un'area vasta e cruciale come quella eurasiatica, oltre a creare una nuova realtà geopolitica, ha avuto ripercussioni di portata mondiale. Dopo il 1991, data della fine dell'Unione Sovietica, la Russia ha perso quella centralità che, nella sua ipostasi imperial-comunista, aveva avuto sulla scena mondiale, soprattutto dopo la guerra vittoriosa contro la Germania nazista, e grazie al messianismo ideopolitico derivato dalla Rivoluzione d'ottobre che ne aveva fatto il fulcro di un'organizzazione internazionale. La nuova Russia resta però uno dei grandi attori del gioco politico globale. Conoscere questa nuova grande realtà che è europea nonostante la sua bicontinentalità, dando voce soprattutto alle forze critiche della nuova Russia, è di essenziale importanza, dati i legami di vario titolo (politico, economico, culturale) che legano il nostro Paese alla Russia.
Il presente volume, che interesserà piu’ ambiti disciplinari, è un’importante opera di Storia realizzata da un giurista da sempre studioso del mondo russo. La storia della Chiesa russa è segnata da uno stretto rapporto di unione tra Sacerdotium e Imperium che trova il suo fondamento nella dottrina bizantina della sinfonia dei poteri, ma che, fatti salvi periodi assai brevi, si è realizzato come totale e incondizionata subordinazione dell’autorità spirituale a quella temporale. Il fattore religioso permea tutta la storia della Russia: basti pensare all’idea di Mosca Terza Roma e alla sua negazione, che alla fi ne del XVI sec. si esprime nell’Unione con Roma delle eparchie rutene della Confederazione polacco-lituana, o nella metà del secolo successivo al grande Raskol o scisma dei Vecchi credenti, i quali danno vita ad una Chiesa nazionale contrapposta a quella ufficiale, o ancora, in negativo, a cavallo tra XVII e XVIII sec. al periodo di Pietro il Grande, che trasforma la Chiesa in un dicastero statale, impone un modello di società totalmente estraneo alla tradizione russa e dà inizio alla grande frattura che porterà alla contrapposizione tra slavofili e occidentalisti, tra fautori del modello europeo e di quello asiatico e successivamente all’imposizione intollerante del bolscevismo. Dopo l’esperienza sovietica, attentamente analizzata dall’autore, prevarrà ancora una volta il rapporto di stretta sinergia tra Chiesa e Stato dell’epoca zarista e, siamo ai giorni nostri, riprenderà vita un sistema confessionista, intollerante nei confronti delle religioni considerate estranee alla tradizione del Paese. Il volume esamina diffusamente anche l’evoluzione storica dei rapporti dello Stato russo con la Chiesa dei Vecchi credenti e con quella greco-cattolica, analizzando le cause che ne hanno favorito la nascita, e gli attuali rapporti della Chiesa Ortodossa Russa con le altre Chiese e Confessioni. Particolarmente attuali sono le pagine sul progetto di unione tra cattolicesimo e ortodossia elaborato da Petro Mohyla, elevato all’onore degli altari dalle Chiese ortodosse ucraina (Patriarcato di Mosca), romena e polacca nel 1996 e dalla Chiesa Ortodossa Russa nel 2005.
Il libro a più autori, reca anche un lungo pezzo inedito di Ivan Della Mea. Un libro che è anzitutto espressione di affetto per un uomo che con le sue canzoni, i suoi scritti e la sua presenza è riuscito ad interrogare e far comunicare tra loro mondi diversi che, nella triste Italia di questi anni, a malapena considerano l’esistenza l’uno dell’altro.
Una trama di relazioni culturali unisce sin dal primo Cinquecento Milano, l'Italia e il Messico. Si tratta di rapporti fondati sulla circolazione di notizie, libri, idee, uomini e oggetti..., che meritano di essere riportati alla superficie della storia, seguendone la maturazione e le trasformazioni nel corso dei secoli sullo sfondo dell'ascesa e del declino della "preponderanza spagnola" nel quadro del colonialismo europeo, del progetto di riforma cattolica nella prima età moderna, dell'intensificazione e della crisi dei legami atlantici durante il Settecento "riformatore", dell'entusiasmo e del disincanto suscitati al di qua e al di là dell'oceano dall'Indipendenza dell'America Spagnola nel XIX secolo, della ridefinizione delle relazioni Europa-America Latina lungo il Novecento delle rivoluzioni, dei totalitarismi e della Guerra Fredda e dell'impatto della globalizzazione contemporanea. Il Bicentenario dell'avvio dell'Indipendenza (1810) e il Centenario dell'avvio della Rivoluzione (1910) costituiscono occasioni importanti per accingersi alla riscoperta dei tempi e delle forme dell'incontro a distanza fra Milano, l'Italia e il Messico. Una riscoperta che i contributi presentati nel volume offrono con l'apporto di varie discipline e uno sguardo attento al presente e alle prospettive future.
Per la prima volta in italiano la più completa opera, scritta a cavallo del 1920, di critica dell’aberrazione della dittatura bolscevica. Critica "dall’interno", da parte del socialista e grande storico Mel´gunov, che unisce alla qualità letteraria una testimonianza documentaria senza paragoni. Non un’opera anti-rivoluzionaria, ma un’opera che denuncia il totale tradimento della larga volontà popolare di una transizione politica in Russia verso socialismo e democrazia. Il terrore rosso in Russia è un libro che non solo comprende a fondo carattere e sostanza degli eventi storici a ridosso dei quali è stato scritto, ma li vive e li soffre in prima persona, in una strenua battaglia politica e sociale, offrendo al lettore una testimonianza dirompente e ineludibile di un’epoca feroce.
Il volume presenta un insieme di 53 tavole che illustrano le "gesta mirabili" di san Carlo Borromeo ideate da un religioso di Milano, Cesare Bonino, in segno di omaggio alla città che aveva visto dispiegarsi l'avventura della riforma della vita cristiana proposta dal grande cardinale lombardo. Oggi, a distanza di quattro secoli, in occasione dell'Anno Carlino, che ne ricorda il 400° anniversario, queste tavole vengono riproposte dalla presente edizione al lettore moderno. Accompagnate dalla trascrizione dei testi, esse sono introdotte da due brevi testi che ne danno una chiave di lettura storico-artistica di Danilo Zardin e di Simonetta Coppa.
La drammatica vicenda di una famiglia ebrea consente di leggere la grande storia con rinnovata profondità
Tra le 8.500 persone arrestate, uccise o deportate durante l’occupazione tedesca in Italia, in quanto considerate di "razza ebraica" dai persecutori, gli "ebrei stranieri" furono il gruppo percentualmente più colpito dagli arresti e dalle spedizioni verso la fabbrica della morte. Molti fra loro erano già in fuga da anni - in un’Europa sempre più consegnata alla barbarie del razzismo di Stato - e avevano trovato un rifugio precario in un Paese come l’Italia, che pure era parte del sistema di discriminazioni che si stava realizzando sul continente. Hans e Robert Lichtner erano due ragazzi viennesi; avevano 15 e 11 anni quando giunsero in Italia e la loro vita cambiò per sempre. Di fronte alla persecuzione Hans, Robert e i loro genitori ebbero, per difendersi, solo se stessi e la forza della loro coscienza; non erano dotati di altre armi che della consapevolezza della dignità umana. Usarono quest’arma nel modo migliore, ergendo la propria esistenza a difesa di se stessa. Ed ebbero la ventura di incontrare altri uomini che nutrivano la medesima fede nella dignità umana. Questo libro rappresenta perciò in primo luogo la ricostruzione, su base archivistica, di una vicenda individuale, cioè del destino di esistenze ordinarie nell’Europa razzista degli anni ’30 e ’40 del Novecento. In quanto emblematica, la vicenda che è al centro di questo libro vuole contribuire a disegnare un intreccio indiziario sul regime fascista, la sua natura, alcune delle forze che lo agitavano, tanto a livello generale quanto a livello locale. Tanto più che la ricerca storica sul fascismo non può fare a meno del metodo del case study, poiché - per la natura del regime e per il modus operandi degli uomini che lo guidarono (al centro e in periferia) - a volte proprio nei contesti individuali emergono dati di carattere generale, di cui si avrebbe altrimenti una percezione incompleta e sfumata. In particolare, la documentazione di cui si avvale il libro permette di meglio focalizzare l’atteggiamento di opposizione assunto nei confronti della politica razzista del regime da parte dei seguaci di Balbo, di alcuni fiancheggiatori cattolici del fascismo e di esponenti dell’episcopato meridionale, come l’arcivescovo di Chieti, mons. Venturi. Gli stessi documenti consentono di aggiungere nuovi elementi di valutazione storica sul carattere peculiare del fascismo abruzzese, sulla figura di alcuni prefetti operanti a Pescara durante il regime, su aspetti interessanti dei rapporti tra strutture ministeriali di regime e tra autorità fasciste, sul fenomeno dell’internamento dei civili durante il secondo conflitto mondiale.
Fra la caduta dell'Impero romano dalla piena affermazione della città comunale una zona d'ombra si proietta sull'iconografia urbana, attraversando la quale non s'incontrano immagini che riproducano singole città nel loro assetto complessivo o almeno in alcuni degli elementi reali. Solo fonti testuali permettono di indagare i processi di orientamento e di formazione di una nuova idea di città in rapporto alle strutture materiali in profonda evoluzione. Nell'assenza di convenzioni cartografiche condivise fondate sull'oggettivazione di uno spazio esterno al descrittore, le scritture cercano di ancorare i dati a griglie di riferimento fragili e soggettive. In mancanza di un modello di mappatura dello spazio urbano ne esistono molti, ma la pluralità degli approcci, consente di seguire in una fase fortemente dinamica della città, il processo di costruzione di mappe mentali, e l'emergenza degli elementi in base a cui saranno poi costruite le rappresentazioni grafiche dell'età moderna. Il testo prende in esame scritture di vario tipo, composte con diversi linguaggi in un lungo arco di tempo, e cerca di metterle in relazione con le strutture materiali cui sono riferite. Il testo analizza, dall'alto Medioevo all'inizio dell'età moderna, le carte che hanno descritto Roma per orientare i pellegrini, le scritture legislative e quelle celebrative che hanno accompagnato l'ascesa del Comune e i trattati teorici di architettura che elaborano nuovi modelli astratti di spazio urbano.
II Sacro Monte di Varallo è un luogo straordinario, nato nel 1500 su progetto di Bernardino Caimi per riprodurre e rendere visibili ai pellegrini quei Luoghi Santi della Cristianità che le vicende storiche rendevano sempre più distanti e pericolosi da raggiungere. L'attuale Sacro Monte segue certamente l'impronta di quel progetto originario ma reca anche i segni di numerose trasformazioni occorse nel tempo, soprattutto sotto l'impulso del Concilio di Trento. Accanto all'originaria funzione di replica dei Loca Sancta esso divenne anche teatro della vita di Gesù, rappresentazione degli episodi salienti del Vangelo. Questo libro si rivolge a coloro che, salendo al Sacro Monte di Varallo, intendono accostarsi non solo alla sua storia o al suo dispiegarsi artistico ma, partendo da questi, coglierne un più profondo significato e senso.
´ComíË possibile che la pi˘ audace, la pi˘ profonda delle rivoluzioni sia degenerata nella pi˘ completa schiavit˘? PerchÈ la rivoluzione russa nella sua prima tappa rappresenta il pi˘ moderno dei progressi sociali e nella tappa successiva Ë sboccata nella menzogna sociale, nello sfruttamento e nellíoppressione perfezionata? Che cosa puÚ spiegare una contraddizione cosÏ enorme?ª.
Sono queste alcune delle domande a cui Nel paese della grande menzogna riesce probabilmente a fornire la pi˘ completa e approfondita spiegazione che sia mai stata tentata, insieme ad un ridottissimo numero di altri lavori, sulla realt‡ della Russia ´comunistaª. Al punto che, considerato il suo valore testimoniale, potremmo azzardarci a definire tale scritto come una sorta di Odissea dei tempi moderni. Una narrazione avventurosa in cui Ante Ciliga Ë stato capace di decifrare, con una prosa al medesimo tempo densa e suggestiva, tutte le sfaccettature di quello che senza alcun dubbio rappresenta uno dei pi˘ complessi ´enigmiª presentatisi alla ribalta della storia in questo scorcio di fine millennio.
Dopo avervi soggiornato circa dieci anni esplorandone a fondo le molteplici variet‡ dei suoi paesaggi, i ´nuoviª rapporti economici e sociali scaturiti dalla Rivoluzione díOttobre, le alte sfere della burocrazia, il ruolo centrale occupato dalla polizia politica, le prigioni e líesilio siberiano, líautore Ë giunto allíamara constatazione che ´Ë pi˘ facile uscire dallíinferno di Dante che dalla Russia sovieticaª. E tuttavia egli Ë riuscito a sopravvivere ai suoi aguzzini e a consegnarci il distillato della sua straordinaria esperienza. Per queste ragioni non si puÚ che accogliere con favore líuscita di questa prima edizione critica e integrale in lingua italiana dellíopus magnum di Ciliga, che viene ora finalmente a colmare un vuoto durato troppo a lungo.
Quale rapporto una società imperiale ricca e matura sa instaurare con i gruppi che premono sui suoi confini e sono presenti al suo interno come coloni, militari regolari e gruppi armati, schiavi e servi domestici? Che relazione si costruisce tra le esigenze dell'impero e il disagio degli abitanti di città e campagne di fronte a presenze che utilizzano ma, quasi sempre, preferirebbero evitare? Cosa accade delle identità degli uni e degli altri in questo confronto? Il libro, costruito interrogando numerosi testi dell'epoca con commenti che offrono un sintetico percorso di lettura, fa incontrare la viva realtà della società romana e post-romana in alcuni avvenimenti maggiori ma soprattutto negli episodi della vita concreta, nelle aspettative e negli ostacoli sortì dal contatto tra "romani" e "barbari", e nelle soluzioni che ognuno degli interlocutori elabora riguardo al modo in cui convivere.
Il volume ripercorre la storia dei movimenti dei lavoratori nel secolo scorso. In particolare ci si sofferma sul periodo che va dal secondo dopoguerra ad oggi e sulla stretta relazione di questa storia con quella del capitalismo italiano. Una storia fatta di divisioni all'interno del movimento, ma anche di momenti di grande unità. Durante i primi anni Settanta, con l'inizio dell'attuale fase dello sviluppo capitalistico a livello mondiale, i movimenti cominciano ad assumere diverse posizioni nei confronti della controparte. Da un lato si insiste sulla concertazione e sulla partecipazione, dall'altro si ritorna ad una visione più politica che non tribunizia del sindacato.