Una collana di classici pensata espressamente per il target dei più piccoli. Economica, maneggevole, tascabile, di prezzo accessibile e molto accattivante dal punto di vista grafico. I Classicini sono libri leggeri, coloratissimi, scanzonati, che vogliono rendere giustizia a storie emozionanti e bellissime, storie che si possono e si devono poter raccontare come delle fiabe, che si possono voler leggere e rileggere tante volte. Età di lettura: da 7 anni.
"Il Signore dei lupi" è un romanzo di Alexandre Dumas. È da tempo assente dagli scaffali e rappresenta una delle prime apparizioni della figura del lupo mannaro nella letteratura moderna, oltre a riuscire ad alternare l'orrore improvviso con momenti di gustosa commedia. L'ambizioso zoccolaio Thibault si trova a stringere un patto con il diavolo, che gli si presenta sotto forma di un immenso lupo nero: da quel momento in poi avrà la facoltà di far del male a chiunque, soltanto desiderandolo. Ben presto però il diavolo gli presenterà il conto da pagare: Thibault verrà così lentamente trasformato in un licantropo, capace di comunicare con i lupi della foresta e di servirsi di loro per le proprie malefatte. La guerra tra la gente del villaggio e Thibault, il terribile lupo mannaro, non potrà più essere rimandata.
Il libro di Alexandre Dumas padre, ambientato nei Paesi Bassi nel travagliato periodo della fine del Seicento, è qui riproposto in una veste classica ed elegante. Cornelius van Baerle e Rosa Grifo, ma soprattutto il fiore che dà anche il titolo all’opera, il tulipano nero, sono i protagonisti di questo avvincente romanzo che mescola vicende storiche con il racconto di un tenero amore.
L'autore
Alexandre Dumas, padre, (VillersCotterêts, 1802 Puys, Dieppe, 1870) è stato uno scrittore e un drammaturgo francese. I suoi romanzi, per lo più di argomento storico e di ispirazione romantica, ottennero un grande successo di pubblico. Della sua vasta produzione ricordiamo i titoli più noti: Il conte di Montecristo, La regina Margot e la trilogia comprendente I tre moschettieri, Vent’anni dopo, Il visconte di Bragelonne.
Edmond Dantès, giovane marsigliese, secondo ufficiale a bordo del mercantile Pharaon, a causa della morte del capitano prende il comando della nave. Rientrato a Marsiglia, dopo una fugace tappa all’isola d’Elba, riceve dal suo armatore la nomina a capitano e si accinge a sposare la bella e fedelissima Mercédès. Ma un complotto che lega Danglars (il contabile del Pharaon), Fernand (il cugino di Mercédès, che è follemente invaghito di lei) e Caderousse (un sarto venale e insipiente) è destinato a distruggere la felicità di Edmond. Denunciato come bonapartista al sostituto procuratore del re, Dantès viene ingiustamente accusato di tramare contro la monarchia, e rinchiuso in gran segreto, e senza alcun processo, nel castello-fortezza dell’isola d’If, dove è condannato a marcire a vita. Ma l’amicizia con l’abate Faria, misterioso e provvidenziale compagno di carcere, lo porterà, dopo quattordici anni, a riguadagnare un’insperata libertà, accompagnata da una favolosa ricchezza. Da quel momento, Edmond avrà davanti a sé un solo scopo: la vendetta. Da capolavoro del romanzo popolare a capolavoro del romanzo: la storia della fortuna del Conte di Montecristo si potrebbe condensare nella lenta caduta di un aggettivo. Fin dal suo primo apparire, in quella Francia degli anni quaranta dell’Ottocento che era il più fervido e convulso laboratorio delle rivoluzioni europee, la storia dell’eroe borghese Edmond Dantès, eponimo della sfortuna e dell’ingiustizia, che si trasforma in spietato giustiziere, fu accolta dalle migliaia di avidi lettori di feuilleton come la più iperbolica incarnazione dello spirito del tempo. Un successo fulmineo, sancito dall’immediato passaggio all’edizione in volume e da un incredibile numero di ristampe e traduzioni. Ma fin da subito, quell’aggettivo, «popolare», suonò, in tutta una parte della critica colta, come una netta discriminazione, se non come una condanna. Il lettore potrà seguire, nelle pagine della Prefazione di Claude Schopp, la ricostruzione della vicenda critica del romanzo. Schopp, che ha dedicato tutta una vita di studi a Dumas, disvela con precisione e con maestria le ambizioni di una scrittura sapientemente costruita per portare all’estremo la tensione e la complicità del lettore. Situa, in una parola, il Montecristo nel posto che merita: all’apice della più felice stagione del romanzo europeo. Tanto più paradossale appare la vera e propria sottovalutazione critica che ha accompagnato fino a oggi la ricezione italiana del capolavoro di Dumas. Ne è testimonianza la stessa vicenda editoriale. Sembra davvero incredibile che le numerose edizioni italiane correnti del Conte di Montecristo siano tutte, in buona sostanza, riproposizioni, spesso inconfessate, di quelle traduzioni ottocentesche che introdussero in Italia il romanzo sotto la chiave fortunata ma riduttiva della letteratura d’appendice. Condotta sul testo francese meticolosamente stabilito da Claude Schopp, affidata alla nuova traduzione di Gaia Panfili, questa nostra edizione comprende, oltre alla Prefazione di Schopp, un apparato di note al testo, nonché un Dizionario dei personaggi e delle persone storiche e un Indice dei luoghi che faranno la felicità di ogni patito di Dumas.
L'AUTORE
Alexandre Dumas (1802-1870) è stato il maestro del romanzo storico e d’avventura. Da qualche anno rivive in Francia una stagione di riscoperta che, grazie alla paziente cura dello studioso Claude Schopp, sta riportando alla luce alcuni dei suoi capolavori rimasti nell’ombra in seguito al successo schiacciante dei più noti Tre moschettieri, Il conte di Montecristo e tanti altri. Di Dumas, Donzelli ha pubblicato La guerra delle donne e Sylvandire. Les Frères corses, uscito per la prima volta in rivista nel 1844, è entrato solo di recente nel canone dei capolavori dumasiani: l’ultima edizione italiana precedente a questa risale addirittura agli anni trenta del Novecento. Lunghissima è invece la storia degli adattamenti cinematografici: ben dodici messe in scena, da quella del 1917 a quella italo-francese, realizzata nel 1962 per la regia di Anton Giulio Majano.
Ogni epoca, ogni generazione ha avuto il suo Principe dei Ladri. Cavalleresco come Ivanhoe, spavaldo come D'Artagnan, Robin il proscritto ha la generosità di un santo e la giovialità di un ragazzo. Di sicuro l'arciere di Alexandre Dumas è il prototipo di una lunga serie di ladri gentiluomini. Il cinema lo ha a lungo inseguito nei labirinti di Sherwood, regno dell'allegria, dell'amicizia e delle sfide beffarde. Gli ha fatto assumere la scanzonata fisionomia di Douglas Fairbanks, la malinconica ironia di Sean Connery, il sorriso rassicurante di Kevin Costner. Per i cartoni animati Robin è una volpe, l'inseparabile John un grosso orso. Ma nessuna immagine (come nessuno sbirro) è mai riuscita a imprigionarlo. La lotta che ha ingaggiato con il potere è destinata a non aver mai fine. Perché Robin Hood è un mito: quello della giustizia che non ha pace e vaga per il mondo a risvegliare i suoi arcieri.
Sfide, duelli, tradimenti, agguati, congiure, intrighi di corte, battaglie, amori segreti, colpi di scena e avventure di ogni genere, e in mezzo a tutto questo le figure coraggiose e scanzonate di D’Artagnan e dei suoi amici Athos, Porthos e Aramis.
Il romanzo fu pubblicato nel 1844. Edmondo Dantès, marinaio, prigioniero, misteriosamente ricco, mette a soqquadro l'alta società parigina. Imprigionato a Marsiglia nel 1815, il giorno delle nozze, con la falsa accusa di bonapartismo, rimane rinchiuso per 14 anni nel castello di If, vittima della rivalità in amore di Fernando e in affari di Danglars, odiato anche dal magistrato Villefort. Questi i tre nemici su cui, dopo l'evasione, cadrà la terribile vendetta di Dantès. Il romanzo associa, senza la preoccupazione di una trama logica e ragionata, le più incredibili avventure con l'aiuto anche di uno stile agile e incalzante.
Terzo e ultimo romanzo del ciclo dei moschettieri, "Il Visconte di Bragelonne", tra l'epopea e il romanzo picaresco, il dramma e la commedia di costume, si svolge nella Francia radiosa di Luigi XIV. I quattro moschettieri - d'Artagnan, Athos, Porthos e Aramis - ormai avanti negli anni, si ritrovano su sponde diverse, ma il vincolo saldo dell'amicizia non viene meno anche nei momenti di più forte intensità drammatica. Sullo sfondo, intrecciati con le loro vicende, si sviluppano avvenimenti importanti per la storia europea, a cominciare dal perfezionamento dello Stato assoluto in Francia e della restaurazione monarchica in Inghilterra, mentre fioriscono le avventure galanti all'ombra della corte francese e i molteplici amori del re Sole. È famoso l'episodio della Maschera di ferro, che si svolge lungo diversi capitoli dell'opera e di cui sono state fatte numerose versioni cinematografiche. L'introduzione generale e la presmessa di questa edizione sono di Francesco Perfetti.
Roger Tancrède d'Anguilhem, giovane nobile di provincia, prende la via di Parigi in groppa al suo fedele destriero Christophe a caccia di un'eredità inattesa e controversa. A quel denaro è appesa l'unica possibilità di sposare la bella Constance, la cui famiglia, ben più ricca e potente della sua, non aveva esitato a metterlo alla porta. Inizia così la rocambolesca avventura del cavaliere d'Anguilhem, che da un piccolo paese si ritrova catapultato nella rutilante vita della capitale francese, nel momento del suo massimo fulgore. Fra duelli, sotterfugi, partite di pallacorda e guasconate, il quindicenne campagnolo scopre quanto affascinante e al tempo stesso ingannevole sia quel mondo cui non appartiene e dal quale è irresistibilmente attratto. Nel vortice della vita parigina Roger incontra colei che in fatto di inganni ne sa una più del diavolo, Sylvandire, un'ammaliante macchinatrice che non ci penserà due volte a spedirlo alla Bastiglia...