Sì, viaggiare. Ma «come» viaggiare? E perché? Per sperimentare luoghi diversi, luoghi che non ci appartengono ma magari ci «aspettano». Il viaggio, quello con la V maiuscola, quello sottratto alle urgenze compulsive del lavoro e del turismo, è comunque un?esperienza esistenziale straordinaria e necessaria perché viene pensato, immaginato, «vissuto» prima di essere compiuto. E poi viene metabolizzato, ripensato, memorizzato, trasfigurato. Viaggio, dunque sono, si potrebbe dire dell?uomo in generale, e dell?uomo contemporaneo nello specifico. Viaggi drammatici per sopravvivere, per milioni di persone. Viaggi per vivere, comunque e in ogni caso. Per sentirsi vivi.
Se c’è una cifra in cui il nostro tempo si riassume emblematicamente, è il drammatico venir meno dell’orizzonte della speranza: la vita appare schiacciata sul presente e sulle sue necessità, il futuro ha cessato di rappresentare una promessa capace di mobilitare desideri, energia, prospettive di azione. In un tempo di crisi radicale come quello che stiamo vivendo, il cristiano non può sottrarsi a un compito, quello di tenere viva la speranza, essenziale alla qualità umana stessa dell’esistenza. Ma la speranza non è facile da vivere, per nessuno, neppure per un cristiano. Essa infatti chiede lo sguardo lungo, cioè il coraggio della pazienza, che sa sopportare e non si lascia piegare da nessuna difficoltà. L’uomo paziente è l’uomo che si muove entro ampi orizzonti e sa attendere a lungo, come il contadino, dopo la semina. La speranza è affidata a un terreno la cui vitalità è nascosta. L’attesa è lunga, ma anche certa. Il cristiano fonda infatti la sua speranza nella memoria del Dio di Gesù Cristo: il seme del suo Regno è deposto nella terra della storia umana e certo porterà frutto. Questa visione di fondo ispira il libro di Bruno Maggioni, le sue riflessioni sugli aspetti fondamentali del cristianesimo, pensate per aiutare la lettura evangelica di questo tempo difficile, in cui i cristiani sono chiamati a vivere e testimoniare una speranza che non delude.
Bruno Maggioni è nato nel 1932 a Rovellasca (Como) e dal 1955 è sacerdote della diocesi di Como. Ha studiato Teologia e Scienze bibliche all'Università Gregoriana e al Pontificio Istituto Biblico di Roma. E' docente di Introduzione alla Teologia presso l'Università Cattolica di Milano.
Autore di numerosi libri, con Vita e Pensiero ha pubblicato: Le parabole evangeliche (1992), Padre nostro (1995), La pazienza del contadino (1996), La brocca dimenticata (1999), Davanti a Dio (2 voll., 2001-2002), Il seme e la terra (2003), Un tesoro in vasi di coccio (2005), Come la pioggia e la neve (2006), Come l'erba che germoglia (2009).
Finalmente come Dio! Come Dio? Finalmente?
Essere come Dio è tentazione antica come la consapevolezza di essere uomo: sentimento variamente articolato che l'uomo non possa aspirare a nulla di meno e che a nessun altro spetti giudicare ciò che è bene o male. È dunque paradossale l'entusiasmo irresponsabile per la 'morte di Dio': Nietzsche aveva ben detto che non c'era di che entusiasmarsi a buon mercato. In ogni caso, se Dio è morto, essere come Dio diviene problematico; anche essere al suo posto, perché lì la morte ormai incombe. Il nostro non sembra esser più il tempo dell'ebbrezza su nessuno dei due fronti, piuttosto il tempo del disinganno, magari risentito, dell'uomo che ha provato ad essere come Dio e che stenta ad essere dignitosamente uomo. Tempo di fragilità dolorosa dell'uomo che, tuttavia non rinuncia all'arroganza con cui, dopo aver detto "penso quindi sono", dice "sono quindi voglio e posso" mosso da aspirazioni di sempre più piccolo cabotaggio. Ci chiediamo se, per qualificare la propria identità, l'uomo non possa far altro che muovere i suoi passi ripetendosi ossessivamente: penso quindi sono, mi sento quindi… Sono… Finalmente… Come Dio. Forse dovrebbe riconoscersi nello sguardo di un compagno di strada, ritrovarsi nella confidenza della sua voce. Forse un Dio amante dell'uomo, che per essere con l'uomo non si sottrae nemmeno alla morte, sarebbe un buon compagno di strada per un diverso incedere alla scoperta della sua dignità.
Non bisognerebbe mai smettere di leggere Péguy.. Oggi ci fa bene cominciare, almeno. La passione per l'inesauribile approfondimento della verità, la dedicazione religiosa alla qualità della parola e della scrittura, il rigore etico come tratto estetico che onora la dignità dell'uomo, l'incondizionato affetto per l'umano comune e la tenace avversione per tutto quanto lo avvilisce, una fede libera da vincoli ideologici per un Dio innamorato dell'uomo e della sua terra..di tutto questo la sua opera è testimonianza appassionata. Di tutto questo il nostro tempo patisce un'indigenza resa ancor più dolorosa dalla mancanza di parole che ci aiutano, almeno, a decifrarle, a dare nome alla nostalgia di ciò che abbiamo perduto, a coltivare la speranza di ritrovarlo.
Sappiamo poco di Maria di Nazareth e della nascita di Gesù. I Vangeli che ne parlano, Matteo e Luca, sono molto discreti al riguardo. Nulla a che vedere con la fantasia, esuberante e sospetta, dei racconti mitologici o di certe devozioni che hanno smarrito i loro riferimenti cristiani. Qui entra in gioco la sobrietà caratteristica della rivelazione di Gesù, che dalle prime pagine delle narrazioni evangeliche fino alle ultime continua a sorprendere quale stile della Parola del Dio cristiano.
Eppure, la trama di quei testi svela tesori inattesi per l’occhio che li sa interrogare. Ed è quanto avviene in questo libro, che fa risuonare con toni vividi i primi capitoli dei Vangeli sullo sfondo del contesto storico del mondo giudaico nel primo secolo.
La lettura dei Vangeli dell’infanzia di Gesù procede attraverso la formula semplice ed efficace della domanda/risposta, uno strumento agile, che permette all’autore di identificare con chiarezza e soddisfare le ‘curiosità’ del lettore, soprattutto quelle che riguardano la verità storica della vita di Maria, giovane ragazza di Galilea chiamata a essere, nelle felici parole di Manns, «la prima collaboratrice intima di Dio».
Attraverso le domande i testi evangelici ‘cantano’ e nelle risposte chiariscono il filo rosso del loro senso: il darsi di Dio, senza pentimenti, nella storia dell’uomo e della donna.
Frédéric Manns è stato per molti anni direttore dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, dove ha insegnato Esegesi del Nuovo Testamento e Letteratura giudaica antica. Tra le sue opere: Leggere la Misnah (Firenze 1987), La preghiera d’Israele al tempo di Gesù (Bologna 1996), L’Israele di Dio. Sinagoga e Chiesa alle origini cristiane (Bologna 1998), Gesù figlio di Davide. Il vangelo nel suo contesto giudaico (Milano 1998), Voi, chi dite che io sia? Meditazioni sul Cristo, sapienza di Dio (Assisi 2000).
«Portavano gli ammalati sulle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro» (Atti 5,15). L’ombra di Pietro è l’immagine del gesto di Dio che ispira questa raccolta di meditazioni. È un Dio ‘di strada’ quello che viene raccontato qui: pronto a cogliere l’attimo di un incontro, al quale basta un gesto o una parola per cambiare l’intera geografia dell’anima, capace di gettare il seme tra i sassi e di attendere che arrivi a maturazione quando è il suo tempo. Il Signore allunga di poco la sua ombra e ossa aride riprendono vita. Proprio questo ‘imprevisto di Dio’ è ciò di cui oggi il Cristianesimo ha sommamente bisogno per ridare forza e nitore alla sua testimonianza. La fede può fare molto infatti, oltre ogni previsione, per rinvigorire i legami che rendono speranza alla fatica di essere uomini: legami buoni in favore dei quali Dio è pieno di grazia, come la storia di Gesù ha mostrato per sempre. Ma la vita è in molti modi appesantita anche da legami non buoni che avviliscono l’uomo, privandolo del gusto di essere al mondo. Questi cattivi legami devono essere sciolti. Soltanto una potenza che viene dall’alto lo può fare, liberando l’anima e il corpo da ciò che li opprime. Dio infatti non abbandona mai la sua creatura e non asseconda la nostra rassegnazione: continua a tessere, soprattutto là dove non ce lo aspettiamo, legami buoni e altre beatitudini.
PierAngelo Sequeri, nato a Milano nel 1944, è docente di Teologia fondamentale alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. è anche direttore del Laboratorio di Musicologia Applicata di Milano. Nell’ambito della sua ricerca e delle sue pubblicazioni in opere e riviste specializzate è prevalente l’interesse per le questioni di confine tra filosofia e teologia, psicologia e teologia, estetica e teologia. Fra gli scritti più recenti: Il timore di Dio, Vita e Pensiero, Milano 1993; Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale, Brescia 1996; L’estro di Dio. Saggi di estetica, Milano 2000; Senza volgersi indietro. Meditazioni per tempi forti, Vita e Pensiero, Milano 2000; L’umano alla prova, Vita e Pensiero, Milano 2002; L’idea della fede. Trattato di teologia fondamentale, Milano 2002; Musica e mistica, Roma 2005.
Ezio Franceschini (1906-1983) nacque nelle montagne della Valsugana, studiò a Padova e insegnò per quarant'anni a Milano, all'Università Cattolica. Dell'Università Cattolica fu Rettore dal 1965 al 1968. Studioso di latino e del Medioevo, fu conosciuto in Europa e nel mondo per le sue ricerche sulla tradizione di Aristotele e Seneca, sul teatro latino medioevale, su san Francesco e santa Chiara d'Assisi. Fuori dal campo scientifico, scrisse molti testi di spiritualità. Fin dalla gioventù coltivò anche una vena narrativa, pubblicando racconti e novelle su quotidiani e settimanali. Avanti nella vita raccolse in volumetti buona parte delle sue novelle: "Parole come sabbia" (1965), "Cocci" (1975). Da ultimo scrisse racconti per bambini, in cui dominano le storie delle sue montagne, dei grandi ghiacciai, dei boschi e dei torrenti, abitati da animaletti, uccelli e pesci: pubblicati per lo più su "Giovani Amici", furono riuniti nel volume postumo "La valle più bella del mondo" (Vita e Pensiero, Milano 1984).
Molteplici e differenti sono i temi di questo libro. Tutti però trovano unità in una radice comune suggerita dalle allusioni bibliche a cui il titolo rimanda. Si dice in un passo molto noto del libro di Isaia: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e averla fatta germogliare perché dia il seme al seminatore e il pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e aver compiuto ciò per cui l’ho mandata». L’immagine mostra l’efficacia della Parola di Dio nella storia: è creatrice, forza di vita, costruttrice di futuro. È anche Parola che viene dall’alto, non dall’uomo. Sta proprio qui il motivo della sua efficacia e della sua capacità di trovare vie da noi ritenute impraticabili o addirittura sbagliate. La Parola di Dio proviene da un mistero, ne rende consapevole l’uomo, senza dissiparlo: le sue vie non sono le nostre vie. Fra la Parola di Dio e i progetti degli uomini resta una tensione insuperabile. L’efficacia della Parola è libera, tutta nelle mani di Dio, da accogliere, non da progettare e pretendere. Questa caratteristica ha preso forma compiuta nel Vangelo di Gesù, definito da Paolo «potenza di Dio»: anch’essa ben diversa da come l’immaginano gli uomini. Non è infatti esplicita, dirompente e manifesta come il potere esercitato dall’uomo. Ha piuttosto la figura ‘debole’ e inerme della Croce, dove si è rivelato per sempre l’amore di Dio. Esso solo, paradossalmente, è la forza che crea, rinnova e trasforma il mondo. Alla fede si può essere generati solo così, non affidandosi alla potenza dei miracoli né alla scaltrezza della sapienza umana. Questo la predicazione della Chiesa deve costantemente tenere presente. È la condizione essenziale perché la fede cristiana possa avere un futuro: quello di Dio.
Bruno Maggioni è nato nel 1932 a Rovellasca (Como) e dal 1955 è sacerdote della diocesi di Como. Ha studiato teologia e scienze bibliche all’Università Gregoriana e al Pontificio Istituto Biblico di Roma. È docente di Esegesi del Nuovo Testamento alla Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale di Milano e di Introduzione alla teologia presso l’Università Cattolica. È autore di numerose pubblicazioni, tra cui: Il vangelo di Giovanni (Assisi 1985); Il racconto di Marco (Assisi 1985); Il racconto di Matteo (Assisi 1986); Uomo e società nella Bibbia (Milano 1991); La vita nelle prime comunità cristiane (Roma 1991); Le parabole evangeliche (Vita e Pensiero, Milano 1992); I racconti evangelici della Passione (Assisi 1994); Padre nostro (Vita e Pensiero, Milano 1995); La pazienza del contadino (Vita e Pensiero, Milano 1996); La brocca dimenticata (Vita e Pensiero, Milano 1999); Davanti a Dio. I salmi 1-75 (Vita e Pensiero, Milano 2001); Davanti a Dio. I salmi 76-150 (Vita e Pensiero, Milano 2002); Il seme e la terra (Vita e Pensiero, Milano 2003); Un tesoro in vasi di coccio (Vita e Pensiero, Milano 2005).
Considerata nella tradizione del pensiero occidentale quale massima attività etica dell’uomo, la politica attraversa oggi un’innegabile e rischiosa fase di delegittimazione che tende a sminuirne il significato, riducendola a mera attività tecnica di gestione del conflitto, indifferente ai fini ultimi del proprio agire. E tuttavia – è altrettanto innegabile – non si può non ‘fare politica’. Ma laddove riemerge il desiderio di autentico impegno, spesso mancano conoscenze, nozioni e strumenti fondamentali per poter consapevolmente operare. Ecco perché questo volume, nel porgere l’invito al tavolo dove si costruisce la ‘città dell’uomo’, si configura come proposta di un percorso di formazione e di accompagnamento alla vita politica. Esso si fonda su una linea interpretativa di tipo antropologico, che riconduce tanto le teorie quanto i problemi concreti a una soggiacente visione dell’uomo; e a quest’uomo, in ultima analisi, si rivolge, sia che egli si ritenga «uomo del mondo e del tempo», sia che si consideri «uomo della creazione e della trascendenza». In questo cammino, si affrontano temi complessi, esposti in forma nitida e dentro una cornice sistematica. Questioni di estrema «attualità e urgenza», sulle quali, sottolinea Carlo Maria Martini nella sua presentazione, «gli autori ragionano e fanno ragionare, rimanendo sempre su un piano oggettivo e realistico, senza fughe utopiche, sforzandosi di saldare idealità e concretezza, progetti arditi e fattibilità».
Luigi Franco Pizzolato è ordinario di Letteratura cristiana antica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Allievo e successore di Giuseppe Lazzati, ne ha proseguito l’opera anche alla guida dell’Associazione di cultura politica «Città dell’uomo». Ha pubblicato una vasta serie di studi su questioni del Cristianesimo antico e, parallelamente, su problemi di politica, con spiccato interesse per gli aspetti antropologici. Filippo Pizzolato è ricercatore di Diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Tra le sue pubblicazioni: Finalismo dello Stato e sistema dei diritti nella Costituzione italiana, Vita e Pensiero, Milano 1999; Il sistema di protezione sociale nel processo di integrazione europea, Milano 2002.
In tempi che vedono anche la lingua della predicazione e della catechesi cristiana afflitta in misura non lieve dalla frammentazione tipica della cultura postmoderna, il tentativo di offrire un’intelligente introduzione alla fede va salutato con soddisfazione. È questo il caso del saggio di Pierluigi Lia, che si propone di disegnare una visione complessiva e coerente del mistero cristiano. La sintesi unificante viene conseguita, in modo agile e originale, attorno alla nozione di ‘forma’, sviluppando un orientamento teologico, quello sensibile alle istanze ‘estetiche’, che si va dimostrando sempre più pertinente ed efficace. Qui non si allude certo a un inconcludente estetismo, ma ci si riferisce al disporsi bello della realtà cristiana verso lo sguardo semplice che si fa guidare dal manifestarsi della verità. Al cuore dell’identità cristiana, quale forza che ne plasma la forma, sta la rivelazione di Dio, il suo splendore, apparso una volta per sempre nella pasqua di Gesù. Nel Figlio, nella sua sorprendente vicenda terrena, Dio realizza l’intenzione di far conoscere la propria verità. In rapporto a questa figura acquistano collocazione sensata e ordinata le linee essenziali che costituiscono l’identità cristiana e che qui vengono conseguentemente rilette: la deformazione dell’immagine originaria dell’uomo a causa del peccato, la rinascita dall’alto del credente che si va così conformando all’immagine del Figlio, la figura della Chiesa come segno vivo del destino a cui tutti gli uomini sono chiamati. L’itinerario che l’autore fa in tal modo percorrere si rivela nitido e persuasivo, capace di accompagnare la riflessione di chi si avventura a riscoprire l’insieme inviolabile del mistero cristiano.
Pierluigi Lia, teologo, è stato a lungo docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel suo lavoro dedica particolare attenzione alle relazioni tra l’intelligenza propria della fede cristiana, la filosofia e l’estetica. Oltre a numerosi articoli e contributi in opere collettive ha pubblicato: Libertà incatenata e trascendenza. Note per una fenomenologia della coscienza credente, Milano 1995; Forza di Dio è solo quella che dona la vita. Percorsi di riflessione teologica a proposito della speranza cristiana, Milano 1996; L’incanto della speranza. Saggio sul canto dei Misteri di Ch. Péguy, Milano 1998; La pietà Rondanini. Una lettura del Mistero pasquale, Milano 1999; Et incarnatus est. Sguardi sul mistero cristiano, seduzione dell’intelligenza e passione del cuore, Milano 2000.
Le società occidentali hanno da tempo confinato la religione nell’ambito angusto delle convinzioni private e insindacabili della coscienza individuale. Se ne potrebbe facilmente fare a meno: la trama della vita quotidiana, così stabile e rassicurante, non ne verrebbe in apparenza compromessa. O ancora, sostengono alcuni, la religione è residuo di uno stadio infantile dell’umanità e le forme in cui sopravvive hanno la stranezza tipica del folklore. In tutt’altra direzione va questo saggio, illustrando quanto sia essenziale per l’esistenza umana l’elemento religioso. La rigorosa analisi di Guardini delinea una realtà che all’uomo moderno, estenuato e indifferente, è diventata fondamentalmente estranea: il senso del sacro, con tutta la sua pregnanza e densità esistenziale, che talora (soprattutto nelle esperienze-limite) attraversa i modi ordinari del vivere, scompaginandoli e mostrandoli sotto diversa luce. Il sacro, quando emerge nell’esperienza, appare sempre come qualcosa di inesplicabile, ineffabile, altro: in una parola, come l’aspetto misterioso del mondo. Ma, sebbene sia così sfuggente, anzi proprio nel suo carattere indecifrabile, lo si riconosce immediatamente. Esso si mostra come reale, potente, significativo, prezioso. Appare, tocca, chiama, muta i rapporti di equilibrio dell’esistenza. Ne alleggerisce il peso, ne orienta il corso, promette salvezza. Allo stesso tempo turba, mette in discussione, rimuove la convinzione che questo mondo sia la nostra casa e suscita la nostalgia di altri luoghi. Come dice Hölderlin, il sacro è «vicino da lontano». Tuttavia, al pari di ogni esperienza umana, l’esperienza religiosa è caratterizzata da una costitutiva ambiguità. Anzi, nell’ambito religioso il positivo e il negativo raggiungono la massima espressione. La storia delle religioni, ma anche recentissimi tragici accadimenti, ne mostrano spesso il volto inquietante, che non cessa di fare riflettere: la voracità dei sacrifici umani agli dei, le efferatezze delle guerre di religione, i fondamentalismi sono eloquenti esempi del lato oscuro del sacro. L’espe-rienza religiosa è problematica: è come un magma vitale, complesso, confuso, che è necessario purificare distinguendo l’autentico dall’inautentico, ciò che mortifica da ciò che dona la vita. È questo lo spazio proprio della rivelazione e della sua ripresa purificatrice nei confronti del sacro. L’ambiguità del religioso viene sciolta in forza del manifestarsi storico di Dio, che nella Scrittura, e nella tradizione su di essa fondata, non mostra i tratti di un’assolutezza che inquieta, bensì quelli del principio affidabile della vita umana.
Romano Guardini, nato a Verona nel 1885, è per riconoscimento unanime uno dei filosofi e dei teologi cattolici più significativi del Novecento. Dapprima libero docente di Dogmatica cattolica a Bonn e a Breslau, ricoprì dal 1923 la cattedra di Filosofia della religione e Weltanschauung cattolica a Berlino, a Tubinga e infine a Monaco di Baviera, dove morì nel 1968. Di Guardini l’editrice Vita e Pensiero ha pubblicato Il Signore, L’esistenza del cristiano, Sul limite della vita, Le cose ultime, Le età della vita, Gesù Cristo.
Nei Vangeli l'immagine del contadino evoca con efficacia alcune fondamentali qualità del cristiano e della sua testimonianza nella storia. Attraverso di esse si realizza la fedeltà dei credenti alla logica singolare di Dio e del suo Regno. La metafora del contadino esprime anzitutto la fiducia insita nel gesto di chi semina con generosità e senza calcolo: dalla piccolezza del seme verrà in futuro la copiosità del raccolto. Così è della parola di Dio, il cui annuncio, inerme e povero, a suo tempo darà infallibilmente frutto. Ma questo prodigio avviene nel segreto della terra, durante il tempo invernale, quando al contadino, forzatamente inoperoso, è chiesta la confidente pazienza dell'attesa: il seme del Regno cresce nella storia grazie alla potenza di Dio, che resta nascosta. Questa consapevolezza libera il cristiano dalla presunzione, e dall'affanno, di far dipendere il destino del Vangelo dalle proprie capacità. Tale visione di fondo, non del tutto ovvia, ispira questo libro di Bruno Maggioni, offrendo sagge "note di cristianesimo per questo tempo di cristiani frettolosi e ansiosi di vedere, tesi a molti progetti e impazienti verifiche, ma poco capaci di attesa". Il discepolo invece si fida di Dio.