I saggi qui raccolti indagano, da diversi punti di vista, la poliedrica e attualissima opera di Günther Stern-Anders (1902-1992), nei suoi aspetti e nella sua potenzialità, esplorando soprattutto il tema apocalittico della fine della umanità. Questo volume, - frutto del dialogo nato in occasione di un convegno organizzato per i vent'anni dalla morte di Anders -, s'incentra e si organizza secondo due convergenti linee di analisi. Nella prima parte si ricostruisce il tracciato filosofico, antropologico e politico dell'autore tedesco, mentre la seconda sezione è dedicata alla costellazione tematica "arti, letterature e società". Quel che si profila da queste "visioni" apocalittiche è un ritratto sfaccettato e vitale di Günther Stern-Anders.
Nessun filosofo può sottrarsi al rischio di rimanere preda dei paradossi che arriva a vedere e pensare, al rischio di esplodere in volo un attimo dopo averli sfiorati con le proprie ali. Come Kierkegaard testimonia e come Jean Luc Marion sottolinea "un pensatore senza paradosso è come l'amante senza passione, pura mediocrità". Il pensiero di Simone Weil non può che sottrarsi a qualsiasi sospetto in tal senso: la sua idea di Dio propone paradossi incalzanti cui la sua stessa vita rimase a lungo sospesa e il fatto stesso che per lei Dio possa manifestarsi solo tramite la sua assenza risulta fondamentale per poter comprendere il suo rapporto con la fede cristiana. L'esperienza della sventura ha proprio la prerogativa di rendere "Dio assente per un certo tempo", un tempo in cui, "bisogna che l'anima continui ad amare a vuoto, o almeno a voler amare, seppure con una parte infinitesimale di se stessa. Allora un giorno Dio le si mostrerà e svelerà la bellezza del mondo, come accade a Giobbe". La sventura è per la Weil un dispositivo semplice: raduna tutto il male e lo raccoglie in un unico punto per trasfigurare il dolore di cui l'essere umano è capace in una dimensione impersonale.
"L'universo è una struttura unitaria vivente". Il significato di questa affermazione viene precisato ed i suoi limiti discussi. Le basi di questa idea sono state poste da Alexander von Humboldt (che per primo ha concepito la rete della vita, formulata in "Cosmos", 1834) e da James Lovelock che nel 1972 ha proposto l'unità vivente della Terra ("Gaia, un nuovo sguardo alla Vita sulla Terra"). Il concetto di Universo come unità vivente è strettamente legato al Principio dell'Osservatore, che è colui che sa cosa è la Vita e cosa è la Terra nella sua struttura unitaria, e chi è lui stesso. L'Osservatore in realtà sono gli Esseri Umani, me compreso. Per capire che senso ha che un organismo di questo Pianeta formuli un concetto di questo tipo va, in breve e con un po' di distacco, considerato anche lui. Il discorso inizia esaminando l'unità dell'Universo ed il concetto di Vita, cercando i punti di contatto tra i due argomenti e le proprietà che in Universo e Vita coincidono; o almeno si avvicinano. Il sottotitolo di questa prima parte è "Il sesso degli angeli", a sottolineare la fragilità della logica dell'argomento e, per quanto mi riguarda, il suo interesse di confine tra fisica e metafisica. Il discorso prosegue poi occupandosi della Genetica della brava persona, ad indicare che la specie umana ha come carattere genetico intrinseco, come proprietà dirimente, alcune caratteristiche che lo portano da un lato alla socialità, dall'altro alla elaborazione del pensiero astratto. Poiché la vita e le condizioni che la permettono e la mantengono sono tutto fuorché astratte ed evanescenti, vengono esaminate le ultime tappe della evoluzione umana ripercorrendo i cambiamenti che hanno permesso, e causato, di essere quello che siamo e di pensare in modo ampio. Di questa straordinaria realtà e della unicità di questo processo evolutivo non ci si rende in genere ben conto. Vengono ricordate alcune tappe evolutive del pensiero umano che riguardano in modo particolare i limiti che separano fisica e metafisica. Tra le quali: la poetica di Esiodo ed il pensiero degli Stoici e dei Pitagorici, coloro che erano giunti alla convinzione che l'unica categoria della mente umana in grado di capire la natura ed il Logos che regge e guida l'Universo è la matematica. Da qui nasce la scienza e la capacità di spingere il pensiero fino ai confini dell'Universo, e di sentirci parte di esso.
Dal punto di vista cristiano, la storia ha un "senso". Non è un flusso casuale e un intreccio di eventi e accadimenti, ma si offre contemporaneamente all'uomo come possibilità per affermare il suo valore, per realizzare il suo destino. La divinizzazione quale unico fine e scopo dell'uomo nella storia, presuppone la presenza e l'azione non solo dell'uomo, ma anche di Dio, nella realtà storica. La storia, in un'ottica cristiana, è una continua teofania. Eternità e temporalità, trascendenza e materialità, sovrastoricità e storicità si uniscono nella persona di Gesù Cristo, in un'unione perfetta. "Colui che assolutamente nulla può contenere è contenuto in un grembo. Colui che è nel seno del Padre sta tra le braccia della Madre", auconfinandosi entro i limiti finiti di ciò che è storico e umano. Questo è il prodigio di tutte le ere, il prodigio "straordinario" e "unico" (unicum) di tutta la storia. La presenza di Dio nella storia rende possibile l'incontro tra Dio e uomo, un incontro che si compie come dialogo redentivo del Creatore con la sua creatura, che porta alla loro unione, all'evento, cioè, della salvezza quale realizzazione dell'uomo e attuazione dello scopo della storia».
La scienza sta rapidamente riducendo gli spazi della filosofia pensata. Considerando che la scienza è filosofia sperimentale, proviamo a viaggiare per qualche pagina nella terra dei neuroni a specchio e dell'epigenetica, guidati dalle storie di chi è vissuto prima di noi.
Il presente libro si rivela una vera iniziazione al mistero della Chiesa. Da buon mistagogo, il metropolita Hierotheos ci segnala le vie fondamentali di accesso. Ci tratteggia i principali connotati biblici della Chiesa; le proprietà che la contraddistinguono, recitate ogni volta, solennemente, nel Credo; la sua relazione imprescindibile con l'Ortodossia e con l'Eucaristia; il suo rapporto con il mondo, con l'uomo, nella maestosa interpretazione di Massimo il Confessore; la cattolicità della sua vita, che prevede, senza divisione e nel contempo senza confusione, sia azione che contemplazione, sia sacramenti che ascesi, sia teologia apofatica che teologia catafatica, sia monaci che coniugati, sia monasteri che parrocchie, sia chierici che laici; il suo legame con la legge, la secolarizzazione che talora la infetta, come infetta la teologia e la pastorale. Una mistagogia, questo libro. Un umile strumento per esperire, con maggiore consapevolezza, la Chiesa. Che non è anzitutto un oggetto su cui costruire un'indagine, ma un corpo di grazia in cui entrare, vivere e morire. Per gustare per sempre, nella terra dei viventi, l'identica vita del Vivente.
Il pensiero di Simone Weil, una delle voci più significative del '900, ha conosciuto in questi ultimi anni una rinnovata fortuna. Sebbene l'opera della filosofa, mistica e scrittrice francese sia stata oggetto di numerosi studi che l'hanno analizzata da diverse prospettive, alcuni aspetti della sua riflessione sono stati trascurati dalla critica e restano terreno fertile di analisi, come nel caso del rapporto tra la Weil e lo gnosticismo. All'interno di un tema tanto ampio, come può sembrare quello del rapporto di un filosofo con un orientamento del pensiero articolato com'è stato lo gnosticismo, si è scelto di focalizzare gli sforzi nel tentativo di far emergere quell'idea di Dio elaborata dalla Weil, che fu una pensatrice fortemente attratta dalla deriva gnostica; il Dio weiliano, infatti, non è più onnipotente, bensì assente, un Creatore che si è ritirato dal mondo, un Dio che vogliamo provocatoriamente definire "gnostico", trascendente, perché, come sostiene la filosofa francese, l'atto di creazione non va inteso come un atto di potenza, ma di abdicazione, nel quale Dio, avendo rinunciato ad essere re del mondo, vi ritorna come "mendicante".
Il libro che è nelle mani del Lettore gli fa intraprendere un viaggio. Un viaggio tra due logiche strettamente legate a due atteggiamenti di vita, a due scelte di vita: se scegliamo l'amore disinteressato come stella polare dell'esistere, la nostra conoscenza - la nostra logica vedrà la realtà come frutto di un amore signorile, divino, come uno splendido dono con cui il Dio amante dell'uomo lo attira nelle sue reti di amore; se invece scegliamo l'attorcigliamento nel cordone ombelicale dell'ego, la nostra conoscenza - la nostra logica vedrà la realtà come effetto di conflitti e di guerre, dove a sopravvivere sarà sempre il più forte e il più debole a soccombere, dove l'unica legge sarà l'utile proprio. La Chiesa, con la sua teologia che è solo sperimentale, si pone precisamente come il luogo di grazia in cui la logica del "secolo presente" volontariamente si immerge e muore, per risorgere come logica del secolo venturo. Deponi nelle acque della Chiesa una logica - quella che guarda al mondo esclusivamente come a una macchina che si è fatta da sé e si evolve obbedendo alla legge della casualità, e all'uomo come quark che si uniscono per costruire atomi, molecole e cellule e ne indossi un'altra - quella logica che ravvisa nel mondo un gioiello, una creatura in cui vibrano i palpiti segreti di un Amore infinito, e nell'uomo un essere che ha, per archetipo, il Logos stesso di Dio e, per fratelli, i miliardi di volti che popolano la terra. L'Autore attraversa queste due logiche (logiche che lo hanno personalmente attraversato).
"Rebus sic stantibus", lo scritto presente ha la natura di un saggio assolutamente introduttivo. Ciò tuttavia non significa che sia privo di un marchio peculiare. Tutt'altro: al di là della trattazione dei principali rappresentanti e delle principali tendenze della tradizione teologica occidentale, esso sottopone, in maniera quasi minuta, le questioni di volta in volta esaminate alla prova critica dell'insegnamento ecclesiale ortodosso; e questo non con il proposito di aggiungere - alla serie di quelli già esistenti - ancora un testo violentemente polemico contro la tradizione cristiana occidentale, ma con il duplice obiettivo, da un lato, di familiarizzarci criticamente con un "ignoto a noi" così noto e, dall'altro, di tentare di conoscere noi stessi attraverso l'osservatorio specifico della storia del pensiero teologico. La conoscenza critica dell'Europa occidentale è e resta incompiuta nella misura in cui viene ignorata o sottovalutata la chiarificazione dei fondamenti spirituali e teologici della sua civiltà. Lo si afferma sulla base della valutazione (giusta, a mio avviso) di Durkheim, secondo cui il fenomeno religioso si rivela la dominante che definisce la formazione sociale, visto che funziona come asse di strutturazione della "coscienza collettiva". La religione è ciò che rende possibile l'emergere del sociale; e vi è società nel momento in cui essa stessa si comprende come tale.
"Ho dei progetti personali che non mi lasciano tempo, e ai quali nessuna considerazione potrebbe farmi rinunciare. In due parole (lo tenga per lei fino a nuovo ordine), ecco di che cosa si tratta: forse, potrò finalmente lavorare in fabbrica come sogno di fare da almeno dieci anni. Se tutto si arrangia, comincerò alla fine di agosto, e sarà a Parigi o in periferia. Forse può capire ciò che mi aspetto da questa esperienza e quale importanza abbia per me. Sarebbe difficile spiegarlo per scritto. Tutto quello che posso dire, è che non riesco a pensarci senza sentire una gioia profonda" (Lettera di Simone Weil a Marcel Martinet, probabilmente del luglio 1934, inedita, Fondo SW Bnf.).
Cos'è il cristianesimo? Il "Diouomo", risponde padre Justin Popovic. Soltanto il "Diouomo". Una risposta, questa, che viene approfondita nell'intreccio di un serrato confronto tra due "visioni del mondo", tra due culture, tra due civiltà. La civiltà dell'uomo, puramente immanente, paga di sé, senza alcun orizzonte di ulteriori, che riduce l'uomo a insetto e produce unicamente mostri, e la civiltà del "Diouomo", il Cristo, che, lungi dal mortificare l'uomo, ne esalta le potenzialità, ne moltiplica le forze, ne dilata all'infinito la misteriosa grandezza. Il Diouomo o il nulla. Il Diouomo o il nichilismo più tetro e più barbaro. L'essenza del cristianesimo sta qui: nella mano tesa del risorto Diouomo all'uomo che giace nei sepolcri dei suoi peccati, delle sue disperazioni, delle sue morti. Il libro di Padre Justin, dunque, nell'inno che tesse al Cristo Diouomo, si dimostra in realtà un inno cantato all'uomo: la cristologia è l'unica chiave per l'antropologia. Quella vera. Libro denso, che introduce nel cuore del cristianesimo e del suo messaggio pulsante di vita risorta, e nel contempo mette a nudo le radici nichilistiche presenti nella nostra cultura europea.
Lungo un percorso non privo di oscillazioni e costellato da suggestioni scientiste, quanto ricco di intuizioni e categorie analitiche ancora feconde - che, in questo libro, viene ricostruito cronologicamente sulla scorta di testi ancora inediti in Italia - , l'opera di Durkheim rinvia al tema attuale di come tenere insieme libertà e regole, piacere e giustizia, felicità privata ed etica pubblica, e invita a riflettere su come agire, affinché gli uomini moderni, giustamente gelosi delle loro libertà, non s'illudano, tragicamente per se stessi e per i destini della loro convivenza, di sentirsi in questo modo appagati, mostrandosi impermeabili a quella solidarietà, a quelle delizie della vita comune, a cui pure non possono rinunciare, a meno di rendere priva di significato la loro stessa esistenza. E ancora, a chiederci: perché e in cosa la società è qualcosa di più di un'"associazione temporanea"?
Mistero denota il dogma fondamentale della fede cristiana riguardante l'incomprensibilità di Dio, e attraverso di esso si costruisce una consistente riflessione teologica che concerne la natura incomprensibile del Dio che rivela se stesso nel tempo.
L'uomo occidentale è convinto d'essere geneticamente colpevole, d'essere stato creato proprio difettoso. Non secondo l'immagine e la somiglianza di Dio, ma programmato con un virus: il Peccato originale. Davvero Adamo "non poteva non peccare"? E il Peccato originale è un dogma fondato sulla Scrittura o soltanto su una privata teoria di Agostino d'Ippona? Sta qui la differenza o divergenza fondamentale tra cristianità occidentale e cristianità orientale. Essa non è di natura amministrativa (il Primato del papa) e neppure teologica, è di natura antropologica. Sta nella risposta che si dà alla domanda: chi è l'uomo? Quale il suo cammino? Quale la sua storia?