Guerra e shock energetico. Cambiamento climatico. Squilibri demografici e pressioni migratorie. Ricatti alimentari. Non è facile distinguere fra crisi vere e false Apocalissi annunciate da profeti interessati a gettarci nel terrore. Siamo entrati in un'era segnata dalla scarsità. Ci sentiamo assediati da ogni sorta di penuria. Mancano l'energia e spesso anche l'acqua. Alimenti essenziali costano più cari. Troppe aziende lamentano di non trovare lavoratori. Sullo sfondo c'è la decrescita della popolazione, che non risparmia la Cina. Con l'inflazione e il rialzo dei tassi diventa più rara e costosa la moneta. Quanto è reale, quanto è «fisica», oggettiva e palpabile, la scarsità in ciascuno di questi aspetti? Quanto è invece fabbricata, artefatta, il risultato di comportamenti e scelte politiche sbagliati? È irreversibile? O invece è un fenomeno temporaneo da cui usciremo come guarimmo da altre crisi? Il trauma, cominciato con la pandemia e aggravato dalla guerra in Ucraina, sarà solo l'inizio di una fase storica segnata da ristrettezze, sacrifici, razionamenti e tagli su tutto? Dalla profezia errata sulla fine dello sviluppo che fu l'ossessione degli anni Settanta, dovrebbe essersi insinuato fra noi un dubbio: che vedere dietro l'angolo l'Apocalisse imminente sia un tratto di civiltà decadenti. In Europa diverse opinioni pubbliche chiedono sempre più Stato. Gli aiuti erogati durante la pandemia sono un antipasto rispetto a tutto quel che viene richiesto ai governi per proteggerci dalle avversità. Uno Stato-mamma troppo invadente addormenta i riflessi vitali e non è efficiente, sono state proprio le scelte dei governi negli anni passati ad aver fabbricato questo disastro. L'Italia è il paese occidentale più vulnerabile alla tentazione statalista, per il suo debito pubblico già eccessivo; perché ha una burocrazia invadente e inetta; perché una parte della sua popolazione ha introiettato l'assistenzialismo come orizzonte di vita. I passaggi d'epoca, le grandi rotture storiche, si capiscono guardando a un triangolo fondamentale: energia, moneta, tecnologia (che include le armi). L'America domina ancora quel triangolo strategico. L'Europa arranca in ritardo. Ha le idee confuse, invischiate in dogmi e tabù. Ha più velleità che ambizioni. Ha il disarmo facile. E con il disarmo arriva la sottomissione. Il lungo inverno all'insegna di tante scarsità è anche inverno della ragione. Lo supereremo se attingiamo alle qualità del nostro modello, non se ammiriamo chi ci odia. Il lungo inverno può preludere a una stagione di creatività, in cui troveremo risposte innovative ai nostri problemi energetici ed economici.
«Cent'anni fa, in questi stessi giorni, la nostra patria cadeva nelle mani di una banda di delinquenti, guidata da un uomo spietato e cattivo. Un uomo capace di tutto; persino di far chiudere e morire in manicomio il proprio figlio, e la donna che l'aveva messo al mondo». Comincia così il racconto di Aldo Cazzullo su Mussolini. Una figura di cui la maggioranza degli italiani si è fatta un'idea sbagliata: uno statista che fino al '38 le aveva azzeccate quasi tutte; peccato l'alleanza con Hitler, le leggi razziali, la guerra. Cazzullo ricorda che prima del '38 Mussolini aveva provocato la morte dei principali oppositori: Matteotti, Gobetti, Gramsci, Amendola, don Minzoni, Carlo e Nello Rosselli. Aveva conquistato il potere con la violenza - non solo manganelli e olio di ricino ma bombe e mitragliatrici -, facendo centinaia di vittime. Fin dal 1922 si era preso la rivincita sulle città che gli avevano resistito, con avversari gettati dalle finestre di San Lorenzo a Roma, o legati ai camion e trascinati nelle vie di Torino. Aveva imposto una cappa di piombo: Tribunale speciale, polizia segreta, confino, tassa sul celibato, esclusione delle donne da molti posti di lavoro. Aveva commesso crimini in Libia - 40 mila morti tra i civili -, in Etiopia - dall'iprite al massacro dei monaci cristiani -, in Spagna. Aveva usato gli italiani come cavie per cure sbagliate contro la malaria e per vaccini letali. Era stato crudele con tanti: a cominciare da Ida Dalser e dal loro figlio Benitino. La guerra non fu un impazzimento del Duce, ma lo sbocco logico del fascismo, che sostiene la sopraffazione di uno Stato sull'altro e di una razza sull'altra. Idee che purtroppo non sono morte con Mussolini. Anche se Cazzullo demolisce un altro luogo comune: non è vero che tutti gli italiani sono stati fascisti. E l'antifascismo dovrebbe essere un valore comune a tutti i partiti e a tutti gli italiani.
Angela Merkel è la misteriosa scienziata emersa dalle macerie del Muro di Berlino che in pochi anni conquista il partito di Helmut Kohl. È la cancelliera che trasforma la Germania nel Paese più potente d'Europa. È la donna dell'Est, la figlia di un pastore protestante che blinda precocemente la sua vita privata e occupa per trent'anni il centro della scena politica tedesca: batte i rivali e cannibalizza gli alleati. È quasi sempre la donna più intelligente nella stanza, raccontano unanimi i suoi confidenti e persino i suoi nemici. Tonia Mastrobuoni, con il piglio narrativo e la capacità analitica che si riscontra nei suoi reportage, nelle interviste e nei commenti sul quotidiano «la Repubblica» per cui è corrispondente da Berlino, alla trama dei documenti politici e storici riguardanti la cancelliera intreccia l'ordito di racconti e retroscena inediti, mostrando il raro talento politico di Angela Merkel. Un Proteo che assorbe le istanze migliori di tutti, una leader postideologica che, con istinto infallibile, sfrutta le debolezze degli avversari. Non sempre le sue strategie hanno garantito progressi all'Europa: a volte i suoi limiti caratteriali hanno portato il continente sull'orlo della catastrofe. Ma la più longeva cancelliera della storia lascia un'eredità difficile da sottovalutare e una generale nostalgia. Dopo sedici anni alla guida della Germania, c'è ancora chi la considera un corpo estraneo, quasi un incidente o un episodio irripetibile. Alla vigilia del suo addio, Merkel è ancora, per tanti aspetti, l'inattesa.
«Questo libro è un viaggio nel grande paradosso di una sfida planetaria. Vi racconto una faccia della Cina troppo nascosta e inquietante, che l'élite occidentale ha deciso di non vedere. Rivelo il gioco dei corsi e ricorsi, tra due superpotenze che si studiano e si copiano a vicenda. E spiego il Nuovo Grande Esperimento Americano, che tenta di invertire il corso della storia prima che sia troppo tardi». Federico Rampini racconta una sfida fatta anche di contaminazione reciproca, perché alcuni problemi sono simili: dalle diseguaglianze sociali allo strapotere di Big Tech, dalla crisi ambientale e climatica alla corsa per dominare le energie rinnovabili. Rampini mette a nudo gli aspetti meno noti della Cina di Xi Jinping, con un viaggio insolito nella cultura etnocentrica e razzista degli Han, le abitudini di vita dei Millennial, l'imperialismo culturale nella saga cinematografica del Guerriero Lupo, la letteratura di fantascienza come stratagemma per aggirare la censura, la riscoperta di Mao, le mire aggressive, il militarismo. Senza sottovalutare il groviglio di sospetti che ancora circondano le origini del Covid. L'Esperimento Biden vuole opporre all'espansionismo aggressivo di Pechino un modello socialdemocratico ispirato a Roosevelt e Kennedy. Si scontra però con le divisioni interne all'America. Il capitalismo americano dei Trenta Tiranni ha stretto un patto diabolico con Pechino. Mezza società americana, inclusa «la meglio gioventù», denuncia il proprio paese come l'Impero del Male, vede nell'Uomo Bianco un persecutore da processare per tutte le ingiustizie della storia. Per fermare Pechino le democrazie occidentali non possono contare sulla coesione, sul nazionalismo e sull'autostima che animano i cinesi. Il rischio che la competizione degeneri fino allo scontro militare è più alto di quanto crediamo. L'Europa è un terreno di conquista per le due superpotenze, perché questa è un'altra sorpresa: sia l'America che la Cina sono uscite rafforzate dalla pandemia. La resa dei conti diventa ancora più affascinante, inquietante, drammatica. Una grande inchiesta nel cuore delle due nazioni che hanno in mano il nostro futuro, firmata da un giornalista e scrittore «nomade globale», con una vita condivisa tra Oriente e Occidente.
«I nostri nemici finiranno all'Inferno; le nostre mamme in Paradiso; ma a noi un po' di Purgatorio non lo leva nessuno. Per questo il Purgatorio è il posto degli uomini, dove andremo tutti. Meglio sapere per tempo quel che ci aspetta. Dante stesso pensava di finirvi da morto, nel girone dei superbi...». Aldo Cazzullo prosegue il viaggio sulle orme del «poeta che inventò l'Italia». Il romanzo della Divina Commedia, dopo l'Inferno, racconta ora il Purgatorio: il luogo del «quasi», dell'attesa della felicità; che è in sé una forma di felicità. Un mondo di nostalgia ma anche di consolazione, dove il tempo che passa non avvicina alla morte ma alla salvezza. Una terra di frontiera tra l'uomo e Dio, con il fascino di una città di confine. La tecnica narrativa è la stessa di "A riveder le stelle". La ricostruzione del viaggio nell'Aldilà viene arricchita dai riferimenti alla storia, alla letteratura, al presente. Il Purgatorio è il luogo degli artisti: il musico Casella, il poeta Guinizzelli, il miniaturista Oderisi che cita l'amico di Dante, Giotto. Ci sono i condottieri pentiti nell'ultima ora: Manfredi con il ciglio «diviso» da un colpo, Bonconte delle cui spoglie il diavolo ha fatto strazio, Provenzano Salvani che si umiliò a chiedere l'elemosina per un amico in piazza del Campo a Siena. E ci sono le donne: gli occhi cuciti dell'invidiosa Sapìa, le lacrime disperate della vedova Nella e la splendida apparizione di Pia de' Tolomei, l'unico personaggio a preoccuparsi per la fatica di Dante, «Deh, quando tu sarai tornato al mondo/ e riposato della lunga via...». Nel Purgatorio, oltre a descrivere il Bel Paese, il poeta pronuncia la sua terribile invettiva civile: «Ahi serva Italia, di dolore ostello...». E in cima alla montagna, entrato nell'Eden, ritrova Beatrice, più bella ancora di come la ricordava. Dante trema per l'emozione, piange, perde Virgilio, e si prepara a volare con la donna amata in Paradiso. E ognuno di noi, dopo due anni di pandemia, ha capito quello che il Purgatorio vuole significare. Può così sentirsi come Dante: «Puro e disposto a salire a le stelle».
Il mondo sta per cambiare, di nuovo. Al termine di un anno sconvolto da avvenimenti inimmaginabili, gli americani hanno scelto il 46° presidente degli Stati Uniti in una delle elezioni più contese della storia. Joe Biden e Kamala Harris sono il nuovo volto della Casa Bianca. La loro vittoria ha catalizzato le speranze di decine di milioni di persone, ma la sfida che hanno davanti non è semplice: sarà interessante osservare come proveranno a traghettare gli Stati Uniti fuori dal momento più delicato della storia recente. Il modo migliore per conoscere come sarà la Casa Bianca di Joe Biden e Kamala Harris è conoscere chi sono e cosa hanno fatto fin qui. Perché la politica e il potere non cambiano le persone: le rivelano per quello che sono. Francesco Costa traccia quindi un ritratto della nuova presidenza percorrendo le straordinarie biografie dei due protagonisti, e i momenti che hanno segnato le loro vite. Dalla campagna elettorale del 1972, con cui Joe Biden diventò il più giovane senatore degli Stati Uniti, alla vicepresidenza al fianco di Barack Obama, dall'infanzia di Kamala Harris nei quartieri-ghetto per afroamericani della West Coast alla carriera da avvocata e procuratrice che l'ha portata a scrivere il suo nome nella storia americana ancora prima di diventare la prima donna, la prima persona di colore e la prima indiana-americana vicepresidente degli Stati Uniti d'America. Le vittorie, le sconfitte, gli errori ci raccontano qualcosa non solo del tipo di presidente e vicepresidente che governeranno la più grande potenza mondiale, ma anche delle lezioni che hanno imparato nel corso delle loro vite, di come hanno affrontato avversari e ostacoli. Soprattutto, quelle vittorie, sconfitte ed errori sono rappresentativi «di una comunità che va molto oltre le loro persone». Perché «nelle loro qualità e nei loro limiti, Joe Biden e Kamala Harris somigliano all'America».
«Mi aiuti a scoprire chi era mio padre? Non l'ho mai conosciuto, ma è sempre con me.» Per mesi questa richiesta, arrivata alla fine di una presentazione de "La mattina dopo", è rimasta sepolta nei miei pensieri. Poi, la mail di un missionario che vive nel deserto algerino mi ha convinto a mettermi in viaggio. Il padre di Marta scomparve nel 1975 quando lei non era ancora nata, risucchiato nel gorgo del terrorismo che aveva cominciato a insanguinare l'Italia. Carlo Saronio, figlio di una delle famiglie più benestanti di Milano, non aveva ancora ventisei anni quando venne tradito dagli amici con cui condivideva ideali rivoluzionari. Marta per anni non ha mai fatto domande, immersa in un faticoso silenzio. Ma non si può vivere in eterno con i fantasmi, arriva sempre il giorno in cui dobbiamo fare i conti con le memorie, anche le più dolorose. Così le ho detto di sì, e ho cominciato un viaggio alla ricerca delle tracce di quel ragazzo che viveva sospeso tra due mondi inconciliabili, che trovò il coraggio di scegliere la sua strada quando era troppo tardi. Scavando nei ricordi di una Milano in cui il passato è ancora presente tra noi, sono riuscito a riannodare i fili di una storia mai raccontata, che appartiene anche a me.
Ripartire, ricostruire, rinascere. Ne abbiamo gran bisogno. La buona notizia è questa: siamo capaci di farlo. Civiltà intere sono sopravvissute a eventi terribili. Dopo ogni guerra c'è una ricostruzione. Dopo ogni depressione arriva un'età dell'ottimismo e del progresso. Federico Rampini racconta storie di tragedie collettive, sconfitte, decadenze, seguite da «miracoli». Successi costruiti partendo dalle macerie, quando tutto sembrava perduto, e invece stava per sorgere una nuova luce all'orizzonte. I cantieri dove si sono raccolte le energie e le idee, per costruire un futuro migliore. Il crollo dell'Impero romano è l'archetipo di ogni decadenza. Ogni altro impero o superpotenza ha paura di fare quella fine, cerca di capire come accadde, tenta di evitare quel destino. Nuove interpretazioni dell'antichità rivelano gli eventi fatali che possono portare una civiltà a soccombere. E quali speranze sopravvivono a quei disastri epocali. A metà dell'Ottocento l'America dello schiavismo, della guerra civile, periodo tragico in cui un popolo si è diviso a morte, lascia tracce profonde nell'America di oggi, segnata dalla questione razziale. Anche nei suoi fallimenti, quel periodo ha molto da insegnarci. La Grande Depressione degli anni Trenta è la madre di tutte le crisi nell'era contemporanea. In mezzo all'impoverimento di massa, genera uno degli esperimenti più audaci di innovazione politica al servizio dei cittadini, il New Deal. Il Piano Marshall del 1947 è un altro cantiere: con quegli aiuti l'Europa cominciò la ripresa dopo il più distruttivo dei conflitti. Ma chi ricorda oggi come funzionò? Esplorarne la storia reale illumina il dibattito attuale sul Recovery Fund nell'Unione europea post-pandemia. Dei «miracoli» nel dopoguerra quello francese era il più improbabile. La Francia subisce tre sconfitte ravvicinate - il secondo conflitto mondiale, l'Indocina, l'Algeria - e ha un sistema politico a pezzi. Il Giappone è un caso unico nella storia, dopo la guerra i giapponesi importano la liberaldemocrazia come la prescrive l'America. Le rinascite non sono mai finite: dall'incidente nucleare di Fukushima alla gestione della pandemia. Della Cina è memorabile il riscatto dopo due abissi: la Rivoluzione culturale nella seconda metà degli anni Sessanta, il massacro di Piazza Tienanmen nel 1989. È andata ben oltre le aspettative, fino ad avverare in buona parte le previsioni di un «secolo cinese». È la reazione collettiva alla sciagura a stabilire se una comunità ne esce fiaccata oppure purificata e rinvigorita.
Bullismo, depressione, autolesionismo, gelosia, adescamenti, violenza. Le derive e i pericoli dell'adolescenza sono molteplici e complessi, tanto da spaventare non solo i ragazzi, ma anche insegnanti e genitori. Quante volte ci siamo chiesti cosa ci sia nella mente di un giovane carnefice o di una giovane vittima? E quali pensieri, stati d'animo e ragionamenti si nascondano dietro ad azioni che spesso fatichiamo a comprendere? Maura Manca, psicoterapeuta e formatrice, che da anni dialoga con i ragazzi e dunque li conosce bene, ci aiuta a entrare nella loro testa. E lo fa mimetizzandosi, parlando dal loro punto di vista e con la loro voce. Nasce così questa serie di racconti, narrati in prima persona, ispirati alle storie vere di giovani che l'autrice ha incontrato e supportato. Un'immersione totale, commovente e a tratti scioccante, che non lascia il lettore indifferente. Perché dietro ai pugni di un bullo o di un fidanzato violento, dietro ai tagli di un autolesionista o al silenzio di una ragazza stuprata, c'è sempre un oceano di dolore e di rabbia in cui annega la razionalità, un'incapacità di comunicare che si accompagna al desiderio di ascolto e comprensione e alla voglia di riscatto. Alla base dei problemi relazionali dei giovani spesso c'è la difficoltà di riconoscere e gestire in modo consapevole le proprie emozioni e quelle dell'altro, la paura, la noia, l'iperprotettività dei genitori o, al contrario, la totale mancanza di regole e controllo. Non va poi dimenticato che sono figli di una società dove violenza e aggressività sono normalizzate e parte della dieta mediatica quotidiana. Una società molto competitiva, e assai poco cooperativa. Quando i suoi giovani pazienti le dicono «tu mi leggi nel pensiero», la dottoressa Manca sorride e risponde che semplicemente li ascolta, conosce il loro mondo e si mette nei loro panni. Nessun ragazzo è «sbagliato», così come nessun ragazzo è «perduto». Molti perseverano nell'errore o nel dolore perché sono circondati da adulti assenti, sordi o indifferenti alle loro richieste d'aiuto. Conoscerli, capirli, è il primo passo per aiutarli.
I due interlocutori, che pur appartenendo a generazioni diverse sono legati da una profonda sintonia pedagogica e dall’esperienza didattica della Penny Wirton, mostrano come una riflessione sul razzismo iniziata già prima del Covid-19 risulti cruciale per analizzare il crescente consenso internazionale ottenuto dalle correnti sovraniste, che si nutrono delle disparità causate dal trionfo del consumismo, della cultura narcisistica e della rivoluzione tecnologica. Non a caso, quando una società è dominata dalla paura e dall’incertezza, le false identificazioni del «diverso» hanno una presa efficace e alimentano il nostro razzismo quotidiano, ben più diffuso e sordido degli episodi clamorosi che finiscono sui giornali. Si tratta di una sconfitta culturale bruciante, soprattutto per chi ha il ruolo di educare le giovani generazioni, che sui banchi riproducono i modelli ingenuamente introiettati nello spazio privato o sui social network.
Ecco dunque che l’analisi sulla strumentalizzazione politica del fenomeno migratorio, che la solitudine degli intellettuali contemporanei non riesce a scalfire, si trasforma in un’accorata riflessione sulle ultime possibilità di resistenza civile, oggi praticabili specialmente a scuola, là dove tutti i nodi s’intrecciano ma possono essere ancora sciolti. Proprio la scuola, infatti, può offrire uno spazio di speranza, in cui allenare la consapevolezza di far parte di una comunità.
È così che I meccanismi dell’odio, un viaggio intellettuale che attinge vigore da molti grandi pensatori – da don Lorenzo Milani a Philip Roth, da Toni Morrison a Pierre Bourdieu -, trasmette la determinazione a perseverare anche di fronte alle crisi più gravi, con quella fiducia che soltanto chi crede nella natura pedagogica dell’insegnamento è capace di comunicare.
Eraldo Affinati, scrittore e insegnante fra i più sensibili ai temi etici, insieme alla moglie ha fondato la Penny Wirton, una scuola gratuita di italiano per immigrati. Ha esordito con Veglia d'armi. L'uomo di Tolstoj (Marietti 1992, Mondadori 1998). Autore prolifico, ha curato l'edizione completa delle opere di Mario Rigoni Stern, Storie dall'Altipiano (I Meridiani, Mondadori, 2003). Il suo ultimo libro s'intitola Via dalla pazza classe. Educare per vivere (Mondadori, 2019)
Marco Gatto
Marco Gatto, studioso e ricercatore, è tra i fondatori delle scuole Penny Wirton.
È successo all'improvviso, un virus ha sconvolto il mondo intero e, in un attimo, ci ha tolto la nostra libertà. Tutto è cambiato, ci hanno detto di rimanere a casa e lì abbiamo scoperto quanto sia difficile convivere, resistere, mantenere viva la speranza. Dopo la fugace euforia dei canti dai balconi, abbiamo scoperto una paura collettiva che in qualche caso è diventata panico, terrore. Sono vacillate le nostre certezze e, insieme alla quotidiana conta dei morti, anche le nostre speranze. La parte del mondo più avanzata, l'Occidente tecnologico e scientifico, è improvvisamente diventata frangibile e imperfetta. Ma non tutti i mali vengono per nuocere: alcuni, segnando, insegnano. L'epidemia ci ha costretti tra quattro mura, è vero, ma così facendo ci ha permesso di rallentare e tirare il fiato, di riscoprire abitudini e sogni abbandonati in un cassetto durante la forsennata corsa quotidiana e, dunque, di conoscerci di più. Abbiamo scoperto di essere molto meno forti di quello che pensavamo. Abbiamo scoperto di essere vulnerabili. Ma è proprio da questa vulnerabilità che dobbiamo e possiamo partire, accettando le nostre debolezze e i nostri limiti, sperando che il virus abbia ucciso l'arroganza e la protervia. Il delirio di onnipotenza che ci aveva annebbiato le menti, che ci aveva resi incuranti del cambiamento climatico, dell'inquinamento, delle sperequazioni economiche e sociali, forse, è caduto per sempre. In questo libro Paolo Crepet analizza cosa è accaduto durante i mesi di lockdown e la lenta ripartenza, e cosa ci aspetta in un presente ancora minacciato dal virus. E si concentra sulla necessità del cambiamento, che per lui significa «non uccidere la speranza di poter avere un futuro diverso da quello che ci eravamo meritati». Non solo un saggio, ma anche un viaggio dentro di noi, per scoprire cosa dobbiamo salvare dell'umanità e quali cambiamenti sono necessari per salvaguardare il domani.
Da tanti anni Daniela Lucangeli si occupa di capire come aiutare bambini in difficoltà, da persona di scienza e di servizio. Sono bimbi con vulnerabilità del neurosviluppo e dell'apprendimento, ma non solo: sono bimbi che soffrono, che faticano, che non si sentono capiti. Il suo lavoro consiste nell'aiutare a far emergere il loro potenziale neuro-psico-comportamentale, che si tratti di contare, di leggere, di scrivere, oppure di guardare un'altra persona negli occhi e di stabilire con lei una connessione di reciprocità e umana comprensione. La sua traiettoria di studiosa ha cambiato direzione ogni volta che ha incontrato un bambino che non sapeva come aiutare. Quando è capitato, si è sempre detta: «Se ciò che so non è sufficiente per aiutarlo, devo sapere di più. Devo andare più a fondo». E l'ha fatto, cercando risposte alla stessa tipologia di domande che si poneva da piccola, quando era a sua volta una bambina bisognosa d'aiuto, perché ipersensibile: «Sotto a questo errore che cosa c'è? E sotto al perché questo bimbo l'ha commesso che cosa c'è? E sotto a come gli è stato insegnato a ragionare che cosa c'è?». In "A mente accesa", Daniela Lucangeli racconta le storie di questi bambini e risponde a quelle domande di scienza che, mentre la sospingevano a progredire nella sua ricerca, le mostravano anche inediti percorsi di vita. Perché scienza e vita non sono chiuse in scomparti separati, refrattari uno all'altro; sono, piuttosto, intrecciate: rotolano una dentro l'altra, muovendosi in sincronia, come mente e corpo, come cognizione ed emozione. Prima di tutti gli incontri determinanti, infatti, a indirizzare la traiettoria di questa insigne scienziata, che il mondo ci invidia, è stata proprio la bambina di cui non racconta mai: lei stessa. È da lei che tutto è partito ed è da lei che questo libro prende le mosse, per arrivare a rendere fruibili, e dunque servizievoli, contenuti nei campi di intersezione di scienze distinte ma complementari (dalle neuroscienze alla psicologia dello sviluppo, dalle scienze cognitive a quelle dell'educazione), fondamentali per chiunque intenda contribuire a costruire per i bambini il migliore dei mondi possibili, e dunque il futuro migliore per tutti. Quello in cui ciascuno potrà trovare in se stesso, attraverso l'altro, la forza di essere la versione migliore di sé.
In un indistinto oceano primordiale, tre miliardi e mezzo di anni fa, ebbe inizio quella che noi chiamiamo «vita». Un processo inarrestabile, che dai primi organismi unicellulari portò a un'esplosione di piante e animali e infine alla comparsa di Homo sapiens , la specie umana cui apparteniamo. Da allora, sulla Terra si sono susseguite poco più di ottomila generazioni di esseri umani, cento miliardi di individui diversi, di storie diverse pronte a perdersi nella grande avventura dell'evoluzione. Eppure, in questo flusso, qualcosa resta. Qualcosa di invisibile, ma duraturo. Una filigrana biologica che resiste a stravolgimenti e catastrofi, senza spezzarsi mai. Una sostanza virtualmente eterna che, come un filo di Arianna, si snoda ininterrotta, si disperde in mille rivoli nell'albero della vita e ci unisce tutti. Il DNA. Un programma di replicazione con cui le cellule fanno copie di se stesse, si dividono, si differenziano, permettono a un organismo di nascere, di crescere, di riparare i danni e di guarire. Un direttore d'orchestra che sorveglia e coordina miriadi di processi e scambi. Una biblioteca con migliaia di volumi che raccontano la nostra storia più remota, come pure quella del nostro ambiente, ma che ci forniscono anche tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno quando dobbiamo affrontare una malattia come il cancro. Attraverso le tappe fondamentali dell'evoluzione della nostra specie, questo libro ripercorre la storia di un'invenzione straordinaria, ne descrive le caratteristiche, le leggi che la governano, il funzionamento, i passi compiuti dalla scienza per svelarne i segreti e i nuovi campi di applicazione, anche nella lotta al cancro. Ma soprattutto ci ricorda l'importanza della ricerca scientifica, della ricerca pura e disinteressata, guidata dalla curiosità e dall'amore incondizionato per la conoscenza. L'unico antidoto contro il dogmatismo e l'integralismo delle ideologie e dei preconcetti.
È una domenica mattina di fine giugno e Sergio e Giovanna, come d'abitudine, hanno invitato a pranzo nel loro appartamento al Testaccio due coppie di cari amici. Stanno facendo gli ultimi preparativi in attesa degli ospiti quando una sconosciuta si presenta alla loro porta. Molti anni prima ha vissuto in quella casa e vorrebbe rivederla un'ultima volta, si giustifica. Il suo sguardo sembra smarrito, come se cercasse qualcuno. O qualcosa. Si chiama Elsa Corti, viene da lontano e nella borsa che ha con sé conserva un fascio di vecchie lettere che nessuno ha mai letto. E che, fra aneddoti di una vita avventurosa e confidenze piene di nostalgia, custodiscono un terribile segreto. Riaffiora così un passato inconfessabile, capace di incrinare anche l'esistenza apparentemente tranquilla e quasi monotona di Sergio e Giovanna e dei loro amici, segnandoli per sempre. Ferzan Ozpetek, al suo terzo libro, dà vita a un thriller dei sentimenti, che intreccia antiche e nuove verità trasportando il lettore dall'oggi alla fine degli anni Sessanta, da Roma a Istanbul, in un susseguirsi di colpi di scena, avanti e indietro nel tempo. Chi è davvero Elsa Corti? Come mai tanti anni prima ha lasciato l'Italia quasi fuggendo, allontanandosi per sempre dalla sorella Adele, cui era così legata? Pagina dopo pagina, passioni che parevano sopite una volta evocate riprendono a divampare, costringendo ciascuno a fare i conti con i propri sentimenti, i dubbi, le bugie. Il presente si mescola al passato per narrare la potenza della vita stessa, che obbliga a scelte da cui non si torna più indietro. Ma anche per celebrare - come solo Ozpetek sa fare - una Istanbul magica, sensuale e tollerante, con i suoi antichi hamam, i palazzi ottomani che si specchiano nel Bosforo, i vecchi quartieri oggi scomparsi.
Siamo abituati a pensare che le foreste siano statiche, che stiano lì, immobili, da sempre. Ma non è così. Semplicemente vivono, e cambiano, a un ritmo più lento del nostro. C'è, tuttavia, un momento in cui abbiamo la possibilità di apprezzarne il cambiamento, e, ironia della sorte, è proprio quando vi si abbatte una calamità o, come si dice in ecologia, un «disturbo». Che sia un incendio, un'alluvione, un'eruzione, ciò che segue non è l'estinzione totale. Al contrario. Disturbi di questo tipo sconvolgono un ecosistema, ma al tempo stesso aprono la strada a nuove specie animali e vegetali. Come le orchidee, ad esempio, che muoiono all'ombra fitta degli alberi, ma proliferano nei terreni aperti e assolati. O come le aquile, che battono le foreste disastrate perché, senza gli alberi, godono di maggiore visibilità sulle prede a terra. Ed è proprio questa capacità di adattamento, questa naturale resilienza, ad accumunare i boschi e le foreste che Vacchiano ha incontrato durante la sua attività di ricerca e i suoi viaggi, e che racconta in queste pagine. Una resilienza acquisita grazie a milioni di anni di lenta evoluzione, che però potrebbe non bastare di fronte alle pressioni e ai cambiamenti estremamente repentini a cui stiamo sottoponendo la nostra casa comune da un secolo a questa parte. E quindi? Vacchiano indica una strada. Dal parco nazionale di Yellowstone negli Stati Uniti alla foresta pluviale delle isole Haida Gwaii nell'Oceano Pacifico, fino alla piemontese Val Sessera, ogni bosco rivela storie di connessioni: tra alberi e alberi, tra alberi e animali, tra alberi e acqua, o aria, o fuoco. Tra alberi e uomini. E anche, tra uomini e uomini. Dimostrando quanto siamo immersi negli ecosistemi che ci danno la vita. Siamo in relazione con ogni loro elemento. Che ne siamo consapevoli o meno, noi siamo una loro causa e un loro effetto. Le storie che Vacchiano racconta parlano di piante, boschi, foreste, ma soprattutto di noi, di come sapremo immaginare il nostro futuro in relazione all'ambiente che ci circonda.
Il mondo è cambiato molto più di quanto gli occidentali si rendano conto. Il tramonto del secolo americano e la possibile transizione al secolo cinese bruciano le tappe. Ci siamo distratti mentre la Cina subiva una metamorfosi sconvolgente: ci ha sorpassati nelle tecnologie più avanzate, punta alla supremazia nell'intelligenza artificiale e nelle innovazioni digitali. È all'avanguardia nella modernità ma rimane un regime autoritario, ancora più duro e nazionalista sotto Xi Jinping. Unendo Confucio e la meritocrazia, teorizza la superiorità del suo modello politico, e la crisi delle liberaldemocrazie sembra darle ragione. L'Italia è terreno di conquista per le Nuove Vie della Seta. In Africa è in corso un'invasione cinese di portata storica. Due imperi, uno declinante e l'altro in ascesa, scivolano verso lo scontro. L'America si è convinta che, «ora o mai più», la Cina va fermata. Chi sta in mezzo, come gli europei, rimarrà stritolato? Nessuno è attrezzato ad affrontare la tempesta in arrivo. Neppure i leader delle due superpotenze hanno un'idea chiara sulle prossime puntate di questa storia, sul punto di arrivo finale. Mettono in moto forze che loro stessi non sapranno dominare fino in fondo. Pochi anni fa le due superpotenze sembravano diventate quasi una cosa sola, tanta era la simbiosi tra la fabbrica del mondo (cinese) e il suo mercato di sbocco (americano). Quell'epoca si è chiusa e non tornerà. Sta succedendo ciò che molti esperti consideravano impossibile. I dazi sono stati solo l'acceleratore di un divorzio che cambierà le mappe del nostro futuro. Trump può subire l'impeachment o perdere le elezioni nel 2020 ma i democratici che lo sfidano sono diventati ancora più intransigenti con Pechino. La resa dei conti precipita a tutti i livelli. Questo libro è una guida e un manuale di sopravvivenza nel mondo nuovo che ci attende.
«Sono anni che mi interrogo sul giorno dopo. Sappiamo tutti di cosa si tratta, di quel risveglio che per un istante è normale, ma subito dopo viene aggredito dal dolore.» Quando si perde un genitore, un compagno, un figlio, un lavoro, una sfida decisiva, quando si commette un errore, quando si va in pensione o ci si trasferisce, c'è sempre una mattina dopo. Un senso di vuoto, una vertigine. Che ci prende quando ci accorgiamo che qualcosa o qualcuno che avevamo da anni, e pensavamo avremmo avuto per sempre, improvvisamente non c'è più. Perché dopo una perdita o un cambiamento arriva sempre il momento in cui capiamo che la vita va avanti, sì, ma niente è più come prima, e noi non siamo più quelli di ieri. Un risveglio che è inevitabilmente un nuovo inizio. Una cesura dal passato, un da oggi in poi. A questo momento, delicato e cruciale, Mario Calabresi dedica il suo nuovo libro, partendo dal proprio vissuto per poi aprirsi alle esperienze altrui. E racconta così prospettive e vite diverse, che hanno tutte in comune la lotta per ricominciare, a partire dalla mattina dopo. Per Daniela è dopo l'incidente in cui ha perso l'uso delle gambe, per Damiano è dopo il disastro aereo a cui è sopravvissuto, per Gemma è dopo la perdita del marito. Ma è anche un viaggio nel passato familiare, con la storia di Carlo e del suo rifiuto di prendere la tessera del fascismo, che gli costò il posto di lavoro ma gli aprì una nuova vita felice. Storie di resilienza, di coraggio, di cambiamento, storie di persone che hanno trovato la forza di guardare oltre il dolore dell'oggi, per ricostruirsi un domani. Perché, realizza Calabresi, «il giorno dopo finisce quando i conti sono regolati, quando ti fai una ragione delle cose e puoi provare a guardare avanti, anche se quel davanti magari è molto diverso da quello che avevi immaginato».
Siamo Palermo: ovvero siamo fatti della stessa pasta di cui è fatta questa città. Simonetta Agnello Hornby e Mimmo Cuticchio si sono incontrati in anni recenti, ne è nata un'amicizia, ne è nata un'intesa che ha destato la visione a due voci di Palermo, Capitale italiana della Cultura 2018. Simonetta e Mimmo raccontano e si raccontano, obbedendo al fascinoso labirinto che storia e memoria disegnano per loro. Ecco allora la Palermo della guerra, la Palermo vista dal mare e attraverso le trasparenze delle acque dolci che ancora la attraversavano, la Palermo della ricostruzione selvaggia, la Palermo dei morti per mafia. Ecco i vicoli della "munnizza", i palazzi nobiliari, le statue del Serpotta, magnifiche e sensuali, le prostitute (la bionda Nicoletta che faceva sollevare le pietre sulle quali camminava), il cuntista che fa roteare la spada per impressionare il pubblico, le grandi figure della Chiesa che si sono schierate con i poveri e contro la mafia, le atmosfere di sangue degli anni Novanta, lo Spasimo e Palazzo Butera, Palazzo Branciforte, l'arte e le isole pedonali. Simonetta e Mimmo evocano una città che guarda all'Europa, non solo in ragione della sua bellezza e delle sue contraddizioni, ma anche per il desiderio di futuro che vengono esprimendo le istituzioni e le nuove generazioni.
«Ci sono storie che scegliamo noi di raccontare, le selezioniamo tra le mille da cui ogni giorno veniamo bombardati, e le curiamo, le coltiviamo fino a quando non sono pronte per andare in onda. Poi ce ne sono altre che, invece, si scelgono da sole; se ne stanno lì nascoste in qualche cassetto, in qualche ritaglio di giornale, e al momento giusto saltano fuori, ti chiamano, si rubano la scena. E a te non resta altro che lasciarle fare e ammirare in silenzio lo spettacolo.
Le prime sono, numericamente, la maggior parte. Sono quelle che compongono il nostro panorama informativo. Un po’ dei “polli da batteria”, diciamoci la verità, ma il nostro lavoro è fatto anche di questo.
Le seconde sono rarissime, però speciali. Hanno una vita tutta loro, durano quanto vogliono, vanno dove gli pare. E tu non le puoi fermare, non le puoi indirizzare. Al massimo puoi provare a capirle prima degli altri, per spiegarle meglio al pubblico, per farle “tue”.
La storia delle sorelle Napoli appartiene a questa seconda categoria. Dal momento in cui la lessi per la prima volta, sulle pagine della cronaca di Palermo della “Repubblica”, mi resi conto che dentro c’era qualcosa di fatale. Lì per lì non sapevo nemmeno io cosa fosse, ma dentro di me sapevo che nella battaglia condotta da quelle tre donne indomite contro la mafia c’era qualcosa che andava oltre ogni stereotipo.
Inizialmente pensai che ad attirare la mia attenzione fosse il contrasto femmine­­­-mafia: ho sempre sostenuto che la mafia sia un termine femminile “per inganno”, essendo invece la mafia in sé quanto di più maschile e maschilista si possa immaginare. Ma piano piano, puntata dopo puntata, mentre il grande pubblico si appassionava alla vicenda incredibile e vergognosa di Marianna, Ina e Irene, mi rendevo conto che nei fatti che si susseguivano nelle campagne di Mezzojuso c’era anche dell’altro. C’era, sempre sospesa fra tragedia e operetta, l’eterna messinscena del potere. Una specialità molto italiana. Un teatro del reale nel quale distinguere i personaggi buoni da quelli cattivi, i giusti dagli ingiusti, non è solo complicato, è del tutto inutile. Perché l’unico criterio che distingue le persone, in posti come Mezzojuso, ma anche come Roma, Milano e Torino, nell’Italia del 2020, è un altro: chi ha il potere e chi non ce l’ha.
A ben guardare, tutto si riduceva a questo. Alla battaglia, antica come il mondo, tra potenti e soggiogati. Una battaglia che queste tre donne, in assoluta solitudine, hanno combattuto con fierezza e dignità. E che, alla fine, hanno vinto.»
«Non voglio la vostra speranza. Voglio che proviate la paura che provo io ogni giorno. Voglio che agiate come fareste in un'emergenza. Come se la vostra casa fosse in fiamme. Perché lo è.» Greta Thunberg ha parlato chiaro ai grandi del mondo e ha iniziato così la sua battaglia contro il cambiamento climatico, convinta che «nessuno è troppo piccolo per fare la differenza». Lo "sciopero della scuola per il clima" di una solitaria e giovanissima studentessa davanti al parlamento svedese è diventato un messaggio globale che ha coinvolto in tutta Europa centinaia di migliaia di ragazzi che seguono il suo esempio in occasione dei #fridaysforfuture. Greta ha dato inizio a una rivoluzione che non pare destinata a fermarsi, una battaglia da combattere per un futuro sottratto alle nuove generazioni al ritmo furioso dei 100 milioni di barili di petrolio consumati ogni giorno. "La nostra casa è in fiamme" è la storia di Greta, dei suoi genitori e di sua sorella Beata, che come lei soffre della sindrome di Asperger. È il racconto delle grandi difficoltà di una famiglia svedese che si è trovata ad affrontare una crisi imminente, quella che ha travolto il nostro pianeta. È la presa di coscienza di come sia urgente agire ora, quando nove milioni di persone ogni anno muoiono per l'inquinamento. È il «grido d'aiuto» di una ragazzina che ha convinto la famiglia a cambiare vita e ora sta cercando di convincere il mondo intero.
Cosa significa educare? Il difficile momento di trasformazione sociale e culturale che stiamo attraversando sembra impedire a genitori e insegnanti di rispondere a questa domanda. Si tratta tuttavia di una questione decisiva per provare a comprendere i tanti cambiamenti in corso. Partendo dalla testimonianza delle scuole Penny Wirton per l'insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati, Eraldo Affinati racconta la storia di una nuova esperienza didattica dove ci si guarda negli occhi, sedendo allo stesso tavolo, senza classi e senza voti, in una relazione d'amicizia e simpatia. Nel suo diario personale e pubblico, in cui s'intrecciano la dimensione pedagogica e letteraria, troveremo una riflessione su temi cruciali: la responsabilità di chi viene chiamato a formare i ragazzi, i viaggi della speranza mischiati a quelli della morte, i fantasmi della Shoah, la natura equivoca della nuova libertà digitale, gli adulti fragili, il rischio delle parole gratuite e delegittimate, la potenza del vero volontariato, il nodo spinoso del giudizio e della valutazione, il possibile inganno della risposta esatta e il valore paradossale di quella sbagliata. Insegnare, scrivere e parlare chiamano in causa il nostro modo di stare insieme e ci spingono a ripensare un'idea dell'Europa. Guidato dai maestri che hanno segnato il suo percorso umano e culturale, da Lev Tolstoj a Dietrich Bonhoeffer, da Michel de Certaud a don Lorenzo Milani, da Silvio D'Arzo a Mario Rigoni Stern, lo scrittore ci consegna, nello stile lirico e speculativo a lui più congeniale, il referto implacabile della crisi etica che stiamo vivendo. Ma in questo libro formula anche un'importante scommessa sul futuro, non teorica bensì militante, invitandoci a puntare tutto sulla capacità di rinascita degli adolescenti italiani che insegnano la nostra lingua ai loro coetanei provenienti da ogni parte del mondo.
Ci fu un tempo in cui sinistra e popolo erano quasi la stessa cosa. Adesso in tutto il mondo le classi lavoratrici, i mestieri operai vecchi e nuovi, cercano disperatamente protezione votando a destra. Perché per troppi anni le sinistre hanno abbracciato la causa dei top manager, dell'Uomo di Davos; hanno cantato le lodi del globalismo che impoveriva tanti in Occidente. E la sinistra italiana da quando è all'opposizione non ha corretto gli errori, anzi. È diventata il partito dello spread. Il partito che tifa per l'Europa «a prescindere», anche quando è governata dai campioni della pirateria fiscale. È una sinistra che abbraccia la religione dei parametri e delle tecnocrazie. Venera i miliardari radical chic della Silicon Valley, nuovi padroni delle nostre coscienze e manipolatori dell'informazione. Tra i guru «progressisti» vengono cooptate le star di Hollywood e gli influencer sui social media, purché pronuncino le filastrocche giuste sul cambiamento climatico o sugli immigrati. Non importa che abbiano conti in banca milionari, i media di sinistra venerano queste celebrity. Mentre trattano con disgusto quei bifolchi delle periferie che osano dubitare dei benefici promessi dal globalismo. Non rispondetemi che «quegli altri» sono peggio - scrive Federico Rampini -, non ditemi che è l'ora di fare quadrato, di arroccarsi tra noi, a contemplare con orgoglio tutte le nostre sacrosante ragioni, a dirci che siamo moralmente superiori e che là fuori ci assedia un'orda fascista. Quand'anche fosse vero che «quelli» sono la peste nera, allora dobbiamo chiederci: com'è stato possibile? Come abbiamo potuto regalare a «loro» l'Italia più gli Stati Uniti, l'Inghilterra più la Svezia e in parte la Francia? Se davvero una barbarie reazionaria sta dilagando in tutto l'Occidente, dov'eravamo noi, cosa facevamo mentre questo flagello si stava preparando? (Aiutino: spesso eravamo al governo). C'è qualcosa di malsano nel pensare che una maggioranza degli italiani sono idioti manipolati da mascalzoni: come si costruisce su queste basi una convivenza civile, un futuro migliore? Attingendo alla sua formazione giovanile nel Pci di Enrico Berlinguer, fine anni Settanta; poi alle sue esperienze successive di reporter globale a Parigi, Bruxelles, San Francisco, Pechino e ora New York, Federico Rampini prende di mira alcuni dogmi politically correct. E spiega che la sinistra può ripartire. Deve farlo. Il tracciato verso la rinascita parte dalle diseguaglianze, e abbraccia senza imbarazzi una nuova idea di nazione.
La sera del 28 marzo 1944 i violenti colpi alla porta di casa fanno riemergere negli adulti della famiglia Perlow antichi incubi. La pace trovata a Fiume, dopo un lungo peregrinare per l'Europa cominciato agli inizi del Novecento in fuga dai pogrom antiebraici, finisce bruscamente: nonna, figli e nipoti vengono arrestati e, dopo una breve sosta nella Risiera di San Sabba a Trieste, deportati ad Auschwitz-Birkenau, dove molti di loro saranno uccisi. Sopravvissute alle selezioni forse perché scambiate per gemelle o forse perché figlie di un padre cattolico, o semplicemente per un gioco del destino, le due sorelle Tatiana (6 anni) e Andra (4) vengono internate, insieme al cugino Sergio (7), in unKinderblock, il blocco dei bambini destinati alle più atroci sperimentazioni mediche. In questo libro, le sorelle Bucci raccontano, per la prima volta con la loro voce, ciò che hanno vissuto: il freddo, la fame, i giochi nel fango e nella neve, gli spettrali mucchi di cadaveri buttati negli angoli, le fugaci visite della mamma, emaciata fino a diventare irriconoscibile. E sempre, sullo sfondo, quel camino che sputa fumo e fiamme, unica via da cui «si esce» se sei ebreo, come dicono le guardiane. L'assurda e tragica quotidianità di Birkenau penetra senza altre spiegazioni nella mente delle due bambine, che si convincono che quella è la vita «normale». Il solo modo per resistere e sopravvivere alla tragedia, perché la consuetudine scolora la paura. Finché, dopo nove mesi di inferno, ecco apparire un soldato con una divisa diversa e una stella rossa sul berretto. Sorride mentre offre una fetta del salame che sta mangiando: è il 27 gennaio 1945, la liberazione. Che non segna però la fine del loro peregrinare. Dovrà passare altro tempo prima che Tatiana e Andra ritrovino i genitori e quell'infanzia che è stata loro rubata. Le sorelline trascorreranno ancora un anno in un grigio orfanotrofio di Praga e alcuni mesi a Lingfield in Inghilterra, in un centro di recupero diretto da Anna Freud, dove finalmente conosceranno la normalità. Secondo le stime più recenti ad Auschwitz-Birkenau vennero deportati oltre 230.000 bambini e bambine provenienti da tutta Europa, solo poche decine sono sopravvissuti. Questo è lo struggente racconto di due di loro.
La storia è maestra di vita: è urgente riscoprirla come guida. Che cosa lega l'invenzione della stampa moderna (Gutenberg) nel 1450, la Riforma protestante di Lutero e quel primo esperimento di globalizzazione che furono le grandi esplorazioni navali? È possibile paragonare Facebook o Instagram alle altre rivoluzioni della comunicazione? Che distanza c'è tra quella età del caos che chiamiamo Rinascimento, i suoi Savonarola, e i populismi di oggi? E perché la riscoperta dello Stato-nazione ci sembra un regresso, mentre con la Pace di Vestfalia fu un approdo di stabilità? Dopo "Le linee rosse", in cui ha guidato i lettori alla decifrazione del mondo attuale usando le mappe, Rampini applica lo stesso metodo alla storia, giocando con alcune date-chiave per fare luce sui sorprendenti legami tra eventi epocali del passato e il nostro presente. La nascita nel 1600 della Compagnia delle Indie, azienda privata a cui l'Inghilterra assegna il grosso del suo impero, in queste pagine diventa l'inizio di una storia del capitalismo che si dipana fino al crac di Lehman e alla grande crisi del 2008 da cui non siamo ancora usciti. La guerra dell'oppio (1840) spiega lo spirito di rivincita che anima oggi la Cina. Il 1869 vede la nascita del Canale di Suez, che ispira "Il giro del mondo in ottanta giorni" di Jules Verne: non solo un romanzo d'avventura, ma l'avvento del globalismo come ideologia. In tema d'immigrazione, si parte dal 1870: la Grande Fame degli irlandesi e quello che, secondo Marx, dovrebbe insegnarci. Il 1948 segna la fine dell'impero britannico e della sua pretesa di fagocitare quello ottomano: una vicenda di cui settant'anni dopo la questione israelo-palestinese porta ancora le cicatrici. Esplorando gli anni 1963-67, riaffiora la terribile e seducente eredità del lungo Sessantotto americano, l'inizio di quella «guerra civile sui valori» tuttora in corso. L'incontro di Nixon con Mao Zedong nel 1972 innesca una reazione a catena che sfocia nel protezionismo di Donald Trump. E l'anno 1979 concentra tre eventi formidabili: la rivoluzione degli ayatollah in Iran, la svolta reazionaria dell'Arabia Saudita, l'invasione sovietica in Afghanistan, un triangolo dove viene piantato il seme degli islamismi moderni. Anche questo libro di Rampini non nasce «a tavolino». Le letture del passato si fondono con i racconti dei suoi viaggi di nomade globale - dalla profonda provincia americana che ha votato Trump al cuore islamico di Harlem, dall'Iran a Israele e alla Palestina - e con la sua vita in Cina o nella Silicon Valley californiana. L'avventura a ritroso nel tempo finisce per diventare una sorta di specchio magico. Così acquistano nuovi contorni e significati, e la giusta profondità, le cose da lui viste da testimone in prima fila: luoghi e personaggi, vertici internazionali e scontri tra leader che tentano di imprimere alla storia il loro segno.
Li chiamano "rampage killer", dove rampage sta per una furia improvvisa, un'esplosione letale. Parliamo di assassini che uccidono più persone insieme, utilizzando armi da fuoco, esplosivi, incendi, ma anche veicoli lanciati contro vittime innocenti. Le stragi possono avvenire sul posto di lavoro, nelle scuole, nelle piazze e nei locali pubblici, per motivi religiosi, politici, razziali. E il filo conduttore è sempre uno: l'odio. Se in tutto il mondo il numero complessivo degli omicidi sembra diminuire, non accade così per gli hate crimes, delitti commessi contro persone discriminate in base all'appartenenza, vera o presunta, a un gruppo sociale. Ad alimentare l'odio e innescare la furia omicida sono i pregiudizi legati al sesso, all'etnia, alla lingua, alla nazionalità, all'aspetto fisico, alla religione, all'identità di genere, all'orientamento sessuale e alla presenza di disabilità. Gli autori alternano la ricostruzione di eventi drammatici e il profilo dei criminali responsabili a un'analisi dei meccanismi psicologici, culturali e sociali che ne hanno condizionato la comparsa e decretato il terribile successo. Non più serial killer. Sono loro i mostri del ventunesimo secolo, i rampage killer, gli assassini che in preda a un furore incontrollabile, compiono stragi con una frequenza mai vista.
Tre forze silenziose dominano oggi la società italiana: la ricchezza patrimoniale di milioni di famiglie, la povertà demografica di un Paese nel quale le nascite di nuovi bambini sono sempre più rare (mentre i giovani emigrano) e la fragilità culturale evidente in una proporzione di laureati e diplomati fra le più basse dell'Occidente. Il modo in cui queste forze si combineranno fra loro è destinato a decidere del nostro futuro.
L'Italia di oggi è un Paese pietrificato, dove la mobilità sociale è bloccata e i discendenti di chi in passato ha costruito grandi fortune sono ancora al vertice, mentre i pronipoti delle classi popolari di un tempo sono sempre fermi sui gradini più bassi. È quanto emerge da uno studio di due ricercatori della Banca d'Italia che, confrontando la Firenze attuale con quella quattrocentesca dei Medici, hanno fatto la clamorosa e desolante scoperta che le famiglie più ricche e quelle più povere sono rimaste le stesse di sei secoli e venti generazioni fa.
Per capire come mai un Paese a democrazia matura e welfare avanzato come il nostro presenti una tale rigidità sociale, Federico Fubini ha condotto una serie di test, soprattutto su bambini e ragazzi in età scolare, per verificare quali sono i maggiori ostacoli che impediscono ai più svantaggiati di cambiare la propria condizione d'origine. Per esempio, quanta fiducia in se stessi, nella loro intelligenza, nel futuro e nel prossimo hanno gli allievi di un prestigioso liceo classico milanese e di un collegio universitario esclusivo del Nord, e quelli di un istituto professionale di Mondragone (Caserta), uno di quell'1,5% di comuni italiani in cui si guadagna di meno e dove si registra un alto tasso di criminalità? O, nel quartiere più giovane di Napoli, infestato dalla camorra, fra bambini appartenenti a famiglie che vivono nella legalità, e figli di genitori che vivono fuori o ai margini della legalità?
La risposta è sempre impietosamente la stessa e conferma l'influenza decisiva dell'ambiente nel tracciare, fin dalla più tenera età, il successivo percorso di vita: «Già a cinque anni l'attitudine a fidarsi, investire, interagire nel proprio interesse, era molto diversa in base al luogo di nascita».
A partire da questa consapevolezza, però, Fubini mostra che esistono non solo problemi radicati nella storia, ma anche soluzioni pratiche. Se l'Italia stenta a riprendersi dalla crisi economica, afflitta com'è da un debito pubblico che lievita in modo inversamente proporzionale alla crescita, dal drammatico calo delle nascite, dai patrimoni dinastici e da «una povertà educativa sorprendente per una nazione con la nostra storia», l'immobilismo sociale è un'ulteriore, inaccettabile complicazione che penalizza e paralizza le nuove generazioni. Per risolverla, è necessario che la scuola porti il suo aiuto molto presto e con più efficacia, sapendo che un asilo d'infanzia «rende più di un bond». Perché è solo nei primi anni di vita che si può cambiare una mentalità e, quindi, un destino.
Dove finiscono i soldi del traffico di cocaina e di tutte le altre attività gestite dalla 'ndrangheta?... La 'ndrangheta investe nell'edilizia, nel settore immobiliare, nel terziario, nell'eolico, nel turismo, e lo fa grazie a una miriade di alleanze strategiche con bancari, avvocati, commercialisti, broker senza scrupoli. Nell'era della globalizzazione e delle nuove tecnologie, i boss utilizzano anche il "deep web" (il cosiddetto "web invisibile") e i paradisi fiscali. Comunicano attraverso codici cifrati e si spostano nel mondo con estrema facilità. Ma lo strumento che maggiormente utilizzano per espandersi è ancora la corruzione, l'ossatura del potere mafioso. Fermarli in ambito internazionale si fa ogni giorno più faticoso. La differenza di sistemi giuridici, la mancanza di reati associativi e la difficoltà di globalizzare l'azione di contrasto favoriscono tutte le mafie che oggi riescono sempre più a trovare momenti di collaborazione a livello internazionale. Dopo «Acquasantissima» ('ndrangheta e Chiesa) e «Padrini e padroni» ('ndrangheta e Stato), il nuovo libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso ci svela i legami fra 'ndrangheta e potere economico.
«Viaggiamo di più. Capiamo di meno. Mentre lo attraversiamo in velocità, il mondo ci disorienta. I leader brancolano nel buio. Fissano delle "linee rosse" che non capiscono. Forse perché non leggono. Quel che il mondo vuole dirci è spiegato nelle carte geografiche, e nella loro storia. Ma quelle studiate a scuola non bastano. Bisogna penetrare il loro significato nascosto, incrociare il paesaggio terrestre con le storie delle civiltà, dei popoli e degli imperi. «Ogni crisi - dai profughi alla Corea del Nord, dal terrorismo al cambiamento climatico, dagli autoritarismi ai nuovi protezionismi, dalle "missioni impossibili" di papa Francesco all'inquietante utopia dei social media - ci sfida a capire. «Una traversata coast-to-coast rivela che la supremazia degli Stati Uniti affonda le radici nella peculiarità del suo territorio. Le due Americhe sono separate da linee di frattura geografiche e razziali, religiose e sociali. Le stesse che spaccano l'Europa tra globalisti e sovranisti. La geografia storica dei populismi riconduce all'Italia dei tempi di Mussolini. «I confini dell'Europa unita hanno un'impronta germanica fin dal Sacro Romano Impero. La Cina costruisce una Nuova Via della Seta, sulla quale inseguo le tracce di un esploratore italiano nel deserto di Gobi. L'espansionismo giapponese aiuta a decifrare la trappola della Corea del Nord. In Russia esploro la continuità tra gli zar e Putin. In India visito l'epicentro di uno scontro di civiltà. Un soggiorno nel Medioevo birmano, in Vietnam e in Laos dimostra che sta vincendo il "duro" benessere senza le libertà. «Un missionario tra i musulmani ripropone la domanda di Stalin su "quante divisioni ha il papa". Il peso della Chiesa aiuta a capire il dibattito italiano sui profughi. I tracciati delle migrazioni/invasioni ci riportano alla caduta dell'Impero romano. «Il potere delle mappe decide la sorte degli imperi: da Cristoforo Colombo a GoogleMaps. Il cambiamento climatico ridisegna gli atlanti a una velocità angosciante, la geografia dell'Artico e delle rotte navali cambia sotto i nostri occhi. E infine l'Italia vista da "tutti gli altri" aiuta a capire chi siamo davvero.» Nella sua ricognizione delle linee di forza che stanno ridefinendo gli assetti geopolitici e geoeconomici globali, Federico Rampini mostra e insegna a leggere la nuova cartografia del mondo, per «guardare dietro le apparenze» della realtà di oggi e per rendere i viaggiatori del Terzo millennio più consapevoli di quelle che saranno domani le possibili mete.
«Che libri leggi? Che film hai visto? Che musica ascolti? Quali oggetti acquisti, e di quali senti di non poter fare a meno? Cosa mangi, e che rapporti hai con la medicina, con la scienza? Quali vestiti indossi? E che mi dici della politica? Credi in Dio? Ti soddisfa il mondo così com'è, o vorresti cambiarlo? E hai fiducia che possa essere cambiato?». Un padre nato negli anni Cinquanta tempesta la figlia venticinquenne con domande pressanti, talvolta invadenti, ma sempre animato dalla voglia incontenibile di conoscere i suoi interessi, le sue scelte di vita, i suoi dolori e le sue speranze e, attraverso di lei, quelli della generazione dei cosiddetti «millennials», dai quali sente di essere diviso da una voragine psicologica e culturale. Le risposte che riceve lo lasciano dubbioso, a volte incredulo, recalcitrante e persino adirato, ma non spengono il suo desiderio di capire come va il mondo di adesso, quale direzione ha preso, con quale linguaggio parla, con quali immagini si emoziona. E così, per farsene un'idea più chiara, si ritrova a rubare brandelli di conversazione, a scavare nei ricordi, a spiare gergo, gesti e gusti, a scrutare comportamenti e rituali collettivi (la figlia in compagnia degli amici) che spesso precludono ogni genere di dialogo. Alla fine scoprirà che le tante, drastiche differenze (l'abbandono completo dei giornali, la sacralità della «natura» contrapposta alla scienza e alla tecnica, il diverso valore attribuito alla medicina, la preferenza accordata all'erboristeria rispetto alla farmacia, il ruolo centrale assunto dalla qualità del cibo e dalla cura del corpo, il culto del vintage), al pari delle insospettabili affinità (l'amore per i libri, ancora intatto nonostante certe statistiche, o la passione per la musica, per il cinema e per i musei, sia pure virtuali), descrivono una realtà in cui tutto muta a una velocità forsennata. Eppure qualcosa resta, anche se non sempre sappiamo riconoscerlo fino in fondo. Nel suo spiritoso e autoironico racconto di cose vissute, che ruota attorno a un sapiente intreccio di sfera personale e sfera pubblica, Pierluigi Battista è un padre che non sale in cattedra, ma si sforza di ascoltare i pensieri e le ragioni della figlia Marta, senza però mai mancare di far sentire la sua voce quando vede che alcuni valori essenziali di ieri rischiano di andare perduti nel grande cambiamento che sta rivoluzionando il mondo.
Un tempo il coraggio - nella sua accezione di ardimento fisico - era solo opera dell'umano, poi le macchine se ne sono impossessate: non più il guerriero armato delle sue proprie mani, ma di mitragliatrici, carri armati, lanciafiamme, cacciabombardieri. Un po' come accade ora con la tecnologia: fino a trent'anni fa occorreva pronunciarsi, scrivere, telefonare, dunque esporsi. Oggi si può comunicare, anzi si è indotti a farlo, senza un'interfaccia umana, dunque senza rischio, senza paura di compromettersi. E le umane virtù vengono delegate a ciò che umano non è. Così, anche il coraggio e la forza d'animo che vi è intrinsecamente connaturata stanno diventando sempre più un'astrazione virtuale, svuotata di senso, per uomini e donne che vagano senza bussola, giovani accecati dal presente e vecchi incartapecoriti nel ricordo. Per fronteggiare «la più grande urgenza sociale odierna», Paolo Crepet propone a genitori, educatori e, in particolare, a quei «nativi digitali» che si accingono a esplorare la propria esistenza in una società ipertecnologica un «ipotetico inventario» di alcune declinazioni del coraggio in vari ambiti dell'esperienza umana (il coraggio di educare, di dire no, di ricominciare, di avere paura, di scrivere, di immaginare, di creare...). Un inventario concepito come un'associazione di idee, un 'brain-storming', un esercizio utile per stimolare adulti e non ancora adulti a ritrovare la forza della sfacciataggine e la capacità di resistenza che la vita ogni giorno ci chiede. Ma in queste pagine Crepet parla soprattutto di un'altra e più ambiziosa forma di coraggio. Quella che dobbiamo inventarci per creare un nuovo mondo, se non vogliamo che siano altri a inventarlo per noi; quella che i giovani devono riscoprire per non ritrovarsi tristi e rassegnati a non credere più nei loro sogni; quella che tutti devono scovare in se stessi per iniziare un rinascimento ideale ed etico. Perché, alla fine, il coraggio è la magica opportunità che permette di capire il presente e di costruire il futuro.
Aldo Cazzullo si rivolge ai figli e a tutti i ragazzi: li invita a non confondere la vita virtuale con quella reale, a non bruciarsi davanti ai videogame, a non andare sempre in giro con le cuffiette, a non rinunciare ai libri, al cinema, ai concerti, al teatro; e soprattutto a salvare i rapporti umani con i parenti e i professori, la gioia della conversazione vera e non attraverso le chat e le faccine. I suoi figli, Francesco e Rossana, rispondono spiegando al padre e a tutti gli adulti il rapporto della loro generazione con il telefonino e la rete: che consente di vivere una vita più ricca, di conoscere persone nuove, di mettere lo studente al centro della scuola, di leggere i classici. Ne nasce un dialogo serrato sui rischi e sulle opportunità del nostro tempo: la cattiveria online, gli youtuber e l'elogio dell'ignoranza, i cyberbulli, gli idoli del web, i padroni delle anime da "Facebook" ad "Amazon", l'educazione sentimentale affidata a "YouPorn", la distruzione dei posti di lavoro e della cultura tradizionale, i nuovi politici da Trump a Grillo, sino all'uomo artificiale; ma anche le possibilità dei social, i nonni che imparano a usare le chat per parlare coi nipoti, la rivolta contro le dittature, la nascita di una gioventù globale unita dalla rete.
Per chi ci lavora, a contatto con il dolore delle persone, il pronto soccorso di un ospedale è una trincea quotidiana, una frontiera sospesa tra la malattia e la salvezza. Pierdante Piccioni, però, non è un medico qualunque. Nel 2013, a causa di una lesione alla corteccia cerebrale ha perso la memoria e si è risvegliato dodici anni prima della realtà che stava vivendo. Dodici anni inghiottiti in un buco nero. Da lì è ripartito con fatica, tra depressione e rabbia, e ha combattuto con tenacia per riconquistare la propria vita, i propri affetti, il proprio posto nel mondo. Lui, il dottor Amnesia, ora è di nuovo un primario di pronto soccorso. Ma adesso che è in prima linea, resta ancora un paziente costretto a fare i conti con la disabilità, ed è forse questo ad avergli fatto maturare una nuova empatia nei confronti di chi è malato: ne conosce le sofferenze, ne comprende il disagio dinanzi a quell'elefantiaco «emporio della salute» che è l'ospedale. Avendo vissuto tutto ciò sulla propria pelle, in ogni occasione cerca di comportarsi come avrebbe voluto che i medici avessero fatto con lui, una condizione che se da un lato lo premia, dall'altro emotivamente lo sfinisce. Scenario del suo ostinato lottare contro vecchi schemi e abitudini è il pronto soccorso, un luogo di confine dove le vite di molti, con le loro incredibili storie, sembrano incrociarsi senza un senso apparente, paradigma di una società nella quale lo stesso Piccioni spesso si sente un reduce senza futuro, costretto ad aspettare ancora il miracolo più grande, quello che gli deve restituire, insieme alla memoria, tutte le emozioni perdute. Ma forse quel miracolo è la passione di vivere, la stessa passione che lo spingerà ad andare oltre il suo ruolo di primario, per inventarsi un nuovo lavoro, occupandosi dei pazienti più fragili, dei più soli, degli ultimi.
Il 31 ottobre 1969 le telescriventi di tutto il mondo battono una notizia che ha dell'incredibile. Ralph Minichiello, marine italo-americano di vent'anni, decorato in Vietnam per le sue azioni «eroiche», sta dirottando un aereo decollato da Los Angeles. All'aeroporto di New York, dove il Boeing 707 atterra per rifornirsi di carburante, Minichiello riesce a beffare l'imponente dispiegamento di forze dell'Fbi coordinato da John E. Hoover in persona. L'aereo sembra diretto al Cairo ma all'alba del i° novembre si ferma a Roma, dove il marine, su un'auto della polizia guidata da un vicequestore, comincia una disperata fuga verso Napoli e il paese in cui è nato, Melito Irpino. Dopo rocambolesche avventure nella campagna romana, viene arrestato e condotto nel carcere di Regina Coeli. Gli inquirenti faticano a credere al suo racconto: un anno, il 1968, vissuto nelle giungle del Vietnam; il torto subito al suo ritorno negli Stati Uniti; la decisione di sfidare, da solo, il Paese per cui era disposto a sacrificare la vita. Tutto per 200 maledetti dollari. Qualche giorno dopo cominciano a giungere, da ogni parte del mondo, messaggi di solidarietà per il ragazzo capace di sfidare «l'impero» impegnato nella «sporca guerra» diventata l'emblema di tutte le proteste che riempiono le piazze dell'Occidente. Se estradato, Minichiello, che a quattordici anni era emigrato in America con i genitori per fuggire dalla miseria dell'lrpinia colpita dal terremoto, rischia la pena di morte. Ma ormai è un simbolo: la sua vicenda si intreccia, involontariamente, con una storia che parte dalle proteste nelle università americane, passa per il Maggio francese, per Woodstock, la strage di Piazza Fontana a Milano, la ritirata americana dal Vietnam e gli Anni di piombo in Italia. Non è più la bravata di un ragazzo diventato uomo sparando raffiche di mitra in Vietnam ma la parabola di un'intera generazione che mette sotto accusa i propri genitori.
Ama veramente chi è capace di non amare troppo. Questo ci insegna la filosofia: pur sapendo bene che l'amore «è sopra ogni cosa» ed è persino alle radici della filosofia stessa. Grazie all'Eros povero e scalzo impersonato dal più grande e atipico dei maestri, Socrate, la filosofia ci insegna ad amare, ma non troppo. Ovvero, ci invita ad amare, e in definitiva a vivere, facendo un buon uso delle nostre passioni e dei nostri piaceri senza lasciarci trascinare dagli eccessi dell'innamoramento, una delle poche follie che godono di un'ampia legittimazione sociale. Per far questo, e per vivere bene, abbiamo bisogno di un'etica che dell'amore ci faccia evitare i fanatismi e i picchi totalizzanti di entusiasmo. L'amore, ha scritto Ovidio, è come andare «per la prima volta soldato in una terra sconosciuta», ma a ben vedere ciò è vero per tutta la nostra vita morale e per i dilemmi che quotidianamente ci pone il nostro rapporto con gli altri che, proprio come l'amore, diceva Sartre, può trasformarsi in un inferno. Armando Massarenti, attingendo alla sapienza classica e moderna - da Platone a Ovidio, da Wittgenstein a Iris Murdoch - ma anche a spunti provenienti dalle neuroscienze, coniuga filosofia, logica ed epistemologia al fine di proporre al lettore una bussola per orientarsi in quella terra sconosciuta. Una filosofia pratica in grado di regalarci un bene prezioso: la possibilità concreta di stare bene con gli altri.
Il mondo sembra impazzito. Stagnazione economica. Guerre civili e conflitti religiosi. Terrorismo. E, insieme, la spettacolare impotenza dell'Occidente a governare questi shock, o anche soltanto a proteggersi. Senza una guida, abbandonate dai loro leader sempre più miopi e irrilevanti, le opinioni pubbliche occidentali cercano rifugio in soluzioni estreme. Alla paura si risponde con la fuga all'indietro, verso l'isolamento da tutto il male che viene da «là fuori» e il recupero di aleatorie identità nazionali. Globalizzazione e immigrazione sono i due fenomeni sotto accusa. Il tradimento delle élite è avvenuto quando abbiamo creduto al mantra della globalizzazione, quando il pensiero politically correct ha recitato la sua devozione a tutto ciò che è sovranazionale, a tutto ciò che unisce al di là dei confini, dal libero scambio alla finanza globale. Il triste bilancio è quello di aver reso i figli più poveri dei genitori. Il tradimento delle élite si è consumato quando abbiamo difeso a oltranza ogni forma di immigrazione, senza vedere l'enorme minaccia che stava maturando dentro il mondo islamico, l'ostilità ai nostri sistemi di valori. Quando abbiamo reso omaggio, sempre e ovunque, alla società multietnica, senza voler ammettere che questo termine, in sé, è vuoto: non indica il risultato finale, il segno dominante, il mix di valori che regolano una comunità capace di assorbire flussi d'immigrazione crescenti. E il tradimento è continuato praticando l'autocolpevolizzazione permanente, un riflesso pavloviano ereditato dall'epoca in cui «noi» eravamo l'ombelico del mondo: come se ancora oggi ogni male del nostro tempo fosse riconducibile all'Occidente, e quindi rimediabile facendo ammenda dei nostri errori.
Nel 1908, un tragico terremoto divora Messina e Reggio Calabria. Si stanziano quasi centonovanta milioni di lire per la ricostruzione, ma la presenza nella gestione dei fondi anche di boss e picciotti - molti dei quali tornati dall'America per l'occasione - causerà danni gravissimi, sottraendo risorse preziose, trasformando le due città in enormi baraccopoli e dando vita a un malcostume ormai diventato abituale. Lo stesso scenario che si ripeterà, atrocemente, cent'anni dopo, nel 2009, con il terremoto dell'Aquila. Mentre la gente moriva, in Abruzzo c'era chi già pensava ai guadagni. E ancora, nel 2012, nell'Emilia che crolla la mafia arriva prima dei soccorsi. In Piemonte, la 'ndrangheta era riuscita a infiltrarsi nei lavori per la realizzazione del villaggio olimpico di Torino 2006 e in quelli per la costruzione della Tav nella tratta Torino-Chivasso. La corruzione, l'infiltrazione criminale, i legami con i poteri forti - occulti, come le logge segrete, e non, come la politica sul territorio e a tutti i livelli, fino ai più alti - sono oggi parte di una strategia di reciproca legittimazione messa in opera da decenni da tutte le mafie e in particolare dalla 'ndrangheta. Già nel 1869, le elezioni amministrative di Reggio Calabria erano state annullate per le evidentissime collusioni 'ndranghetiste. Il primo caso di una serie di episodi che nei decenni hanno segnato l'intera penisola, arrivando fino a Bardonecchia, in Piemonte, nel 1995, e a Sedriano, in Lombardia, nel 2013.
"È gelida l'acqua. Mi entra nelle ossa. Non riesco a liberare la stazza dall'acqua. Uso tutta la mia forza e la mia agilità ma la lancia resta piena. E cado. Ho paura. È notte fonda e fa freddo. Siamo a quaranta miglia da Lampedusa e, se non riesco a farmi sentire subito, mi lasceranno qui e sarà la fine. Non voglio morire così. Non a sedici anni. Il panico sta per impadronirsi di me e comincio a urlare con quanto fiato ho in gola, cercando di rimanere a galla e di non farmi trascinare giù da questo mare che ci consente di sopravvivere ma che può anche decidere di abbandonarci per sempre. "Patri" urlo. "Patri." Lui è al timone e non mi sente. La fine si avvicina, penso. Poi qualcosa accade... Ciò che non potevo sapere allora è che non solo quella notte sarebbe rimasta per sempre impressa nella mia mente ma che la mia esistenza sarebbe stata segnata da un mare che restituisce corpi e vite e che sarebbe toccato proprio a me salvare quelle vite e toccare per ultimo quei corpi." Pietro Bartolo è il medico che da oltre venticinque anni accoglie i migranti a Lampedusa. Li accoglie, li cura e, soprattutto, li ascolta. Queste pagine raccontano la sua storia: la storia di un ragazzo mingherlino e timido, cresciuto in una famiglia di pescatori, che si è duramente battuto per cambiare il proprio destino e quello della sua isola. E che, non dimenticando le difficoltà passate, ha deciso di vivere in prima persona quella che è stata definita la più grande emergenza umanitaria del nostro tempo.
"Voi donne siete meglio di noi. Non pensiate che gli uomini non lo sappiano; lo sappiamo benissimo, e sono millenni che ci organizziamo per sottomettervi, spesso con il vostro aiuto. Ma quel tempo sta finendo. È finito. Comincia il tempo in cui le donne prenderanno il potere." Aldo Cazzullo racconta perché il nostro sarà il secolo del sorpasso della donna sull'uomo. I segni sono evidenti: a Berlino e a Londra governano due donne, una donna si affaccia per la prima volta sulla soglia della Casa Bianca. L'Italia resta un Paese maschilista; eppure sono donne la sindaca della capitale, la presidente della Camera, le direttrici delle principali carceri, l'astronauta più nota, la scienziata più importante. Ed è solo l'inizio. Le donne erediteranno la terra perché sono più dotate per affrontare l'epoca grandiosa e terribile che ci è data in sorte. Perché sanno sacrificarsi, guardare lontano, prendersi cura; ed è il momento di prendersi cura della terra e dell'uomo, che non sono immortali. L'autore evoca il genio femminile, attraverso figure del passato e del presente, storie di grandi artiste e di figlie che salvano i padri o ne custodiscono la memoria. Racconta le battaglie che le donne conducono nel mondo e in Italia contro le ingiustizie che ancora le penalizzano, contro il masochismo che ancora le mette l'una contro l'altra o le induce a innamorarsi della persona sbagliata.
Muhammad Ali: il pugile dalle esaltanti vittorie mondiali cominciate quando aveva solo diciott'anni e si chiamava Cassius Clay, il campione invincibile e inafferrabile "che vola come una farfalla e punge come un'ape", il divo clamorosamente alla ribalta per gesta e spacconate, ma anche il campione convertito all'Islam consapevole che questo avrebbe potuto costargli carriera o guadagni, la "macchina da pugni" che rinuncia al titolo mondiale dei massimi pur di non indossare la divisa e servire l'esercito in guerra contro il Vietnam. In questa autobiografia, uscita per la prima volta nel 1975, Muhammad Ali, all'apice della sua carriera, racconta di sé con orgoglio e sfacciata schiettezza: "Io sono il più grande" è il suo motto. Ma è un grande che parla a cuore aperto e che non esita ad ammettere: "Ogni volta che metto piede sul ring, lo stomaco mi si chiude dalla strizza", e svela cosa prova quando il pugno dell'avversario giunge a segno, scaraventandolo "nella stanza del dormiveglia". È il lato privato dell'uomo pubblico che questo straordinario memoir ci restituisce: il ragazzo nero che si è aperto faticosamente una strada in una città del Sud ostile e razzista; i suoi anni sul ring, con i suoi incubi, le sue tragedie, e qualche prospettiva di agiatezza per chi accetta di conformarsi alle sue durissime leggi; le dolorose immagini delle vittime, di quelli che non sono mai arrivati al vertice e trascinano la loro esistenza tra gli scampoli di un passato favoloso.
Nel luglio 2014, mentre l'epidemia di ebola che ha colpito Liberia, Guinea e Sierra Leone preoccupa il mondo intero, Patrick Sawyer, un avvocato liberiano che sa di aver contratto il virus, atterra a Lagos, in Nigeria. Lì, con l'unico scopo di contagiare quante più persone possibile, riesce, mentendo e corrompendo medici e infermieri, a esportare il morbo in uno dei paesi più popolosi dell'Africa. Così, quello che all'inizio si configurava come un rischio grave ma controllabile, assume le sembianze di una tragedia potenzialmente devastante: diventa un "cigno nero" assoluto, un evento imprevisto e imprevedibile, capace di stravolgere nel profondo la realtà. Nella nostra vita non possiamo fare a meno di confrontarci con l'ignoto, tanto più oggi, visto il disordine che sembra dominare il mondo: dagli attentati terroristici alle crisi economiche, dalle catastrofi naturali ai venti di guerra, siamo circondati da potenziali "cigni neri" che minacciano la nostra stabilità, e ciò accade non solo a livello economico e politico, ma anche nel nostro microcosmo personale, per decisioni che riguardano la carriera o l'organizzazione delle prossime vacanze. Non possiamo pensare di poter controllare ogni singola variabile, e spesso percepiamo di essere in balìa del caso.
Sigillata al buio dentro il cassone di un camion ha attraversato Ungheria, Austria e Germania prima di raggiungere la sua destinazione, l'Olanda. Ma per arrivare alla tappa finale ha dovuto affrontare il mar Egeo a bordo di un gommone carico di uomini, donne e bambini, i corpi letteralmente ammassati gli uni sugli altri, senza quasi la possibilità di respirare. Ha percorso a piedi chilometri di asfalto fino a vedere il sangue macchiarle le calze, ha marciato sotto un temporale, si è nascosta e ha cercato rifugio nei boschi di Macedonia e Serbia. Dalla Siria all'Olanda, questo è il viaggio di Maxima, siriana curda di 14 anni, che fra luglio e agosto 2015 ha percorso la "rotta balcanica", determinata a iniziare una nuova vita in Europa. Cresciuta ad Aleppo, Maxima ha abbandonato la città nel momento in cui gli echi della guerra civile scoppiata nel 2011 si sono fatti troppo vicini, quando il conflitto è arrivato nel suo quartiere e dalla finestra della sua camera ha visto sollevarsi nubi spesse di cenere e il pulviscolo dei palazzi sbriciolati dai bombardamenti. Nel suo intenso racconto affidato a Francesca Ghirardelli, che l'ha incontrata prima nel parco di Belgrado poi in Olanda, nella casa dove ora vive, Maxima ripercorre i ricordi più intimi della vita quotidiana in Siria e descrive le tappe del viaggio che ha accomunato il suo destino a quello di centinaia di migliaia di migranti e rifugiati, siriani come lei, ma anche afghani, iracheni, eritrei e di altre parti del pianeta.
Se c'era uno che difficilmente avrebbe potuto sfondare come DJ e musicista nei club newyorkesi a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta, quello era Moby. Era la New York del Palladium, del Mars, del Limelight e del Twilo, un'epoca edonistica e sfrenata in cui la dance era ancora sostanzialmente un fenomeno underground, radicato soprattutto nella comunità operaia afroamericana e latinoamericana. E poi c'era Moby, che oltre a essere un ragazzino bianco pelle e ossa proveniente dal cuore del Connecticut era un cristiano devoto, vegano e astemio. Quello è stato forse l'ultimo periodo in cui un artista poteva vivere con nulla a New York: l'era dell'AIDS e del crack, ma anche di un sottobosco culturale provocatorio e festoso. Non senza complicazioni, Moby trovò la sua strada, una strada accidentata e lastricata di eccessi sciagurati – ma, col senno di poi, anche spassosi – che lo avrebbe portato a un successo quanto mai effimero. Ecco perché sul volgere del decennio Moby contemplava già la fine, della carriera come di altre dimensioni della sua vita, una sensazione che incanalò in quello che pensava sarebbe stato il suo canto del cigno, il suo addio, l'album che in realtà era destinato a segnare l'inizio di una nuova e sbalorditiva fase, il mega-bestseller «Play».
Generoso quanto inesorabile nel raccontare un mondo perduto e il ruolo che vi ricopre il suo protagonista, Porcelain è al contempo il ritratto di una città e di un'epoca e una riflessione profondamente intima sul momento più carico d'ansia della vita di ciascuno di noi, quello in cui siamo soli e scommettiamo su noi stessi senza avere la minima idea di come andrà a finire, con il terrore di essere a un passo dal venire scaraventati fuori dalla porta. La voce di Moby trasuda sincerità, ironia e soprattutto una passione incrollabile per la sua musica, una passione che lo ha aiutato a restare a galla in acque molto agitate.
Porcelain è la storia di un successo raggiunto e perduto, amato e odiato. È la storia di un artista che trova le persone giuste e il suo posto nel mondo, e che quando crede di averli persi riesce, in preda alla disperazione e convinto che sia finita, a creare un capolavoro. Il racconto acuto, tenero, divertente e straziante del percorso che porta da una vita di periferia povera e alienata a una di splendore, squallore e successo nella scena dei club newyorkesi. Una rara autobiografia musicale capace di raccontare un'intera epoca e persino una dimensione eterna della condizione umana. E allora play.
Moby è un cantante, autore, musicista, DJ e fotografo. Ha venduto venti milioni di dischi in tutto il mondo. Vive a Los Angeles.
Il 2015 verrà ricordato per uno shock a cui gli italiani non erano abituati né preparati. Sono fallite delle banche. Piccole, ma non trascurabili. La protezione del risparmio è stata messa in dubbio. Un brivido di paura si è diffuso perfino tra i clienti di altre banche più grosse e più solide, perché nel frattempo entravano in vigore nuove regole, imposte dall'Europa, che comportano maggiori rischi per i risparmiatori. Sono così venute alla luce storie tragiche: cittadini ingannati, titoli insicuri venduti agli sportelli bancari, obbligazioni travolte nei crac. In parallelo, brividi di paura sulla tenuta delle banche si sono manifestati anche in altre parti del mondo: in Cina e persino nell'insospettabile Germania. E a preoccuparci non ci sono solo le banche private, quelle dove abbiamo i conti correnti e i libretti di risparmio. Anche quelle che stanno molto al di sopra, le istituzioni che dovrebbero governare la moneta e l'economia, non offrono certezze. In America, nell'Eurozona o in Giappone, la debolezza dell'economia ha rivelato errori e limiti delle banche centrali. In un'epoca come questa, in cui i redditi da lavoro diventano incerti o precari, il risparmio è ancora più importante che in passato. Ma possiamo fidarci di chi ce lo gestisce?
Che cosa ci fa un morto ammazzato nella sonnacchiosa Montefosca, sperduto paesino alle pendici delle Alpi friulane? Drago Furlan, l'ispettore incaricato del caso, ha una bella gatta da pelare: ormai abituato a prendersi cura del suo orto e a verbalizzare multe per divieto di sosta, non indaga su un omicidio da quasi vent'anni. E quello di Montefosca, in più, è un omicidio davvero strano: la vittima, uccisa con un colpo di pistola in mezzo alla fronte, è un anziano di cui nessuno sembra conoscere l'identità. Drago, fisico alla Ernest Hemingway e metodi da ispettore contadino, è costretto a indossare di nuovo i panni del detective: ma è un po' arrugginito, e i montanari ("montanari... lupi mannari", come gli ricorda sempre sua madre, la vulcanica signora Vendramina, perfetto prototipo della 'mame furlane'), con la loro aspra riservatezza, non gli rendono certo il compito facile. Tra soste in osteria annaffiate da 'tajut' di ottimo vino, partite dell'amata Udinese e gite in Moto Guzzi con l'eterna fidanzata Perla, l'ispettore scopre che quei luoghi che tanto ama, al confine tra Italia e Slovenia, custodiscono segreti inconfessabili. La primavera che scioglie le nevi comincia a far riaffiorare anche i fantasmi di un passato lontano.
Anno 2053. Vittima di un incidente stradale dalla dinamica quantomeno grottesca, Antonio Martignoni si ritrova in Paradiso dove, accudito da una bellissima signora in blu ed esaminato da un burocrate celeste con le sembianze di Jean-Paul Sartre, inizia a poco a poco a familiarizzare con la sua nuova ed eterna condizione. Finché la Direzione decide di affidargli un "compito importante": raccontare per iscritto, in un file Word, la storia della propria vita, che diventerà uno dei "messaggi nella bottiglia" lanciati dal Cielo agli uomini rimasti sulla Terra. Grazie al fortunoso ritrovamento del file, sepolto in un vecchio computer, apprendiamo che Martignoni, all'età di 36 anni, pensava di farla finita. In preda alla disperazione, aveva intrapreso la sua ultima escursione nelle montagne tanto amate, quando un altro tragico e provvidenziale incidente gli apre una breccia verso il futuro, nella quale si lancia d'istinto: travolto dal desiderio di "spiare Dio da vicino", decide di trascorrere la seconda parte della sua vita come finto prete. Prima parroco di una sparuta comunità di montanari devoti e turisti ai piedi del Monte Rosa, poi pastore di 3500 anime in una Milano sospesa, surreale, angosciata per la misteriosa sparizione dei propri cittadini più anziani, "don" Antonio vive la sua missione tormentato dal senso di colpa, ma anche animato dalla ferma volontà di non tradire il suo fiducioso e inconsapevole gregge...
Gianluigi Rho e Mirella Capra si sposano a Milano nei primi anni Settanta. Lui è ginecologo, lei è pediatra. Si sono appena laureati, hanno poco più di vent'anni. Stilano una lista di nozze molto particolare: invece di argenteria e servizi di piatti e bicchieri, chiedono attrezzature da sala operatoria per un reparto maternità che non esiste ancora ma che loro contribuiranno a creare e a far crescere in anni di durissimo ma gioioso lavoro. Mirella, il 15 luglio 1970, dopo la prima visita all'ospedale in costruzione, scrive una lettera a casa in cui, dopo aver evidenziato una lunga lista di problemi, conclude: "Non temete per noi, la nostra vita sarà meravigliosa". Mario Calabresi conosce questa storia da quando è bambino: Gigi e Mirella sono i suoi zii. Oggi ha scelto di raccontarla, perché è necessario provare a rispondere ai dubbi, allo scetticismo, allo scoraggiamento di tanti ragazzi che si chiedono se valga ancora la pena coltivare dei sogni. Quella di Gigi e Mirella, ma anche quella di Elia e la sua lampara che ogni notte prende il largo dal porto di Genova o quella di Aldo che rimette in moto le pale del mulino abbandonato della sua famiglia, sono le storie di giovani di ieri e di oggi che hanno saputo guardare avanti con coraggio. Sono storie di ragazzi italiani che non hanno avuto paura di diventare grandi.
Tommy ha da poco compiuto sedici anni. Vive l'età in cui tutti gli adolescenti cominciano a fare progetti sul futuro e i genitori si preparano a lasciarli camminare da soli. Ma Tommy è un adolescente speciale: certo, è bravissimo a risolvere il cubo di Rubik, sa alzarsi in equilibrio dopo aver girato per mezz'ora come una trottola sulla sedia d'ufficio del padre, però il suo sguardo fatica a incrociare il tuo e il suo vocabolario è fatto di una manciata di parole. Perché Tommy è autistico, un dolcissimo, solitario ragazzone che senza l'aiuto di qualcuno difficilmente potrà percorrere le strade della vita. Tommy "frequenta" il liceo artistico, ma non conosce l'ambizione di un diploma o di una laurea. Il vero traguardo di quelli come lui è l'autonomia nelle piccole azioni di tutti i giorni: sapersi lavare e vestire, allacciarsi le scarpe, affettare le zucchine per un piatto di pasta da cucinare sotto lo sguardo attento di un adulto. E se fino a un anno fa la sua gestione quotidiana - già tutt'altro che semplice - era pur sempre l'unico problema dei genitori, per loro è ora arrivato il momento di affrontare nuovi angoscianti quesiti: che ne sarà di Tommy domani? Chi se ne occuperà quando il padre e la madre non avranno più le energie per camminargli accanto? In questo libro, Gianluca Nicoletti ci racconta (e si racconta) cosa succede "dopo", quando al tuo bambino incapace di comunicare inizia a spuntare la barba e tu, oltre alle difficoltà del presente, devi fare i conti con il suo futuro.
Milano, marzo 1953: Flavio Villareale, cinquantenne, attore, regista e proprietario del Teatro Imperiale, un elegante edificio liberty in zona Stazione Centrale, viene trovato senza vita nel suo appartamento di via Vitruvio. A scoprire il cadavere è Umberto Calcaterra, socio di Flavio e amministratore del teatro, l'esame del medico legale riscontra i segni inequivocabili di una morte per soffocamento: Flavio Villareale è stato ucciso. Trovare l'assassino è compito degli uomini del Commissariato Porta Venezia, guidati dal commissario capo Mario Arrigoni, convocato sul luogo del delitto al ritorno dalla interminabile festa di matrimonio del suo vice, Salvatore Mastrantonio, fresco sposo alla tenera età di cinquantaquattro anni. Il viaggio di nozze priverà Arrigoni dei servigi non proprio indispensabili del vice, a favore di quelli ben più brillanti dell'ispettore Giovine. I primi colloqui già mettono in evidenza la personalità della vittima, geniale artista ma pessimo soggetto: assatanato di sesso, dedito a pratiche sadomasochistiche, non esita a sfruttare il suo fascino e la sua posizione per sedurre ogni bella donna che incontri sul suo cammino. Come se ciò non bastasse, pesanti ombre arrivano anche dal passato: mussoliniano fino al fanatismo, pare abbia denunciato oppositori veri e presunti del regime all'Ovra, la polizia segreta fascista, non senza ricavarne un tornaconto personale. Toccherà al commissario Arrigoni risolvere il mistero.
Tremila anni fa nella valle di Elah ha avuto luogo uno dei duelli più famosi della storia: il giovane pastore Davide, con una semplice fionda e qualche ciottolo, affronta e sconfigge il potente guerriero filisteo Golia. Una vittoria miracolosa, narra la Bibbia; uno scontro in cui chi era partito in apparente svantaggio esce trionfante a dispetto di ogni previsione. Questa, almeno, è la versione dei fatti che è stata tramandata nel corso dei secoli. La vittoria di Davide fu sorprendente, miracolosa: in quelle circostanze non avrebbe dovuto vincere. O invece sì? Muovendo dal racconto biblico, da sempre considerato la metafora della vittoria improbabile, in "Davide e Golia" Malcolm Gladwell ci accompagna in un viaggio attraverso confronti ritenuti impossibili, osservando che cosa accade quando una persona normale fronteggia un "gigante", vale a dire una situazione sfavorevole, una disabilità svantaggiosa o una sfida proibitiva. E l'affronta ad armi impari. Che cosa è disposta a mettere in gioco? Quali strategie intende adottare? Deve seguire le regole o l'istinto? Perseverare o rinunciare? L'atto di confrontarsi con situazioni estremamente difficili, ci dice Gladwell, spesso genera il coraggio, la determinazione e la creatività indispensabili per aprire nuove opportunità e rendere possibili cose altrimenti inimmaginabili. E consente anche di vedere i "giganti" con occhi diversi, scoprendo proprio nelle qualità in cui sembra risiedere la loro forza un motivo di grande fragilità.
Nell'utopia dei "geek", i fanatici della tecnologia digitale, in un futuro molto prossimo poderosi sistemi informatici di raccolta dati e misurazioni statistiche consentiranno di monitorare ogni aspetto della nostra vita, fornendo risposte risolutive a tutte le più scottanti questioni del nostro tempo, dalla povertà all'inquinamento, dalla corruzione alla criminalità, dall'obesità allo smaltimento dei rifiuti. Questo "grande esperimento migliorativo" è visto come un processo ineluttabile e definitivo, e segnerà una svolta epocale nella storia dell'umanità. L'obiezione mossa da Evgeny Morozov a questa straordinaria quanto ingenua prospettiva di perfezionamento telematico del pianeta parte dalla critica ai due cardini ideologici che la sostengono. Da un lato il "soluzionismo", ovvero l'idea che per qualsiasi problema esiste un rimedio digitale; dall'altro l'"internet-centrismo", ovvero la teoria per cui tutti gli ambiti dell'esistenza, per diventare migliori, devono modellarsi sulle caratteristiche della Rete, evitando in ogni modo di intralciarne o limitarne l'ecosistema. Consapevole di fronteggiare un nemico agguerrito e subdolo, Morozov si propone di smascherare l'idolatria di "Internet", che propone il miraggio di una vita individuale e sociale, fisica e psicologica, senza intralci. L'illusione che tutto possa essere corretto e sanato può infatti avere effetti disastrosi sulla capacità dell'uomo di convivere con la complessità.