Questo testo offre un'introduzione critica al "dialogo socratico"corredata da un accesso diretto alle fonti. Nel saggio introduttivo viene tracciata la vicenda biografica del fondatore, Leonard Nelson, insieme alla storia e all'epistemologia del metodo, con attenzione al suo sviluppo attuale. Nella sezione successiva sono tradotti per la prima volta tre saggi fondativi. Il primo è la conferenza di Nelson sul metodo socratico del 1922, una sorta di manifesto programmatico; il secondo un testo di Heckmann, "II discorso socratico", in cui l'autore, avvalendosi di resoconti di dialoghi socratici da lui condotti, spiega le caratteristiche del metodo; infine un articolo di Minna Specht sulla pratica del dialogo socratico condotta in esilio negli anni Trenta con un gruppo di bambini e di discepoli di Nelson. La postfazione offre ulteriori spunti di riflessione su alcuni dei nodi filosofici presenti nel dialogo, ne da un primo bilancio e fornisce indicazioni per il suo sviluppo nei contesti attuali.
Tra gli studi radiofonici da dove mandare in onda una trasmissione sul tema dell'amore e una serata di san Valentino che si consuma fra conferimento del premio Goethe "alternativo" e una discussione in una casa francofortese, si recita una commedia, o forse una tragedia, che aggiorna alle incertezze, alle ossessioni e ai tic del Ventunesimo secolo una copia del Simposio platonico. Tema, come denuncia inequivocabilmente il titolo, l'amore (o forse l'Amore, non ne siamo del tutto sicuri). La società dello spettacolo e il mezzo radiofonico stentano a imporre i propri ritmi, il filosofo ha i suoi tempi e, di fronte alla prospettiva di un'ora e mezza di conversazione, preferisce divagare fra poesia e teatro, scienza e riflessioni dei suoi pari; invece di stringere e chiudere non fa che aprire prospettive, vecchie o nuove ma sempre diverse. Amore, divina follia: che si riflette anche in queste pagine, articolate con grande libertà, dove di amore si parla e si racconta sempre con una leggerezza che poi si capisce non essere disincanto ma affettuosa partecipazione. "Per quanto però riguarda il vero amore, ve ne sono di due tipi. O è qualcosa di scandaloso - e allora è grande, significativo, incomprensibile, una follia, un'autentica pazzia, una celestiale follia. Avete sentito? Sto appunto parlando del tema del mio discorso!... Oppure annoia. Non vi è di diritto alcuna terza possibilità."
Martin Buber mostra in queste pagine come la colpa non sia riducibile alla dimensione psicologica del senso di colpa, ma abbia altre implicazioni, ben più importanti. Per lo psicoterapeuta non si tratta allora di liberare il paziente dal senso di colpa, quanto piuttosto di aiutarlo a elaborare la propria colpa in vista di una riconciliazione con se stesso, con gli altri e con il mondo. "Colpa e sensi di colpa", introdotto da una nota della figlia di Buber, diventa così un punto di riferimento per un dialogo a più voci sul rapporto tra oggettività della colpa e soggettività del senso di colpa, tra consulenza filosofica e psicoterapia, attraverso i contributi di Gian Piero Quaglino (docente di Psicologia della formazione), Cianni Francesetti (psichiatra e psicoterapeuta della Cesto/O, Umberto Galimberti (filosofo e psicoanalista), Andrea Poma (docente di Filosofia morale), Luca Bertolino (docente di Etica applicata), Maria Bertone e Ran Lahav (consulenti filosofici).
In un contesto in cui il valore dei prodotti viene decretato dall'enorme potere della televisione e dalle ragioni dell'economia consumistica, si corre il rischio che il bisogno di filosofia finisca per essere svuotato del suo potenziale senso di istanza critica per essere normalizzato e incluso nel sistema come uno dei suoi prodotti. La proposta di una filosofia come pratica o anche, "agoretica", come la chiama Cosentino, non è né un mitico richiamo alle origini né un troppo ottimistico progetto di rilancio della razionalità moderna. La metafora dell'agorà può aiutarci ad aprire un orizzonte di esperienza non mediata dai mezzi di comunicazione di massa. Nello scenario della società della tecnologia, del consumismo, della odierna"cultura terapeutica"e dei sempre nuovi conformismi, si tratterebbe di istituire oasi, terreni di gioco di pensiero riflessivo; micro-eventi di ricerca sviluppata con la propria testa e anche sulla propria testa con l'aiuto di una filosofia che, senza rinnegare se stessa, sappia mettersi al servizio della vita e proporsi some strumento di emancipazione.
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Il titolo di questo libro fa riferimento a un passo di Theodor Adorno, nei suoi "Minima moralia", là dove dice "Non si da vera vita nella falsa". In tutti i libri di Achenbach si ritrova il motivo costante di un essere umano che cerca di tornare in se stesso allontanandosi dal modo comune di pensare, che si sforza di agire secondo una serie di principi che hanno la funzione di indicargli la via verso la vita "vera"; di un individuo che vaga tra la folla (e le follie) del Moderno nel tentativo di evidenziarne gli errori e i punti deboli, aggrappandosi ai principi originari della filosofia come arma contro l'oblio e la rimozione che definiscono il contorno del nostro tempo. Achenbach affronta in questo libro i temi che riguardano ognuno di noi, per poi arrivare a definire il suo fine (che poi è il fine dell'esistenza): la "vera" vita (o la vita "giusta"), un'esistenza, cioè, che ha le sue radici nella capacità di saper vivere. Achenbach trasforma la filosofia in potenzialità pratica per l'esistenza, misurandosi con una sua effettiva e concreta applicazione alla vita nello sforzo di chiarificarla in tutte le sue sfumature.
È nell'ambiente di lavoro che il disagio, anche non necessariamente patologico, si fa sentire più forte che mai. Incomprensioni tra colleghi, incomprensioni con il datore di lavoro, discussioni interminabili non fanno altro che aumentare il malessere dell'uomo alle prese con la quotidianità. Nelle aziende aumenta il mal di stomaco e diminuisce il dialogo. Come migliorare la situazione? Eugénie Vegleris propone di provare con la consulenza filosofica. Perché attraverso la filosofia il manager scoprirà che occorre risvegliare la curiosità e la creatività, imparare a staccarsi da ciò che è contingente, apprezzare quanto a prima vista può apparire inutile e non produttivo e decidere che è importante dare tempo e spazio al dialogo, a un dialogo autentico in cui le varie parti possano confrontarsi invece di scontrarsi. Non si tratta solo di "valorizzazione delle risorse umane" espressione ormai ampiamente abusata nelle aziende - ma di intuire come occorra interrogare in modo nuovo e filosoficamente avvertito la realtà lavorativa in cui ci si trova.
Da una decina d'anni Umberto Galimberti tiene con regolarità una rubrica su "La Repubblica delle Donne", in cui risponde alle lettere che gli vengono inviate dai lettori e dalle lettrici del quotidiano. È una delle rubriche più lette e ha un seguito appassionato: non pochi conservano con cura i ritagli raccolti negli anni. Le risposte di Galimberti sono in effetti un esempio eminente del suo modo di intendere il lavoro del filosofo: sono risposte colte e profonde, ma sempre comprensibili e centrate. La parola di un filosofo che non ha paura di riflettere sul mondo contemporaneo, sugli eventi e sui disagi che tormentano gli uomini e le donne di oggi.
È possibile cercare in Platone un aiuto alla felicità? Cosa può dare un testo di venticinque secoli fa alla ricerca di felicità e di senso, condizionata storicamente e culturalmente? E soprattutto, se l'analisi di un testo filosofico è un'operazione teorica, solitaria, "razionale" e dunque astratta, che cosa si può ricaavare circa lo star bene in questo mondo, o circa il rapporto con la politica, la giustizia, la verità, l'amicizia, la bellezza? Questo libro è la traccia scritta di una ricerca che dà risposta positiva a simili domande. Non si tratta di scoprire "che cosa ha detto Platone", ma di lasciar emergere una tensione nascosta nella scrittura, una "verità non scritta", una "forza viva", un'azione che la scrittura può esercitare su ognuno.
Agire a livello terapeutico attraverso una "terapia concettuale". È questo il punto di partenza di Jonathan Lear che in questo libro propone una problematizzazione dell'impianto concettuale delle discipline psicologiche. Attraverso una rilettura creativa del pensiero freudiano Lear discute alcuni concetti fondamentali della tradizione psicoanalitica: soggettività, oggettività, eros, interiorizzazione e transfert; analizza inoltre le teorie di Hans Loewald e Paul Gray mostrando in quali punti coincidono e in quali contrastano; suggerisce la possibilità di un ruolo centrale e positivo dell'ironia, spesso esclusa dal dialogo psicologico perché fraintesa o confusa con il sarcasmo. Ed è proprio attraverso l'ironia che da "L'azione terapeutica" emerge un'interpretazione del tutto nuova dei consolidati concetti di base della psicologia. Il libro vuole essere un invito rivolto a psicologi, psicoanalisti e psichiatri affinché rinnovino il loro impegno per la fondazione concettuale della loro pratica. Il lettore attraverso queste pagine, caratterizzate da un linguaggio semplice e comprensibile, potrà ripercorrere gli insegnamenti di Freud alla luce di una nuova interpretazione.
Abbassare il livello della tensione e dell'aggressività nelle organizzazioni attraverso il dialogo, la riflessione, l'approccio filosofico, può contribuire in modo sostanziale ad accrescere la dimensione etica nelle pratiche del business di tutti i giorni. Etica intesa come possibilità di contribuire con energie vitali per auto-affermarsi positivamente come individuo, il che porta a prefigurare una nuova forma di leadership che parte dalla "pausa", dalla riflessione e solo in seguito si traduce in azione. Il libro argomenta le ragioni per cui una presenza della riflessione filosofica con oggetto "la persona" sia diventata non solo necessaria ma inevitabile nelle organizzazioni e nelle aziende che cercano di dare un "senso" al proprio fare.
"Domesticazione", termine che si applica ad un animale come all'uomo, viene qui inteso come passaggio dall'inquietudine della vita a una quiete rassicurante ma ambigua, basata sull'artificio. L'analisi di questo passaggio prende le mosse dalla "casa dell'essere": il linguaggio, che ordina il mondo e lo fa funzionare perfettamente, secondo regole sapientemente inventate all'interno di un determinato sistema di comunicazione e di comprensione. Il discorso si focalizza poi intorno alla forma che, oggi, più di ogni altra, esprime dominio e potenza: la tecno-scienza. Il percorso si conclude soffermandosi sull'Io: non un immutabile da sempre esistito, ma un complesso sistema di rapporti tra strati dello psichico, della società, del mondo.
Al pari di quella filosofica, la "pratica letteraria" modifica la sfera del conoscere e del sentire, espande la comprensione della realtà, rende il pensiero più flessibile, più duttile e problematico. Come la filosofia, la letteratura, anche se con procedure discorsive completamente diverse, suggerisce e propone percorsi di senso, favorendo esperienze conoscitive profonde e offrendo al pensiero nuovi orizzonti. Dopo una parte di carattere generale sulle pratiche di lettura e sui percorsi di senso della letteratura, la seconda parte del libro propone l'analisi in questa chiave di alcuni testi rappresentativi, frutto di pratiche di lettura condotte dagli autori presso l'associazione Italo Calvino di Bologna.
La scelta della morte lucidamente pianificata - il suicidio razionale - è solo la cuspide di una lunga serie di temi che riguardano l'amministrazione della morte in funzione della vita e viceversa. Il buon senso comune qui è in difficoltà: per un verso stabilisce che è bene vivere ed è male morire, per l'altro ricorda che è bene il preferibile e male lo sconveniente, cosicché diventa inevitabile chiedersi se sia davvero sempre preferibile proprio il vivere. Si parla di autopsia psicologica quando psicologi e psichiatri indagano i resti della presenza di un suicida nella memoria di chi gli ha vissuto accanto, per elaborare modelli di spiegazione e intervento. Una autopsia filosofica entra nel merito delle categorie che caratterizzano il pensiero di voler finire, scandagliando le strutture che sostengono la disperazione ultima.
Solo noi siamo responsabili di questa vita, nessun altro se ne assumerà la responsabilità, tanto meno nel suo momento finale. Proprio per questo, "arte della vita" significa il tentativo fatto sul serio di prendere nelle proprie mani la vita finché si è in tempo, riuscendo magari a renderla anche "bella".
Abbassare il livello della tensione e dell'aggressività nelle organizzazioni attraverso il dialogo, la riflessione, l'approccio filosofico, può contribuire in modo sostanziale ad accrescere la dimensione etica nelle pratiche del business di tutti i giorni. Etica intesa come possibilità di contribuire con energie vitali per auto-affermarsi positivamente come individuo, il che porta a prefigurare una nuova forma di leadership che parte dalla "pausa", dalla riflessione e solo in seguito si traduce in azione. Il libro argomenta le ragioni per cui una presenza della riflessione filosofica con oggetto "la persona" sia diventata non solo necessaria ma inevitabile nelle organizzazioni e nelle aziende che cercano di dare un "senso" al proprio fare.
Come condurre la propria vita affinché sia degna e ricca di senso? Che cosa dà forma e controllo alla nostra esistenza? Quale vita può dirsi buona e realizzata al punto da definirsi "felice"? Molti cercano le risposte in quella che si definisce "arte di vivere"; Achenbach segue invece un'idea diversa, che chiama "capacità di saper vivere". Il "saper vivere" è tema senza tempo: caratterizza la filosofia delle origini quanto quella contemporanea. È ciò che i greci definivano virtù, l'"essere buoni". Mentre l"'artista della vita" intende condurre un'esistenza rilassata, leggera e spensierata, ciò che caratterizza "chi è capace di vivere e la volontà di affrontare le sfide esistenziali, la prontezza a risolvere i conflitti, e la capacità di distinguere ciò che è veramente importante. Egli non fa della sua vita un'opera d'arte, ma la domina, la dirige in modo esemplare, realizzando il meglio di sé. In questo senso, la "capacità di saper vivere" può definirsi una forma di "conoscenza della saggezza" che si può raggiungere attraverso l'esperienza.
Questo libro è una presentazione della pratica filosofica intesa come filosofia pratica in sessioni di consulenza individuali. La struttura si organizza intorno a tre temi: la posizione storica della pratica filosofica; la giustificazione dell'approccio non clinico della consulenza filosofica, collocata nel contesto delle critiche filosofiche e cliniche della psicoterapia; la narrazione di una serie di casi specifici tratti dalla pratica dell'autrice. Shlomit C. Schuster è una consulente filosofica, la prima ad aprire uno studio privato in Medio Oriente.
Achenbach presenta una serie di riflessioni filosofiche sul tema della quiete, che consiste sì nella tranquillità dell'animo, ma anche in una certa dose di indifferenza e di leggerezza, in un misurato equilibrio delle passioni e in una consapevole accettazione del proprio destino, così che proprio la quiete interiore, intesa come assenza di turbamento diventa la condizione per la felicità, se non addirittura la felicità stessa. Un pensiero, questo, che ha origine nella Stoa, del cui spirito è impregnato tutto il libro di Achenbach, per il quale la filosofia stoica "è la saggezza di una coscienza che presta attenzione alla vita", "uno sforzo teso alla riuscita della vita", e ancora è "la moderazione degli affetti che solitamente ci spingono di qua e di là".
Viviamo un'epoca di grandi cambiamenti e sono profondi i disagi e i bisogni di chi si trova a vivere e operare in questo contesto di mutamenti rapidi e continui, senza poter contare su una guida salda e affidabile. Una guida che può essere rappresentata dalla filosofia. Stefania Contesini, Roberto Frega, Carla Ruffini, Stefano Tomelleri, coinvolti in modo diverso in pratiche di ricerca filosofica e sociale e in attività professionali di consulenza, ricerca e formazione, riflettono in questo libro sui campi della loro attività lavorativa. Consulenza di processo, coaching, consulenza individuale, counseling in ambito aziendale sono solo alcune delle attività su cui si concentra la riflessione in queste pagine.
Elisa Mertens fa la commessa in un negozio e, nel contatto con colleghi, datori di lavoro e la varia umanità che frequenta l'esercizio di cui è dipendente, ha sviluppato un'acuta capacità di riflessione sulle cose della vita. Così, spesso, coinvolge chi le capita a tiro in discussioni che, partendo dal quotidiano e dalle osservazioni del senso comune, finiscono per mettere in crisi convinzioni accettate acriticamente e idee abbracciate superficialmente. Walter Pfannkuche ce la presenta qui in cinque dialoghi, che trattano del problema della giusta retribuzione, del diritto al lavoro, dell'uguaglianza di poveri e ricchi di fronte alla morte, della responsabilità individuale di fronte alle sofferenze del mondo e del comportamento morale.