La raffinata riflessione del cardinale Sarah analizza, quasi disseziona, una celebre frase di Romano Guardini, "Vorrei aiutare gli altri a vedere con occhi nuovi", assumendola come compito, oggi più di ieri necessario, della guida dei fedeli verso la comprensione dei Misteri Cristiani. L'evento da vedere e da cui si è visti è sempre Cristo; è Lui che ci dà la forza di trasformare il mondo. Gli occhi nuovi, scrive il cardinale Sarah, richiamando il pensiero di Benedetto XVI, sono quelli che riescono a vedere che la bellezza è una forma superiore di conoscenza, che tocca l'uomo con "tutta la grandezza della verità". Perché non pensare quindi che la bellezza sia anche una missione affidata alla Chiesa di "continuare a convertire, dunque a umanizzare il mondo"?
Profondo indagatore dell'animo umano, Vittorino Andreoli affronta il tema "sopportare pazientemente le persone moleste", una delle opere di misericordia spirituale, mettendo in campo la sua consapevolezza di psichiatra.Le opere di misericordia sottendono un modello di umanità (un ideale) a cui tutti, credenti, non credenti, atei, gnostici,dovrebbero tornare ad ispirarsi.
La preghiera è una parte vitale della vita del cristiano, ancora oggi, un tratto distintivo del discepolato evangelico. Molti, però, ancora identificano la preghiera con la recita di (sante e valide) formule. Ma è solo così? Seguendo le orme del Nazareno, il grande orante, possiamo riscoprire il grande dono della preghiera cristiana. E capire in che senso è indispensabile per l'intercessione dei vivi e dei defunti.
Ciò di cui l'uomo contemporaneo ha urgente bisogno è di "rientrare" nella creazione e di capire che non è un essere indipendente che possa ergersi sopra la distruzione di tutto il resto della natura: noi ci relazioniamo alle creature precisamente come co-creature, siamo cioè membri di una comunità interdipendente della creazione. Per l'autore questa è la prospettiva più saggia della Bibbia ed è anche coerente con la scienza ecologica contemporanea che ci ha spiegato le intricate interconnessioni da cui dipende la vita del pianeta.
Il testo propone una rilettura ecologica che sostituisce il modo tradizionale, antropocentrico, di leggere il racconto della creazione: da questa nuova prospettiva emerge che non è la terra che è stata affidata all'uomo, ma l'uomo che è stato affidato alla terra. L'autore invita poi a considerare la creazione non "dal principio", bensì "dalla fine", in visione escatologica. In conclusione, egli affronta il problema della morte e dell'uccidere, sia nell'ambito degli animali che in quello degli uomini, e il suo superamento nel regno messianico: un mondo senza morte.
Il testo si sofferma sul significato del perdono nella religione ebraica: la richiesta di "perdono" non avviene per delega, ma può partire solo dai responsabili viventi, esige il loro pentimento, e va rivolta a quanti sono stati da loro offesi, comportando la riparazione delle conseguenze arrecate sul piano morale, penale, civile ed economico. Nel dialogo col cristianesimo emergono interessanti punti di convergenza: il Dio della Bibbia ebraica, dice il rabbino Di Segni, "è giustizia e amore [...]. Nulla avrebbe senso nell'ebraismo senza il perdono. E l'esortazione 'ama il tuo prossimo come te stesso' è anche evangelica ma viene dalla legge mosaica".
Che senso ha ammonire i peccatori in una società come la nostra, dove vale "la regola dell'individualismo per cui ognuno, per rispetto apparente, lascia da solo l'altro di fronte ai propri errori"? Di contro alla pretesa autosufficienza di chi si illude di bastare a se stesso, Meluzzi spiega, con il supporto delle sacre scritture, di sant'Agostino e dell'autorevole lezione di papa Benedetto, che ammonire l'altro "non significa giudicarlo al fine di allontanarlo ma vuol dire legarsi a lui per aiutarlo" e che la correzione "ha come motivazione principale la fraternità".
La riflessione sul tema della "narrazione" si articola in tre momenti: 1) dapprima ne scopre la matrice profonda che è la "parola" quale evento archetipo dell'essere, logos per mezzo del quale tutte le cose sono state create. La riflessione passa dunque a considerare; 2) il racconto nel quale la parola vive come evento fonetico, grafico e simbolico, mettendo insieme l'eterno e lo storico, l'assoluto e il relativo, la trascendenza e l'immanenza, la divinità e l'umanità. Il terzo momento della riflessione introduce un altro protagonista della vicenda della narrazione e cioè 3) colui che ascolta, perché il racconto suppone un elemento dialogico, suppone un'altra persona: siamo noi che ascoltiamo il Suo racconto e Lui che ascolta i nostri racconti.
Chi è il protagonista di quel grande acconto che è la Bibbia? In verità, spiega l’autore, i protagonisti sono due, Dio e l’uomo: Dio che viene incontro agli uomini per piantare la sua tenda in mezzo a loro, e noi, gli uomini e le donne che, lungo i secoli, camminiamo in esodo dalle nostre terre e da noi stessi, verso di Lui, per abitare infine nella sua casa.
Attraverso un’acuta analisi di alcune tra le pagine più significative dell’Antico e del Nuovo Testamento, scopriamo di poter contemplare il farsi della storia di Dio nel farsi della storia dell’uomo, sino a che quest’ultima, la storia dell’uomo, diventa il luogo e il racconto della storia di Dio.
A partire dall'esperienza umana elementare che attesta l'apertura originaria dell'uomo verso il trascendente, in queste pagine di esemplare chiarezza l'arcivescovo di Milano sviluppa la sua riflessione sui grandi temi che stanno al centro del cristianesimo e sulle "domande ultime" alle quali può dare risposta l'intelligenza della fede: il nesso vocazione-conversione-missione, la fede, la ragione, il mistero della morte e resurrezione di Cristo, il problema del male, il valore della testimonianza.
Chi è il prossimo? Che cos'è la libertà? La morte è l'ultima parola? Il confronto tra il filosofo Emanuele Severino e il teologo Angelo Scola indica con forza che il parlare della morte è un tema che annuncia, sotto le ceneri dello smarrimento contemporaneo, la consapevolezza che oltre i tratti più dolorosi che caratterizzano il credersi "mortali" appare ciò che l'uomo è più autenticamente.
Umberto Galimberti è un pensatore di razza che sa fotografare l'esistente. Sembriamo tutti avvolti da un "ospite inquietante", perfino quando viaggiamo in treno per una gita o andiamo a trovare un amico. Ma chi ha inserito nel nostro scenario questo strano ospite? Chi è? Con questo nuovo volume della Collana "Diálogoi", il filosofo ci spiega perché i giovani oggi hanno paura. Ma ci suggerisce anche come essa si possa togliere.