Cosa significa essere posseduti dalla memoria? Che segno lasciano sulla nostra esistenza i grandi capolavori della letteratura? C'è differenza tra il ricordo di una persona cara e quello di una poesia che ci accompagna sin da quando eravamo bambini? Giunto alla soglia dei novant'anni, Harold Bloom - uno dei grandi critici letterari del nostro tempo - si è interrogato su tutto ciò, ripercorrendo il proprio rapporto con alcuni capisaldi della poesia, del teatro e della prosa universali, in un dialogo interiore che è al tempo stesso diario, saggio letterario e testamento spirituale. Testi letti, riletti e spesso mandati a memoria; le opere che hanno segnato il cammino della nostra civiltà e quelle dei tanti autori che con Bloom hanno intrecciato un rapporto di vicinanza e sincera amicizia. La Cabala, i Salmi, la Bibbia; i tesori consegnati alla storia dal genio immortale di Shakespeare; e ancora Milton, Blake, Wordsworth, Byron, Keats, Tennyson; fino a Whitman, Crane, Stevens... Lontano da ogni accademismo, l'ultimo volume di questo gigante della critica è piuttosto una rêverie, una sorta di fantasticheria su cosa significhi essere posseduti dalla memoria delle proprie letture e dal ricordo di «amici e amanti morti o perduti»: «Quasi tutti i buoni amici della mia generazione se ne sono andati, ma le loro voci risuonano ancora nelle mie orecchie. Sono intessute in ciò che leggo». Bloom ci consegna un testo intimo e personale, nel quale si rincorrono con libertà e freschezza storia privata e letteratura universale. E ci guida, per l'ultima volta, all'incontro con opere fondamentali, il cui senso profondo si lega in modo indissolubile all'esperienza di ciascuno di noi.
I "dàimon" per i filosofi greci erano gli esseri superiori, a metà strada fra il divino e l'umano; per Bloom sono gli scrittori dotati di un'intensità tale da elevarli verso il sovrasensibile: Whitman, Melville, Emerson, Dickinson, Hawthorne, James, Twain, Frost, Stevens, Eliot, Faulkner e Crane. Ritroviamo un'idea di letteratura esigente, idiosincratica, che è sempre anche una "guerra del gusto". Ma quando Bloom spiega perché l'amore per un poeta non si può spiegare, o perché Whitman gli ha letteralmente salvato la pelle, è chiaro che il merito principale di questo libro è di regalare ancora una volta il racconto di un'esperienza di lettura unica, non tanto diversa dalla vita, che fa corpo con la vita.
¿Qué es el genio?: ésta es la pregunta que estructura este monumental estudio de cien mentes creativas de la historia de la literatura emprendido por el crítico norteamericano más importante del momento. Desde la Biblia hasta Sócrates, pasando por los trascendentales logros de Shakespeare y Dante, y llegando a Hemingway, Faulkner y Ralph Ellison, el autor señala las numerosas influencias de los escritores escogidos y su relevancia durante los siglos. El perspicaz análisis de la poesía de Milton, Shelley y Whitman, el teatro de Ibsen y Tennessee Williams y los relatos de Melville y Tolstói, entre muchos otros, permitirán al lector ampliar e iluminar el conocimiento y la apreciación de estas grandes obras de arte. Y no podían faltar autores tan imprescindibles en lengua española como Cervantes, García Lorca, Cernuda, Borges, Carpentier y Octavio Paz.
«La genialidad de Bloom consiste en devolvernos la conciencia del misterio de la literatura» (New York Times).
«Insuperable guía de lectura» (Jordi Llovet, El País).
«Este libro, sobre todo, nos anima a leer. En eso Bloom es impagable» (José María Pozuelo Yvancos, ABC).
"La critica letteraria è l'unica forma accettabile di autobiografia" sosteneva Walter Pater. Lo dimostra in questo libro Harold Bloom, che oggi suggella l'esperienza di una vita intera di curiosità, pensiero e insegnamento ripercorrendo i temi e le passioni della sua carriera con gli occhi del critico e soprattutto del lettore instancabile. A quarant'anni dal capolavoro "L'angoscia dell'influenza", torna infatti a confrontarsi con la trama segreta di soggettività, emulazione, mimesi, lotta e tradimento che innerva la storia letteraria e arricchisce l'esperienza del testo, poiché leggere è innanzitutto un dialogo a distanza che non si esaurisce nelle pagine ma si nutre di echi, risonanze e infiltrazioni che durano per tutta la vita. I capolavori non vengono infatti al mondo già perfettamente formati: emergono da una lotta senza quartiere con quelli che li hanno preceduti. Leggerli e comprenderli fino in fondo significa ricostruire le mosse di questa battaglia, tracciando di rimando in suggestione, di citazione in appropriazione, la mappa dei vincitori, dei vinti, dei saccheggi. Sul filo degli incontri, delle scoperte e degli amori più duraturi, Bloom costruisce un ideale testamento - il suo "canto del cigno", come lui stesso lo ha definito - che è insieme raccolta di saggi, autobiografia letteraria e invito al corpo a corpo con i maestri del nostro pensiero.
Il compito della grande poesia è aiutarci
a diventare liberi artisti di noi stessi.
Dal viso che varò mille navi di Marlowe alla strada annerita di Eliot, passando per mille altre voci: è una cornucopia di versi quella che Bloom apre per noi con la padronanza e il lirismo di un sommo sacerdote della critica letteraria. Sfogliando le pagine del canone poetico occidentale, restituisce lo splendore di un linguaggio capace di rinnovare “i contorni più sottili delle parole”, insegna l’arte di distinguere il superbo dal mediocre e di riconoscere il genio nel suo continuo rinnovarsi. Una guida per orientarsi nel gioco di specchi che è la parola. E per goderne.
Dal "Libro di Giobbe" all'"Ecclesiaste", dalle opere di Platone a quelle di Cervantes, Shakespeare, Montaigne, Nietzsche e Proust, Bloom analizza una serie di esempi letterari alla ricerca di una saggezza che si trasmetta alle esperienze quotidiane. Costruito sulla classica tripartizione delle età della vita - la giovinezza, la maturità e la vecchiaia - questo volume presenta esempi letterari in grado di accrescere nel lettore la consapevolezza, la fiducia in se stesso, l'accettazione di ogni momento dell'esistenza. Questa edizione è pubblicata con una copertina realizzata per l'occasione da Roberto De Vicq De Cumptich.
La Bibbia ebraica dei giudei e il Vecchio Testamento dei cristiani sono due libri profondamente diversi, scritti con propositi politici, oltre che religiosi, molto differenti. In un tempo in cui la religione è venuta a occupare un posto centrale nella nostra arena politica, la provocatoria conclusione di Bloom, secondo la quale non esiste una tradizione giudaico-cristiana, dato che le storie, gli dèi e persino i testi sacri degli ebrei e dei cristiani sono tra loro incompatibili, spinge i lettori a rivedere tutto ciò che era ritenuto un patrimonio comune alle due fedi. Esaminando con il metodo della critica letteraria e storica la Torà ebraica, l'Antico e il Nuovo Testamento e i Vangeli gnostici contemporanei a quelli canonici, l'autore arriva alla conclusione che il Gesù ebraico di Marco, così umano, irascibile e incline all'ironia, potrebbe essere davvero figlio di quella divinità fin troppo umana che è lo Yahvè della Torà; mentre il Cristo degli altri libri del Nuovo Testamento proviene da una famiglia del tutto diversa; e lo Yahvè degli ebrei e il Dio Padre dei cristiani hanno ben poco in comune.
Como todo libro provocador, heterodoxo, contracorriente, El canon occidental se ha visto envuelto en la polémica desde el mismo momento de su aparición en Estados Unidos. Harold Bloom, uno de los críticos literarios más prestigiosos de nuestro tiempo, retoma la antigua idea de canon, o «catálogo de libros preceptivos», y nos propone un recorrido por la historia de la literatura occidental a través de los veintiséis autores que él considera capitales, una tradición que, centrada en Shakes­peare, se extiende desde Dante hasta Beckett e incluye a escritores tan dispares como Cervantes, Tolstói, Wordsworth, Montaigne, Joyce, Dickens, Neruda, Emily Dickinson, Walt Whitman, Proust o Borges.
En una época en que los estudios literarios se ven contaminados por todo tipo de ideologías espurias y pretendidamente progresistas, cuyo emblema es lo «políticamente correcto», el autor reivindica la autonomía de la estética, el placer de la lectura sin intenciones de redención social y basada en el puro goce intelectual y verbal como reacción contra lo que él denomina la Escuela del Resentimiento: un mejunje crítico formado por multiculturalistas, marxistas, feministas, neoconservadores y neohistoricistas. Para Bloom, al igual que para Virginia Woolf, la crítica no es más que un intenso amor por la lectura, y ésa es la idea fundamental que nos transmite este lúcido ensayo.
«Todo lector encontrará algo que aprender en cada una de sus páginas» (Christopher Ricks, Washington Times).
«Bloom recupera brillantemente el concepto de canon occidental y la deslumbrante colección de obras que mejor lo representan» (R. Poirier).
«Leer bien es algo difícil de hacer y difícil de enseñar. Por eso este libro es importante» (Frank Kermode, London Review of Books).
Che cos'è il genio? È un'idea che la cultura materialista del nostro tempo non ama, e che tenta di spiegare, riconducendone la portata, con l'analisi del contesto storico, sociale o culturale, o con il determinismo genetico. Ma per il critico americano Harold Bloom una definizione materialistica del genio è impossibile, dato che il genio è proprio l'aspirazione allo straordinario e al trascendentale che, magari inconsapevolmente, coltiviamo dentro di noi e che alcuni individui hanno saputo realizzare con le loro opere. In questo saggio l'autore limita la ricognizione al campo dei suoi studi, cioè ai geni che hanno scelto la parola come mezzo di espressione, in un racconto che spazia dalla Palestina del X secolo avanti Cristo alla fine del XX secolo.
Analizzando le opere maggiori di Shakespeare, Bloom dimostra che il drammaturgo, più che semplici ruoli teatrali o personaggi, ha creato vere e proprie personalità. Dopo oltre 12 anni trascorsi a studiarlo e a insegnarlo, Bloom si arrende, ammirato, alla mente del "bardo" che, lungi dal "riprodurre la natura", ha inventato l'uomo, i percorsi e i motivi della sua psiche, scendendo a profondità non ancora completamente spiegate e comprese, nemmeno da Freud. I personaggi shakesperiani sono più vivi della vita stessa, come il pubblico di allora e di oggi percepisce bene al di là di ogni velleitaria analisi critica o messinscena teatrale.