"Quota zero" è uno studio sulla lunga durata di un disastro e sull'ordine sociale derivato da un evento apocalittico come il terremoto di Messina del 1908. La città dello Stretto viene qui vista come uno dei primi spazi di applicazione di quella shock economy che, secondo orientamenti prevalenti, sarebbe tipica della contemporaneità e del neoliberismo. Secondo l'autore, però, molte delle forze attive nel contemporaneo capitalismo dei disastri sarebbero state all'opera nella città siciliana già all'inizio del secolo scorso. Al punto che Messina ha finito con l'anticipare di decenni tutte le contraddizioni del capitalismo contemporaneo. Pietro Saitta ripercorre la storia di Messina, dei suoi abitanti marginali e del Mezzogiorno, alla luce di categorie analitiche mutuate dagli studi postcoloniali e subalterni, oltre che dalle teorie sul sistema-mondo. Testimoni privilegiati e diretti sono differenti generazioni di reietti dei cantieri edili, di abitanti delle baracche e simili figure ugualmente impegnate a sopravvivere e "resistere", sfruttando gli interstizi lasciati liberi da un sistema pervasivo e spietato che si rinnova da decenni. Quel che discende da questo sforzo è una visione intorno a un evento centrale della storia nazionale, delle utili osservazioni comparative sulla gestione dei disastri nel nostro paese e l'avanzamento di una proposta metodologica nei termini di un approccio alla ricerca sociale teso a coniugare storiografia, sociologia... Prefazione di Biagio Oriti.
Esiste da sempre in Italia, dai tempi della Roma dei Cesari e dei papi, un modello politico, sociale ed economico basato su clientele e corruzione, ingiusto e parassitario, che ancora oggi ostacola l'Italia del lavoro e delle competenze, del "saper fare" e della laboriosità dei nostri territori: è il sistema che si sviluppa nel rapporto tra patrono e cliente, che determina forme di dipendenza e che ostacola la capacità d'agire. Questo è il modello cortigiano del potere. È un vizio antico, in cui gli italiani si rifugiano soprattutto nei periodi di decadenza, e che anche ai giorni nostri costituisce il principale scoglio per lo sviluppo. "Italia cortigiana" racconta la storia secolare del carattere cortigiano del potere italiano, valutando l'efficacia dei diversi sistemi di organizzazione della politica e dell'economia rispetto al criterio del merito, dell'onestà e della professionalità, e offre alcune indicazioni su come superare i limiti del sistema cortigiano e i suoi condizionamenti, per affermare pienamente, nella società e nell'economia, l'autonomia e il valore delle persone. Un confronto che prende spunto da tre precise fasi della storia italiana, in cui in diversi modi lo stile cortigiano del potere è prevalso attraverso clientele, caste e privilegi che hanno determinato un degrado culturale, sociale ed economico. Si tratta della Roma imperiale, della Roma rinascimentale e della Roma dei giorni nostri. Una vicenda che parte dalla capitale, città nata come sede del potere..
Due libri fondamentali segnano, tra il 1927 e il 1928, l'avvio della discussione storica sui caratteri dell'Italia post-unitaria: la "Storia d'Italia dal 1871 al 1915", di Benedetto Croce, e "L'Italia in cammino" di Gioacchino Volpe. Libri caratterizzati - nota Salvatore Lupo - da un'esplicita contrapposizione, ma anche da un'evidente somiglianza. All'indomani del definitivo avvento del regime fascista, si tratta, per i due grandi storici, di fare i conti con l'Italia liberale. E se per Croce quell'operazione ha il senso di magnificare le sorti di una fase complessivamente virtuosa (messa a repentaglio dall'avvento di un regime illiberale e totalitario), per Volpe si tratta di individuare i caratteri di un vischioso processo storico in corso. Processo che, dopo la costruzione dello Stato, gli appare per l'appunto in cammino, in via di realizzazione. Rispetto a questo cammino, l'Italia liberale si presenta agli occhi di Volpe come un periodo cruciale e contraddittorio, in cui le spinte all'unificazione effettiva del paese si scontrarono con le resistenze di quello che egli considera il dato originario e persistente di tutta la storia italiana: la tendenza alla frantumazione. Questa eredità secolare, che ha caratterizzato anche i momenti più vitali (per esempio il medioevo), ha sortito come effetto una borghesia debole e dispersa, che tocca ora al nuovo Stato saper fondere in una classe dirigente nazionale.
"Signor questore di Frosinone non è stato possibile conoscere il luogo ove gli ebrei, qui internati, furono deportati". Così scriveva il sindaco di San Donato Val di Cornino nel 1945, a poco meno di un anno dalla conclusione della vicenda dei ventotto ebrei stranieri che, a partire dall'agosto del 1940, erano stati internati dal regime fascista nel paese in provincia di Frosinone, al confine con l'Abruzzo. Sedici i deportati, di cui dodici deceduti nei lager nazisti, salvi gli altri grazie anche, in vari casi, all'aiuto ricevuto dagli abitanti del paese. Il lavoro di Anna Pizzuti ricompone le storie dei singoli e di intere famiglie che dal 1940 al 1944 entrarono, sia pure forzatamente, nella vita della piccola comunità di San Donato. Paradossalmente, la testimonianza più concreta di queste vite senza diritti, appese a un foglio, a un timbro, a una firma di un funzionario senza volto, ci viene restituita proprio dai documenti conservati negli archivi della burocrazia di Stato. Su questa documentazione si concentra il libro, e alla fine, attraverso un paziente lavoro di ricostruzione, la burocrazia stessa, da meccanismo stritolante, si trasforma in involontario e incancellabile strumento di memoria di ciò che è stato, nonostante le distruzioni o gli occultamenti. Anzi diventa la dimostrazione, tragicamente innegabile, che "questo è stato".
Tra la fine degli anni sessanta e la prima metà degli anni ottanta l'Italia intera fu scossa dal terrorismo politico. Progressivamente sconfitto fino a ridursi a una dimensione marginale e sempre meno in grado di colpire, il terrorismo italiano rimane però uno dei nodi essenziali della nostra storia recente. Non solo esso ha segnato le vicende delle ali più radicali del nostro schieramento politico, ma ha rappresentato un drammatico problema generale per tutte le forze politiche, per lo Stato e per le sue istituzioni, per i suoi corpi di intelligence, di polizia e di giustizia, per gli interi equilibri che ne sono risultati in termini di coesione della compagine nazionale. I saggi di Angelo Ventura, scritti tutti all'inizio degli anni ottanta - nel fuoco più cruento dello scontro - e qui raccolti per la prima volta, sono insieme una testimonianza drammatica di altissimo valore civile e un presupposto indispensabile da cui partire, per chi voglia tentare di costruire oggi una storia del terrorismo italiano. Ventura, professore di Storia contemporanea all'Università di Padova (il luogo forse più denso di trame e di intrecci in quegli anni) pose la sua lucidità di storico al servizio di un'analisi rigorosa del fenomeno, cercando di individuarne nel modo più preciso cause e responsabilità. E per questo motivo pagò di persona il prezzo di un grave attentato.
La condizione dei rifugiati e dei richiedenti asilo nel nostro paese è in questo momento quanto mai al centro del dibattito pubblico: quando si parla di respingimenti, per esempio, ci chiediamo quali sono le motivazioni che ogni anno spingono migliaia di persone ad abbandonare i loro paesi d’origine, la famiglia, gli affetti per affrontare un viaggio in cui mettono a repentaglio la loro stessa vita? E una volta arrivati in qualche modo nel nostro paese, cosa li aspetta in termini di diritti, opportunità e tutele? Per comprendere quanto sta accadendo oggi in Italia, e più in generale nell’Unione europea, e quali sono le possibili risposte politiche alla questione rifugiati, non si può non risalire ai primi anni novanta, quando viene emanata la prima legge in materia, la legge Martelli, e nasce il Consiglio italiano per i rifugiati. Prima di allora il nostro non era un paese d’asilo. Accanto a una cronistoria degli arrivi e dell’accoglienza dei principali gruppi di rifugiati in Italia – albanesi, somali, bosniaci, kosovari, curdi, eritrei, iracheni e afghani –, fatta attraverso le testimonianze dei protagonisti, il volume ripercorre le più importanti iniziative promosse da parte dei governi e della società civile, anche se sempre in risposta a situazioni e casi di emergenza. Quello che tuttora manca in Italia è un approccio organico al tema del diritto d’asilo, che consenta di affrontare alla radice i problemi di integrazione attraverso una ridefinizione della figura stessa del rifugiato, un’azione sinergica con i paesi di provenienza e uno sforzo più deciso per far sì che le varie istituzioni e organizzazioni siano messe in condizione di convergere senza intralci burocratici e incertezze verso l’obiettivo comune dell’accoglienza.
L'AUTORE
Christopher Hein è il fondatore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) e ne è direttore dal 1990. È stato funzionario dell’Unhcr fino al 1989; dal 1994 al 2003 è stato membro del comitato esecutivo del Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli (Ecre) e nel 2003 ne è stato presidente. Insegna in varie università in Italia e Spagna, soprattutto in corsi di master in diritti umani, diritto internazionale sui rifugiati, diritto comparato, politiche sulle migrazioni e l’asilo.
Raccontare la storia degli ebrei non è semplice: non solo quasi ovun¬que nel mondo se ne conosce qualcosa, ma molti ne hanno già un'opinione ben definita. Per lo storico è difficile mantenere il giusto distacco se si parla degli ebrei come «popolo di Dio» o «popolo deicida», se si evoca l'«intelletto ebraico» o si attacca l'«ebraismo finanziario internazionale», se Israele è considerato il baluardo della civiltà all'interno della barbarie, o viceversa un regime brutale in un mondo pacifico. Una storia degli ebrei dovrà quindi abbracciare un orizzonte più ampio possibile. È questa la prospettiva adottata da Michael Brenner, uno dei massimi studiosi tedeschi di storia ebraica, il quale offre al lettore un quadro storico e geografico di grande respiro, che si estende per oltre 3000 anni e cinque continenti. Attraverso un'avvincente carrellata di aneddoti, eventi famosi ed episodi meno noti, il volume ripercorre le complesse vicende di un popolo: dalle origini bibliche fino alla storia recente dello Stato di Israele, l'autore segue un itinerario che dal Medio Oriente, passando per il mondo greco e romano, la Spagna moresca e la Mitteleuropa giunge in Europa orientale, in America, per poi chiudersi nuovamente in Palestina. L'innovativo progetto di Brenner si snoda attraverso un impianto narrativo che si avvale di un ricchissimo apparato iconografico documenti, cartine, foto d'epoca, opere d'arte -, restituendoci un ritratto complesso e sfaccettato della storia del popolo ebraico.
Ervand Abrahamian, studioso iraniano trapiantato negli Stati Uniti, in questo libro offre una panoramica documentata della storia recente dell'Iran. I principali avvenimenti sotto le dinastie dei Qajar e dei Pahlavi e sotto la Repubblica islamica, l'importanza del ruolo dello sciismo, le origini della modernizzazione, la ricerca a più riprese di una riforma democratica, la partecipazione popolare nelle rivoluzioni del 1909 e del 1979. La predilezione di Abrahamian per l'analisi sociale e lo studio delle classi fornisce inoltre un prisma attraverso cui guardare e comprendere il dramma del conflitto mai sopito tra le conquiste acquisite e il peso crescente del potere centrale; e l'autore mostra come la rivoluzione abbia continuato il lavoro dell'ancien régime, attraverso il sempre più incombente ruolo dello Stato. Tra gli anni della scoperta del petrolio e degli interventi imperiali, tra il governo degli scià Pahlavi e la rivoluzione del 1979 e poi la nascita della Repubblica islamica, l'Iran ha vissuto un'aspra guerra con l'Iraq, la trasformazione della società sotto il governo dei religiosi e, più di recente, il rafforzamento dello Stato, la lotta per il potere tra le vecchie élites, l'intellighentia e la borghesia degli affari e infine le forti tensioni internazionali causate dalla politica aggressiva e nazionalista di Ahmadinejad. Al cuore del libro c'è comunque sempre la gente dell'Iran, che ha sopportato ed è sopravvissuta a un secolo di guerre e di rivoluzioni.
I rapporti tra la Santa Sede e il Terzo Reich sono da sempre stati oggetto di controversie, ipotesi ardite, leggende e mitologie dovute spesso alla mancanza di testimonianze e documenti che suffragassero l'una o l'altra tesi. Grazie a una minuziosa analisi delle nuove fonti degli Archivi vaticani, rese accessibili solo negli ultimi anni, il volume di Wolf riesce a rispondere ad alcune questioni nodali che la ricerca storica aveva finora dovuto lasciare aperte: qual era la visione vaticana della Germania negli anni che segnano l'ascesa al potere del nazionalsocialismo? Cosa si sapeva del movimento hitleriano? Quali erano i rapporti tra la Chiesa tedesca e la centrale romana? Fino a che punto il Vaticano è stato disposto a trattare con il "diavolo", pur di garantire l'assistenza spirituale ai propri fedeli? Sulla base di documenti inediti, l'autore ricostruisce il panorama dei rapporti tra Vaticano e Terzo Reich negli anni che vanno dall'inizio della Repubblica di Weimar allo scoppio della seconda guerra mondiale, con una particolare attenzione al ruolo di Eugenio Pacelli, Pio XII, dalla nomina a nunzio apostolico nel 1917 fino all'elezione a papa nel 1939.
"Naufraghi nella tempesta della pace": un documentario della "Settimana Incom" del 1947 evocava così la tragedia dei profughi dell'Istria. Si aggiungevano a milioni e milioni di altri "naufraghi", frutto degli sconvolgimenti della guerra e del dopoguerra: milioni di persone sradicate dalla propria terra dalle deportazioni operate dalla Germania nazista e dalla Russia staliniana, ex prigionieri, donne e uomini in disperata fuga dall'inferno della Shoah o dalle zone martoriate dagli spostamenti del fronte. E a questa marea di profughi se ne somma un'altra, alimentata da milioni di persone espulse a forza dai paesi dell'Europa centro-orientale. Il dramma delle popolazioni tedesche ha qui un rilievo centrale: già con la fuga disperata davanti all'Armata rossa nell'ultima fase della guerra, e poi con le espulsioni dell'immediato dopoguerra dalla Cecoslovacchia, dalla Polonia, dall'Ungheria, dalla Romania, dalla Jugoslavia, ove il loro dramma si aggiunge a quello degli italiani dell'Istria. Si pensi ai polacchi e agli ucraini vittime di feroci espulsioni reciproche da territori in cui avevano convissuto per secoli, e ad altre sofferenze ancora: si inizieranno allora a intravedere i contorni di una fra le pagine più rimosse della storia europea. Questo studio illumina alcuni squarci di questa vicenda, in cui drammi personali e collettivi si intrecciano, ed evoca le ferite di memoria che quel trauma ha lasciato.
Quali sono gli elementi portanti del discorso sulla morte per la patria e del culto dei caduti in Italia? Quando e in quale contesto nascono? In quale misura sono prodotti culturali e politici "importati" da altri paesi? Quali sono le fasi principali, quali le cesure e le continuità più significative? Dal Risorgimento a oggi in Italia il culto dei caduti e il morire per la patria hanno rappresentato un fattore essenziale nella sacralizzazione della nazione, la cui apoteosi trovava la sua espressione più marcata nella legittimazione nazionale della morte in guerra, sacrificio del singolo per la comunità politica. Prende il via in questo modo una secolarizzazione del concetto cristiano di vita eterna, plasmato sulla nazione. Gli autori, storici dell'età moderna e contemporanea, attraverso le rappresentazioni simboliche del lutto, analizzano le forme che il tentativo di nazionalizzazione delle masse ha di volta in volta assunto. Dall'esaltazione ottocentesca degli eroi, immortalati nei monumenti, il più vistoso dei quali il Vittoriano, si passa alla commemorazione delle vittime di guerra. L'elogio dell'individuo si trasfigura nella celebrazione del Milite Ignoto. Nel secondo dopoguerra sono pochi gli eroi: si ha piuttosto una massificazione della morte ignota che coinvolge anche i civili. Sopravvive tuttavia una tradizione militare che, attraverso l'encomio solenne della morte eroica, mantiene vivo il legame con il passato risorgimentale.
Fin dove è lecito parlare di sesso, di eutanasia o di fecondazione assistita in televisione? È bene che un neonazista, un mafioso, un pedofilo abbiano una loro ribalta nei media, in nome del diritto all'informazione? Questioni che toccano i confini di accettabilità del discorso dei media intorno a temi controversi. Nasce da qui una "preoccupazione etica", una consapevolezza del fatto che il sistema dei media parla contemporaneamente a più persone, propone modelli comportamentali in conflitto, racconta storie reali e in ciascuna di tali occasioni applica e legittima principi morali condivisi. Essi trovano spazio di esemplificazione all'interno di film, fumetti, talk show o reality nei quali non è difficile riconoscersi. Ci si attende però, al contempo, che i media mantengano essi stessi una condotta etica, nel senso di rispettare norme che consideriamo fondamentali per tutelarci come cittadini e come lettori-spettatori. Tali norme sono comprese nel quadro di leggi e codici di autoregolamentazione. La "preoccupazione etica", così, alla fine tocca regole e modelli morali "rappresentati" nei messaggi insieme a regole e modelli morali "applicati" ai messaggi, ponendo l'interrogativo centrale del libro. Se cioè occuparsi di comunicazione comporti un "ragionare etico" parzialmente diverso da quello necessario altrove, tanto da individuare nei media un ambito specifico, e perciò anche originale, di considerazione.
Autoritario, narcisista, impietoso, indipendente, dotato di un fiuto finissimo per la notizia, dal 1948 al 1968 direttore della "Stampa", Giulio De Benedetti realizza il quotidiano che, anche secondo il "Times", meglio di qualsiasi altro ha saputo raccontare l'Italia del dopoguerra, del miracolo e della modernità. Ricostruendo per la prima volta la sua biografia professionale, a partire dalle esperienze come inviato e corrispondente in una fase del giornalismo italiano ancora pionieristica, per arrivare ai contrasti col regime fascista e alle conseguenti vicissitudini, questo libro spiega come De Benedetti, alla "Stampa", inventi un modello italiano di giornalismo, ancora attuale, basato su un mix di cultura alta e informazione popolare, di commenti affidati a intellettuali di spicco (Adelfi, Casalegno, Galante Garrone, Salvatorelli, Gorresio, Jemolo) e cronache forgiate nel lavoro collettivo di reporter ed estensori.
Cosa significava vivere giorno per giorno nel clima del Grande terrore? Grazie all'apertura di archivi finora inaccessibili, l'autrice esplora il paradosso di un sistema repressivo instaurato attraverso i meccanismi di partecipazione democratica nel partito, nel sindacato e nei luoghi di lavoro: nella psicologia di Stalin e dei suoi sostenitori non esisteva infatti contraddizione fra repressione e democrazia. E fu proprio la sollecitazione all'attivismo di massa a scatenare una scomposta guerra di tutti contro tutti, in cui l'impulso alla denuncia dei "nemici del popolo e della rivoluzione" finì con lo sfuggire al controllo e diede vita a un processo di autodistruzione. Le grandi purghe inaugurate contro gli oppositori dentro il partito si estesero fino a portare agli arresti e alle uccisioni in massa di presunti sabotatori e nemici di classe, accusati di scarsa "vigilanza" rivoluzionaria. Decentrando l'attenzione dalle vicende interne dei gruppi dirigenti e degli organismi di vertice del partito, le centinaia di documenti d'archivio consentono di ripercorrere i tortuosi fenomeni psicologici e organizzativi che all'interno di ogni istituzione e di ogni singolo luogo di lavoro innescarono una catena di conseguenze indesiderate che coinvolsero la vita di milioni di persone e compromisero irrimediabilmente il primo esperimento socialista.
Il Risorgimento, fase cruciale di gestazione dell'Italia contemporanea, nella memoria collettiva di molti italiani è percepito come un periodo su cui non è più necessario interrogarsi, oppure come un dato da rimettere in discussione quanto alla sua epica tradizionale: l'eroico risultato delle gesta di un pugno di audaci che spezzarono il giogo straniero finendo immortalati nella toponomastica di tutte le città d'Italia. Le rivoluzioni risorgimentali dal 1820 al 1860 sconvolsero il sistema politico creato dal Congresso di Vienna, avviando tra i ceti dirigenti, e in parte anche tra le classi popolari, quel processo di "costruzione della nazione" che avrebbe gettato le fondamenta dello stato italiano. Fu un processo che si sviluppò fra limiti e difficoltà: la rottura fra moderati e democratici; la presenza dello Stato della Chiesa come fattore destabilizzante dell'unità appena ottenuta; il malcontento sociale, l'instabilità politica, l'endemico stato di rivolta delle campagne; un assetto assai tradizionale dei rapporti di produzione; e non da ultimo la presenza di un sistema economico geograficamente molto squilibrato. Questo volume è una ricostruzione storiografica che muove da un approccio per temi: dalla storia sociale dell'Italia preunitaria all'analisi delle ideologie nazionalistiche, dalle dinamiche dello sviluppo economico agli assetti politico-istituzionali dell'ancien regime, fino alle recenti acquisizioni della nuova storia culturale.
È difficile liberarsi dell'immaginario che si è ormai stratificato, quasi incrostato, intorno all'idea di medioevo: quello di una manciata di secoli oscuri compressi tra la fine dell'antichità e il Rinascimento, di un'epoca popolata da una galleria variopinta di personaggi, dame e cavalieri, monaci, contadini oppressi dalle corvée, signori feudali. Di rado ci si ricorda, ad esempio, che il medioevo è durato mille anni e che tra Gregorio di Tours e san Tommaso d'Aquino c'è più o meno lo stesso numero di secoli che separa quest'ultimo da Jean-Paul Sartre. Con una scrittura assolutamente piana e godibile, che tuttavia nulla toglie al rigore dell'argomentazione, Fossier riesce a fare piazza pulita di tanti errori e luoghi comuni. Salutato alla sua uscita in Francia come un nuovo capolavoro della storiografia d'oltralpe, questo libro non è né un'opera di erudizione, né uno sguardo d'insieme sulla società medievale, sulla sua economia, la cultura e l'arte. Fossier segue un percorso espositivo originale e particolarmente efficace: restituisce al medioevo la sua gente, raccontando le vicende quotidiane delle persone comuni, che si preoccupano della pioggia o del cane, di cosa mettere nel piatto, delle chiacchiere della vicina o delle scarpe che fanno male. Di tutti coloro che la storia spesso tende a lasciarsi alle spalle, quelli di cui non si parla mai, perché non parlano, ma di cui ognuno di noi può condividere gioie e dolori.
L'influsso e il controllo esercitato nei secoli dalla Chiesa cattolica sulla cultura occidentale ha una storia secolare che arriva fino alla cronaca dei nostri giorni. E l'istituzione che ha incarnato tale storia è il cosiddetto Indice dei libri proibiti. Istituito nel 1559 e sopravvissuto per oltre cinquecento anni fino all'abolizione avvenuta nel 1965, l'elenco delle letture proibite contenute nell'Indice racchiude in sé il senso delle strenue battaglie condotte dal Vaticano non solo a sostegno della propria ortodossia, ma anche contro le sempre temute prevaricazioni della cultura laica. Solo da qualche anno è stato consentito agli storici l'accesso e la consultazione dei documenti che testimoniano l'attività della Congregazione che per secoli ha avuto il compito di stilarlo.
Il settore non profit è al centro di un crescente interesse non solo da parte degli operatori sociali, dell'opinione pubblica e dei decisori politici, ma anche degli studiosi. Con questo volume gli autori compiono una ricognizione complessiva sul terzo settore e avviano al contempo un nuovo filone di ricerca, sulla cosiddetta via italiana alla storia del non profit, e in particolare della cooperazione sociale con i suoi caratteri spiccatamente imprenditoriali.
Nel 1798, per effetto dei grandi rivolgimenti prodotti a scala europea dalla Rivoluzione francese, si verificò a Roma un evento del tutto straordinario: l'espulsione del papa dalla città e la nascita di un regime repubblicano. Improvvisamente, la fine della peculiare mescolanza del potere temporale e di quello spirituale restituivano a Roma il ruolo di città "normale", non più segnata dalla sacralità di un potere teocratico. Il libro di Marina Caffiero indaga in modo originale e inedito questo episodio della nostra storia, e con esso i temi della costruzione di una nuova mentalità e di una nuova identità politica, alle soglie dell'età contemporanea, a partire dagli aspetti più quotidiani delle pratiche e dei discorsi della democratizzazione.
Una storia della Germania in due volumi, dalla caduta dell'Impero romano sino alla recentissima riunificazione dopo la caduta del muro di Berlino. La ricerca si concentra sul rapporto tra democrazia e nazione. La vicenda tedesca, infatti, è segnata dal nazismo e Winkler pone quell'epoca al centro della sua riflessione: non solo scrive pagine di grande rigore ed equilibrio, ma sceglie di misurare tutta la storia tedesca con quell'evento. L'indagine cerca anche di valutare la supposta inevitabilità del fenomeno alla ricerca di tracce nei periodi precedenti che ne motivino l'insorgenza. Un'opera monumentale, ma non un monumento a un paese raccontato senza reticenze, narrandone grandezze e miserie, tragedie e riscatti.
Il tema del ritorno a un'alimentazione leggera e naturale non è una prerogativa del nostro mondo post-industriale. Ecco il ricettario vegetale (1781) di un grande cuoco del Settecento che ci riporta al clima culturale di un'altra grande svolta 'salutista'. Basta con la sofisticata e pesante cucina di carne, recita quel principe della gastronomia meridionale e mediterranea che fu il pugliese Vincenzo Corrado. Troneggiano, in questo trionfo della vegetale 'concinnitas', due ingredienti assolutamente nuovi nelle mani del 'Cuoco galante'. Due protagonisti fino ad ora riservati alle mense plebee e destinati, di lì a poco, a sbaragliare il campo: Il signor Pomodoro e la signora Patata.
Dai luoghi d'origine dell'antichità romana fino alle soglie della contemporanea Germania riunificata, l'autore ripercorre tutte le epoche del passato tedesco con un'esposizione volutamente sintetica, supportata da numerose immagini che rappresentano qualcosa di più di un'appendice illustrata: non soltanto arricchiscono il testo di un piacevole strumento visivo, ma costruiscono quasi un secondo percorso di lettura. In molti casi le didascalie forniscono una sorta di miniatura storica che accompagna e integra il testo.
Che cosa è stato il fascismo? Quali sono i tratti caratteristici che lo hanno imposto sulla scena storico-politica del Novecento? E quali sono gli elementi che legano questo fenomeno alla più generale vicenda italiana? Questo libro ha l'ambizione di proporre una risposta complessiva a questi interrogativi uscendo fuori dagli schemi delle solite interpretazioni ideologiche. E per fare questo affronta direttamente il cuore del problema concentrandosi sulla politica del fascismo.
Il libro raccoglie i saggi di Gioacchino Volpe pubblicati tra il 1907 e il 1912, e poi raccolti dall'autore in volume nel 1922. Attraverso l'analisi dell'eresia dei Patari, delle esperienze dei Valdesi, del grande movimento francescano e di altri fenomeni religiosi presenti in Italia tra l'inizio del secondo millennio e il Trecento, l'autore mette sotto osservazione quello che a suo modo di vedere fu soprattutto un cambiamento radicale di indirizzi sociali e politici, uno straordinario scontro di poteri tra coloro che attraverso l'innovazione religiosa forzarono i termini dei vecchi assetti e dei vecchi rapporti di forza, e coloro che rappresentarono, attorno all'istituzione cattolica e al potere papale, le istanze di ordine di quella società.
Strappato al suo ambiente naturale, ai suoi affetti, l'uomo esiliato, allontanato per forza dal suo paese, vive una condizione di indicibile sofferenza. Ma lo spaesamento può fondare un'esperienza positiva. Permette di non confondere l'ideale con il reale, la natura con la cultura. L'uomo spaesato, per poco che riesca a superare il risentimento che nasce dal rispetto e dall'ostilità di cui è fatto oggetto, scoprirà la curiosità e praticherà la tolleranza. La sua presenza tra gli "autoctoni" eserciterà a sua volta un benefico effetto spiazzante.