Il quarto libro delle Storie contiene la storia più bella narrata da Erodoto. Sotto la guida di Dario I, un grande esercito persiano avanzò nella Scizia: nel cuore dei paesi del freddo, dove per otto mesi all'anno il mare gela, il freddo fa cristallizzare le lacrime nell'occhio, e l'orizzonte è nascosto da una nevosa tempesta di piume. I cavalieri sciti si ritirarono come fantasmi davanti all'armata di Dario, distruggendo i raccolti, bruciando i pascoli, riempiendo i pozzi di terra, o comparendo all'improvviso sui loro cavalli, per aggredire i soldati che riposavano accanto ai fuochi accesi nella notte. I Persiani non potevano raggiungerli, a meno che non divenissero uccelli per assalirli dal ciclo, o non si trasformassero in topi per inseguirli sotto terra, o in rane per balzare nelle paludi. Così Dario decise di tornare in patria. Gli arcieri a cavallo della Scizia avevano sconfitto gli strateghi del "re dei re". Gli sciamani avevano scrutato il futuro meglio dei maghi achemenidi. L'antica patria degli Iranici era rimasta lontana e imprendibile, come i grifoni che custodiscono l'oro tra le nevi del Settentrione.
Nessuno dei grandi affreschi etnologici di Erodoto è forse pari a quello che egli ha dedicato alla Scizia: con le pagine meravigliose sulle tombe, i rituali funebri, le cerimonie sciamaniche. Le modernissime indagini archeologico-etnologiche, che Aldo Corcella ha raccolto con precisione e completezza nel suo commento, non fanno che confermare ciò che ha scritto Erodoto, quest'uomo innamorato dell'esattezza.
L'ultima parte del libro è dedicata alla Libia: Erodoto si inoltra sempre più lontano nel deserto, tra le montagne e le case di sale, dove non scende nemmeno una goccia di pioggia. Quando giungiamo tra gli uomini che non hanno nomi propri ne sogni, noi, che siamo fatti di nomi e di sogni, sappiamo di aver toccato la fine del mondo.
Il volume è accompagnato da un ampio inserto iconografico di ori e documenti scitici.
Indice - Sommario
Introduzione al Libro IV
Bibliografia
Abbreviazioni bibliografiche
Sommario del Libro IV
Cartine
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Nota al testo del Libro IV
Il Libro III delle Storie
Scoli
Lessico
COMMENTO
Appendici
Indice dei nomi
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
Il quarto libro di Erodoto si apre con la decisione da parte di Dario di marciare contro gli Sciti; ciò avverrebbe "dopo la presa di Babilonia", narrata alla fine del terzo libro. Questa vaga datazione ha fatto molto discutere; e stabilire quando realmente la spedizione ebbe luogo non è facile. Sarebbe comunque un errore non riconoscere che l'indicazione erodotea è funzionale al "tempo narrativo": Erodoto dice che la spedizione avvenne dopo la presa di Babilonia perché ha deciso di narrarla subito dopo di quella, ma l'intervallo di tempo effettivo resta indeterminato, celato - come spesso accadeva nell'epica - nell'apparente continuità del racconto. Contemporaneamente alle ultime fasi della spedizione di Dario si svolge d'altro canto la spedizione in Libia; tutta la narrazione del quarto libro si sviluppa intorno a questi due eventi, quasi simultanei ma raccontati in sequenza, uno dopo l'altro.
All'iniziale dichiarazione sulla spedizione scitica fa seguito l'indicazione della causa. Come di consueto in Erodoto, sulla motivazione economica generale (la ricchezza dell'Asia, la volontà di espansione) si innesta la causa particolare, la vendetta. Il motivo della vendetta riporta la narrazione indietro, con un richiamo all'invasione scitica dell'Asia di cui Erodoto aveva parlato a I 103-6. Questo flashback offre il pretesto per raccontare un episodio relativo al ritorno degli Sciti dall'Asia: un piccolo excursus all'interno del quale se ne inserisce un altro (la lavorazione del latte da parte degli schiavi). Nel cap. 4, quindi, l'excursus viene chiuso con una tipica formula di passaggio che ci riporta al tema della spedizione di Dario enunciato al cap. I: "Fu così che gli Sciti dominarono sull'Asia, e... tornarono in patria nel modo che ho detto. Per questo motivo Dario, volendo vendicarsi, raccoglieva un esercito contro di loro".
A questo punto ci attenderemmo il racconto della spedizione. Questo racconto comincerà però solo al cap. 83; i capp. 5-82. sono invece occupati da un ampio excursus, il cui argomento è la Scizia e gli Sciti.
II
II modo in cui questo excursus si sviluppa ricorda da vicino il logos egizio del secondo libro. L'intimo nesso tra le due sezioni consiste nell'analogo atteggiamento, nel comune indirizzo della ricerca. Se il logos egizio si apre con la dichiarazione che gli Egizi sono il popolo più antico o quasi, all'esordio di quello scitico viene detto che gli Sciti sono i più giovani; entrambe queste affermazioni vengono quindi discusse attraverso un'analisi delle tradizioni locali, messe a confronto con quelle greche. Il problema dell'origine del popolo si lega così a quello dell'estensione del territorio e della sua delimitazione: per l'Egitto, si discute della sua natura di "dono del Nilo", della sua posizione a cavallo tra Asia e Libia e delle regioni all'estremo sud, fino alle foci del Nilo; per la Scizia, delle regioni poste all'estremo nord.
Erodoto va così esplorando i confini dello spatium historicum e dello spazio geografico, e la sua ricerca lo porta a una polemica contro i predecessori: se i racconti mitistorici greci vengono smentiti dalle tradizioni locali, le nozioni della geografia ionica si rivelano troppo schematiche rispetto alla realtà. L'excursus di IV 36.2.-45 sulla divisione tra le parti del mondo, apparentemente pretestuoso, trova così una sua motivazione: alla base della descrizione geografica della Scizia c'è la medesima esigenza di controllo e di verifica dei dati precedentemente noti ai Greci, e cristallizzati nei loro peripli e carte, che animava l'inizio del libro secondo (nonché la riflessione sulle regioni estreme del mondo a III 106-16); e a IV 36.2.-45 Erodoto può finalmente tirare le somme, su un piano più generale, di tutto questo lavoro.
Solo tenendo presenti questi presupposti la struttura per certi versi disordinata del logos scitico può risultare più chiara. Innanzitutto, Erodoto deve fare i conti con i precedenti autori greci. Dell'origine degli Sciti e dei popoli che, al di là della Scizia, vivevano ai margini del mondo conosciuto, aveva già parlato una curiosa figura di poeta, Aristea di Proconneso, in un altrettanto singolare poema, le Arimaspee. Ma Aristea, tipico esponente di quella schiera di figure misteriose a proposito delle quali si raccontavano, nella Grecia tra età arcaica e classica, reincarnazioni, sparizioni miracolose, episodi di ubiquità, non era un personaggio che potesse incontrare il favore di Erodoto. A esordio del proprio poema egli affermava di essere approdato tra gli Issedoni "per un in-vasamento di Apollo": qualcosa di simile, forse, ai mistici arabi medievali sempre pronti a partire dalla natia Spagna per il loro misterioso "oriente". Aristea, per parte sua, doveva parlare di un volo magico, e discorreva degli Iperborei, il mitico popolo apollineo ben noto ai poeti greci. Tutto ciò sembrava fatto apposta per destare la diffidenza di Erodoto, il quale rivela chiaramente il suo scetticismo sulla realtà del viaggio di Aristea; e anche gli studiosi moderni, incerti perfino sulla sua collocazione cronologica, non sanno decidere se Aristea fosse solo un sublime ciarlatano, che inserì nel racconto del suo "viaggio dell'anima" elementi geografici, etnografici e mitici raccolti da ogni dove; oppure un reale viaggiatore, spintosi dalla Propontide fino agli avamposti settentrionali della grecità e di lì penetrato nelle steppe eurasiatiche, dove figure e leggende sciamaniche poterono corroborare una vocazione apollinea ben diffusa in tutte le colonie milesie del Ponto.
Non si finirebbe mai di leggere Erodoto: via via che procediamo nella lettura, cresce la nostra ammirazione per quest'uomo ironico, tragico e tranquillo, che insegnò a tutti gli europei l'arte di raccontare. Come il secondo, il terzo libro delle Storie è anche un saggio di geografia economica e di etnologia: il catalogo delle regioni della Persia è degno dei bassorilievi di Persepoli (che l'accompagnano in questo volume, riuniti in un inserto iconografico); i mirabilia indiani e i sentori dolcissimi d'Arabia hanno nutrito, per secoli, la fantasia occidentale. Ma il cuore del libro è dedicato all'empietà e alla follia dei potenti: Cambise che offende le tradizioni, che uccide gli dèi, che violenta e tortura - è uno dei massimi emblemi di hybris che ci abbia offerto la letteratura greca. Erodoto non amava l'altezza e la monotonia dello stile. Così, intorno al tragico ritratto di Cambise, ecco il viaggio nel primo dei mondi utopici, l'Etiopia, dove sgorgava la fonte della giovinezza: quell'acqua lucente che sapeva di viole. Ecco il tema degli ambigui rapporti tra gli dèi e gli uomini: gli dèi invidiano gli uomini e abbattono chi è troppo felice; gli uomini sono astutissimi, come Dario, e gli dèi proteggono e benedicono ironicamente la loro astuzia; gli uomini sfidano il cielo e, questa volta con un'ironia distruttiva, gli dèi fanno accadere l'impossibile: le mule partoriscono. Ecco scorci di grandi romanzi orientali, come quello del falso Smerdi, trattati con delicatezza occidentale. Ecco, infine, i piccoli, squisiti apologhi morali di Erodoto, con i quali egli ci comunica la sua profonda e lieve saggezza. Nessuno può non commuoversi su Psammenito, che non piange per la morte dei figli, ma per quella, che dovrebbe farlo soffrire assai meno, di un vecchio amico. Nessuno può non ammirare la grazia con la quale Erodoto ci ricorda che tutte le più straordinarie azioni storiche, come la guerra della Persia contro la Grecia, nascono quasi per caso, da un discorso futile, da una chiacchiera d'alcova tra un re e la più amorosa delle sue mogli.
Indice - Sommario
Introduzione al Libro III
Bibliografia
Abbreviazioni bibliografiche
Sommario del Libro III
Cartine
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Nota al testo del Libro III
Il Libro III delle Storie
Scoli
Lessico
COMMENTO
Appendici
Indice dei nomi
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
Il terzo libro di Erodoto - la sua musa tradizionale è Talia - si ricollega, nei temi e a livello cronologico, sia al grande excursus di storia egiziana che costituisce la seconda parte del secondo libro, sia al racconto principale di storia persiana apertosi nel primo libro con la nascita e l'ascesa al trono di Ciro, interrottosi quindi con la sua morte sul campo di battaglia. Erodoto ci presenta subito i due rappresentanti di questo doppio intreccio egiziano e persiano: Amasi e Cambise. I primi capitoli riportano alcuni antefatti aneddotici che risalivano agli ultimi anni di Ciro e ai primi di Cambise. Tuttavia, il racconto vero e proprio del terzo libro si apre con la campagna egiziana del 525. I preparativi di questa campagna possono collocarsi nei due o tre anni precedenti; al limite opposto, gli eventi più tardi del libro sono costituiti dalla conquista persiana di Samo e dall'assedio di Babilonia, che Erodoto mette in rapporto cronologicamente, così da porli entrambi nel periodo iniziale del regno di Dario: all'incirca gli anni 520/19, sebbene dalle fonti orientali si desuma che l'ultima rivolta babilonese contro Dario fu domata nel dicembre 521. Dunque, è al massimo un decennio di storia a occupare il racconto principale del terzo libro. Si tratta di storia essenzialmente persiana: il regno di Cambise (529-521), l'usurpazione del Mago, la cospirazione dei sette, l'ascesa di Darlo al trono (521/1), l'opera di restaurazione e di riorganizzazione dell'impero, alcuni eventi bellici che appartennero ai primissimi anni del regno di Dario. I capitoli di storia egiziana e le tre importanti sezioni sulla storia di Samo si intrecciano nei temi e a livello cronologico al racconto principale di storia persiana. In alcuni capitoli digressivi si fa riferimento ad avvenimenti che risalivano al secolo precedente: l'appoggio di Samo a Sparta nel corso della seconda guerra messenica (fine settimo secolo), la tirannide di Periandro (forse 625-585), alcuni aneddoti di poco anteriori o contemporanei alla conquista persiana di Sardi (circa 548-546), l'ascesa di Policrate al potere (forse nel 533/2). Non mancano inoltre accenni sporadici ad avvenimenti più tardi, successivi non solo a quelli della fine del terzo libro, ma alla stessa conclusione delle Storie di Erodoto: la battaglia di Papremis del 462/1, le rivolte di Inaro e di Amirteo intorno al 450, la diserzione di Zopiro il giovane ad Atene (probabilmente poco dopo il 440). Ma, a parte questi rari sbalzi, il quadro cronologico essenziale del libro è rigorosamente circoscritto.
Anche da un punto di vista strutturale il terzo libro presenta un racconto principale solido, costituito da una serie di logoi persiani, volutamente concatenati insieme attraverso nessi cronologici, di contenuto, talvolta anche di carattere morale o simbolico. Il primo dei logoi persiani è dedicato al regno di Cambise. Si impernia sulla conquista persiana dell'Egitto: la "causa", gli antecedenti e i preparativi, la battaglia di Pelusio, l'assedio e la capitolazione di Menfi, la sottomissione volontaria dei Libi, dei Cirenei e dei Barcei. Dopo tre capitoli sulle pene e sulle umiliazioni inflitte ai membri vivi e morti della famiglia reale e della nobiltà egiziana, Erodoto si sofferma sulle tre spedizioni militari progettate da Cambise e poi fallite, che avevano tutte l'Egitto come base di partenza: contro Cartagine, contro l'oasi di Ammone e contro l'Etiopia. Solo questa terza campagna, terminata con una catastrofe, è descritta nei dettagli, in capitoli ricchi di materiale etnologico. Quando Cambise torna dall'Etiopia, l'interesse di Erodoto si concentra sul carattere, sul comportamento e sulle azioni del re, rappresentato in definitiva come vittima di una malattia mentale. Sospettandolo di cospirazione, Cambise fa mettere a morte il fratello Smerdi; uccide personalmente sua sorella, che era anche sua moglie e che era incinta; uccide il figlio del suo fido Pressaspe; fa seppellire vivi dodici nobili persiani. Al culmine della follia, secondo Erodoto, Cambise compie una serie di atti sacrileghi contro gli dei, i templi e i sacerdoti egiziani, in particolare provoca la morte del nuovo Api. Il vecchio Creso torna in scena un'ultima volta nel suo ruolo di "saggio consigliere", ma non riesce a impedire gli eccessi del re. Questa parte della "biografia" di Cambise si chiude con un famoso aneddoto di carattere etnografico e moraleggiante; in seguito, come epilogo, saranno narrate le ultime vicende e la morte del re. Tra i numerosi episodi di questo primo logos, quattro hanno la funzione di anelli di collegamento, tematico e morale, con altrettanti avvenimenti posteriori, narrati nel secondo grande logos persiano del terzo libro: l'uccisione di Api, del fratello, della sorella-moglie e del figlio di Pressaspe rinviano rispettivamente alla morte di Cambise, al regno del falso Smerdi, all'estinzione della stirpe di Ciro e alla sorte tragica di Pressaspe. Dunque, all'interno del libro, la funzione di questi quattro episodi supera i limiti tematici del primo logos. Qui il racconto principale è interrotto da varie digressioni geo-etnografiche o aneddotiche, che in genere si integrano bene nella "biografia" di Cambise: la geografia della costa palestinese, le giare di vino in Egitto, gli usi degli Arabi, la mensa del Sole in Etiopia, i costumi degli Etiopi . Un complesso novellistico di sogni, di portenti e di oracoli, è abilmente utilizzato per provare la concatenazione dei fatti.
Il secondo libro delle "Storie" di Erodoto - commentato da Alan B. Lloyd e tradotto con intelligente eleganza da Augusto Fraschetti - è dedicato all'Egitto. Erodoto fu sulle rive del Nilo tra il 449 e il 450 a.C.: visitò Pelusio, Bubastis, Sais, Eliopoli, Chemmis, Tebe, Menfi, Elefantina; come informatori, ebbe sia discendenti degli Egiziani che avevano appreso il greco dagli Ioni, sia sacerdoti d'alto rango. Da un lato, la civiltà egizia è, per lui, quella più antica, religiosa e saggia: la civiltà che ha fondato il tempo e nominato gli dei; dall'altro, è quella più strana - dove tutte le cose sono capovolte rispetto al mondo greco. Con la sua infinita amabilità e la sua scrupolosa competenza, Erodoto parla di tutto: gli oracoli, i sacrifici, i gatti, i coccodrilli, la fenice, i serpenti alati, le profezie, la medicina, l'imbalsamazione, i pesci, le zanzare, i labirinti, il Nilo, gli dei, le inondazioni, i santuari, i sacerdoti, i prodigi. Elena di Sparta, Sesostri, le piramidi, Micerino, gli Etiopi, gli abiti, Psammetico, Amasi. Nel primo libro, Erodoto ci aveva mostrato le sue qualità di complicato e variegato narratore. Qui trionfa il suo talento di etnologo: 1''Egitto è il più bei testo di etnologia che sia mai stato scritto. Ma Erodoto non sarebbe Erodoto se si dimenticasse di raccontare. La storia di Elena, quella di Micerino e quella dei ladri di Rampsinito sono tra le sue novelle più straordinarie: intrecciate con arte raffinatissima al corpus etnologico, evocano un delizioso sapore d'Oriente. Il moralista, infine, si affida alla storia di Amasi. Secondo il modello del faraone Amasi, che la mattina curava gli affari politici e poi si divertiva, il nostro arco psicologico-morale non deve essere mai troppo teso: altrimenti, cadiamo preda delle furie. Ciò che conta, nella vita come nella letteratura, è soprattutto l'arte della variazione.
Indice - Sommario
Introduzione al Libro II
Bibliografia
Abbreviazioni bibliografiche
Nota la testo del libro II
edizioni e commenti
Sommario del Libro III
Tavola cronologica
Cartine
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Nota al testo del Libro II
Il Libro II delle Storie
Scoli
Lessico
COMMENTO
Indice dei nomi
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
Il secondo libro delle Storie di Erodoto è il risultato di oltre due secoli di interesse greco verso l'Egitto. Questo interesse fu molto importante sia nel fornire sull'Egitto una massa considerevole di informazioni largamente accessibili, sia nel determinare la lunga storia della partecipazione diretta dei Greci negli affari politici e militari egiziani, storia che divenne una parte integrante del tema di Erodoto. E dunque essenziale, per uno studio del secondo libro, delineare l'attività greca in Egitto durante l'età arcaica e l'età classica, fino alla metà del quinto secolo.
Erodoto identifica tre categorie di Greci: "Quando Cambise, figlio di Ciro, marciava contro l'Egitto, anche altri Greci si recarono lì, alcuni, come ci si potrebbe aspettare, per commercio, altri come soldati, altri ancora per visitare lo stesso paese". Questi gruppi tuttavia non furono certo limitati all'ambito del sesto secolo. Mercanti e soldati greci possono essere individuati in Egitto già in un'età molto più antica, mentre l'attestazione di visitatori e studiosi, sebbene meno chiara e attendibile, è comunque indubbia. Questi gruppi non esauriscono tutte le possibilità; per il settimo e il sesto secolo esiste infatti la possibilità che alcuni Greci abbiano operato in Egitto come esperti navali.
Dopo il lungo iato del medioevo ellenico, i Greci appaiono in Egitto per la prima volta come mercanti all'inizio del regno di Psammetico I (664-610 a. C.); inoltre dalla fine del settimo secolo i Milesi avevano stabilito in Egitto un importante centro commerciale a Naucrati presso Sais, la capitale della ventiseiesima Dinastia, che regnò sul paese dal 664 fino alla conquista persiana del 525. Perfettamente adatta come base per il commercio d'esportazione e d'importazione, Naucrati si sviluppò in fretta e attrasse per primi Egineti e Sami; in seguito contingenti da Chio, Teo, Focea, Clazomene, Rodi, Cnido, Alicarnasso, Faselide e Mitilene. Nel 570 (o intorno al 570) la sua posizione si consolidò in seguito al movimento antiellenico che portò Amasi sul trono d'Egitto; la città allora divenne il centro attraverso cui doveva essere convogliato tutto il commercio greco nel paese. Il nucleo centrale di questo interesse commerciale greco era costituito dal grano, ma venivano acquistati anche oggetti di faïence e forse lino, papiro e avorio. In cambio i Greci esportavano in Egitto soprattutto argento e vino.
Anche mercenari sono chiaramente documentati nei primi anni del regno di Psammetico I, quando truppe provenienti dalla Caria e dalla Ionia svolsero un ruolo cruciale nella riconquista dell'indipendenza egiziana dal dominio assiro e nella restaurazione in Egitto, nel 656, da parte di Psammetico, di un potere centralizzato e unificato. Psammetico in seguito insediò i mercenari in campi permanenti alla frontiera nord-orientale; resti di questi campi sono stati portati alla luce a Dafne e a Magdolo. Qui essi avrebbero dovuto chiaramente costituire una barriera contro eventuali invasioni da parte di pericolose potenze asiatiche come gli Assiri, i Caldei e, più tardi, i Persiani. Mercenari greci furono utilizzati dall'Egitto anche nella sua politica estera aggressiva, di cui l'esempio meglio conosciuto è l'invasione della Nubia nel 593/2, durante il regno di Psammetico II. Questi condusse i mercenari almeno fino alla terza cateratta e diede a un contingente di soldati greci l'opportunità di registrare, al loro ritorno, il proprio passaggio in iscrizioni su uno dei colossi di Ramesse II ad Abu Simbel. In questo contesto, e probabilmente in ogni altra occasione, i mercenari agivano sotto il comando operativo di ufficiali egiziani.
I mercenari comunque non erano il solo contingente militare greco che si trovasse in Egitto durante l'età arcaica e l'età classica. Anche gli Ateniesi e altri membri della confederazione di Delo furono presenti in Egitto, in numero considerevole, come alleati tra il 460 e il 455 circa: essi vi si recarono per sostenere la rivolta di Inaro contro i governanti persiani. La loro catastrofica sconfitta in questa avventura evidentemente dissuase gli Ateniesi da ulteriori e importanti impegni, in Egitto, dello stesso tipo.
Secondo Erodoto anche la pura e semplice curiosità condusse molti Greci in Egitto. Alcuni di loro saranno stati visitatori, ma senza dubbio altri potrebbero essere definiti studiosi. Al tempo di Erodoto, si riteneva che molte figure famose della cultura greca avessero già visitato l'Egitto e acquisito lì saggezza o dottrina: p.es., Omero, Licurgo, Solone e Pitagora. In genere la storicità di simili tradizioni è molto dubbia, ma almeno nel caso degli artisti Telecle e Teodoro può essere avanzata una fondata pretesa di veridicità.
Più problematiche sono le implicazioni dell'affermazione di Erodoto secondo cui il faraone Neco (610-595 a. C.) avrebbe impiegato triremi nella sua flotta. E' possibile che queste imbarcazioni fossero progettate e costruite da artigiani greci e che essi fornissero anche l'addestramento iniziale al loro uso; tuttavia, in mancanza di ulteriore documentazione, il preciso sfondo storico dell'affermazione di Erodoto resta necessariamente oscuro.
I rapporti tra questi visitatori greci e gli Egiziani a volte erano certamente tesi, e potevano degenerare in aperta e violenta ostilità. La politica militare saitica, che preferiva mercenari greci alle truppe indigene, offendeva naturalmente la classe dei guerrieri egiziani o machimoi; sappiamo che durante il regno di Psammetico I un notevole contingente emigrò in Etiopia, dove indubbiamente i machimoi ritenevano che sarebbero stati trattati con maggiore rispetto.
Con questo nuovo grande commento alle Storie di Erodoto, al quale hanno partecipato studiosi inglesi, israeliani e italiani, la Fondazione Lorenzo Valla vuole rendere omaggio al padre della storiografia europea: all'uomo che simboleggia la passione dell'Occidente per tutto ciò che non gli appartiene. Quante cose aveva contemplato Erodoto! Mentre leggiamo le Storie, lo vediamo ancora, animato da una curiosità insaziabile verso la totalità dell'esistenza, entrare nei templi e "osservare, conversare, porre domande, ascoltare, riflettere, paragonare, sollevare problemi, ragionare, talvolta concludere". Egli considera con attenzione e rispetto tutto ciò che fa l'uomo - tutte le nostre imprese gli sembrano degne di interesse o memorabili. E, insieme, sparge un'onnipresente ironia sugli orgogli, le vanità, le pretese, le follie, la hybris dell'uomo. "Nulla è sicuro tra le cose umane". "Tutto nell'uomo è caso e circostanza". Nella nostra vita si fondono l'iridescente imprevedibilità del caso, la ferrea necessità del destino, la strana partecipazione degli dèi - verso i quali egli prova un'ellenica mescolanza di venerazione e diffidenza. Prima o dopo di lui, nessuno ha mai saputo orchestrare così perfettamente una storia totale: i fatti politici, economici, militari, i costumi, le leggende, le favole, il folclore, la geografia, i monumenti si equilibrano in quest'opera che respira l'immensità e la libertà degli spazi aperti. La mente di Erodoto è complessa, molteplice, intrecciata, polimorfa. Quando egli insinua un tema dentro l'altro, e poi ancora un altro, e poi un altro ancora, quando procede a inserti e parentesi successive e scatole cinesi, come a mimare "l'infinito labirinto di concatenazioni" nel quale consiste l'universo, - noi pensiamo ai lontanissimi intarsi, alle ramificazioni di Henry James. Ma poi, se egli vuole, riesce a sembrarci semplicissimo: candido come un barbaro o un bambino. Molto spesso fatichiamo a capire cosa pensi e quale sia il suo punto di vista. Forse è inutile chiedergli un giudizio. Forse dobbiamo soltanto abbandonarci al suo talento di narratore : al senso prodigioso che egli ha della fluidità del tempo - allo scorrere del mondo e del racconto come, diceva Cicerone, "un fiume quieto", che muove da un punto ignoto e si perde chissà dove, oltre ogni limite.
Indice - Sommario
Introduzione generale
Bibliografia generale
Il testo delle Storie
Abbreviazioni bibliografiche
Introduzione al Libro I
Tavola genealogica
Nota al testo del Libro I
Sommario del Libro I
Cartine
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Il Libro I delle Storie
Scoli
Lessico
COMMENTO
Indice dei nomi
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione generale
1. "Questa è l'esposizione delle ricerche di Erodoto di Alicarnasso..,": con queste parole famose si apre il primo libro. Non esiste certezza assoluta sull'autenticità di questa frase. Uno scrittore del primo secolo d.C., Tolemeo Hephaistion o Chennos ("quaglia") l'attribuiva ad un innografo tessalo, un certo Plesirrhoos, amato da Erodoto e suo erede. E una testimonianza alla quale nessuno da più peso, da quando la dichiarazione di questo Tolemeo venne catalogata come Schwindelphilologie ("filologia truffaldina"); tuttavia, poiché non è mancato chi catalogasse, anche di recente, l'opera dello stesso Erodoto in una simile categoria, la Schwindlerei letteraria greca sembra divenire una nozione piuttosto relativa. E possibile che l'autenticità della frase iniziale fosse discussa già in antico e che Tolemeo avesse cercato di risolvere il problema in maniera piccante. In ogni caso, questa frase è un'intitolazione. Figurava probabilmente all'inizio e alla fine dell'opera (come nella copia posseduta da Dionisio d'Alicarnasso) oppure sul sillybos o index sporgente dal rotolo nelle biblioteche di Alessandria e di Pergamo. Autentica o no, questa frase famosa ci dice poco o nulla sulla personalità dello scrittore: appena il nome e l'etnico. Ci informa di più sul tema e sullo scopo dell'opera: ma di questo si parlerà in seguito.
E buona regola ricercare i dati biografici di uno scrittore antico nelle opere di quello stesso scrittore, e non servirsi di ricostruzioni apocrife. Purtroppo, a parte le notizie sui viaggi, Erodoto ci dice ben poco di sé. Era convenzione dell'epica greca arcaica, passata poi alla storiografia, che lo scrittore non dovesse parlare di sé quando l'argomento non lo richiedeva. Erodoto, però, è costantemente presente: leggerlo è come sentirlo parlare. Io, me, mio, a me, noi al pluralis maiestatis, ricorrono centinaia di volte in riferimento alla sua persona. Erodoto ci fa ripetutamente partecipi di ciò che pensa, di ciò che ha visto o udito, di cosa si propone di raccontare, con chi ha conversato; esprime dubbi, ragionamenti ed opinioni, invoca persino gli dei. Tuttavia, di sé da pochissime notizie concrete. Dice di esser stato in Egitto, a Tiro, in Arabia; di aver conversato con l'agente di un re scitico, e - se non parla ironicamente - ci fa capire che la sua famiglia possedeva una genealogia (II 143,1), ma non forse un capostipite divino, elemento in base al quale può essere messa in dubbio una sua origine aristocratica. Gli ultimi eventi ricordati da Erodoto appartengono ai due primi anni della guerra del Peloponneso (431/30 a.C.): quindi, sembrerebbe legittimo concludere che la sua attività di scrittore sia terminata non molto dopo quegli anni. Questo è tutto quanto si possa ricavare direttamente dall'opera sulla vita del suo autore. Indirettamente, si possono aggiungere i paragoni che egli fa talvolta con misure e distanze attiche, delie, ioniche e magnogreche: se ne deduce che voleva farsi comprendere dal pubblico di queste regioni.
Per altre informazioni biografiche è necessario volgersi ad altre fonti, lontane anche di secoli e di ambienti culturali diversi. La breve biografia riportata sotto la voce "Erodoto" nel lessico bizantino Suida dice così: "Erodoto: figlio di Lyxes e Dryo, di Alicarnasso, uno degli illustri (locali). Aveva un fratello: Theodoros. Si trasferì a Samo per via di Ligdami, colui che, a partire da Artemisia, fu il terzo tiranno d'Alicarnasso... A Samo si impratichì del linguaggio ionico e scrisse storia in nove libri, a cominciare da Ciro e Candaule re dei Lidi. Dopo essere ritornato ad Alicarnasso ed aver espulso il tiranno, si vide più tardi odiato dai cittadini, ed andò volontariamente a Turi, che era colonizzata dagli Ateniesi. Là morì e fu sepolto nell'agoni: alcuni però dicono che morì a Pella...". A questi si possono aggiungere i dati riferiti nello stesso lessico sotto altre voci: che Erodoto era il nipote o il cugino del poeta e divinatore Paniassi, messo a morte dal tiranno Ligdami; che soggiornò con lo storico di Lesbo Ellianico alla corte macedone di Pella; che dopo una lettura pubblica delle Storie, durante la quale il fanciullo Tucidide versò molte lacrime, Erodoto confortò Oloro, il padre di Tucidide.
Dall'introduzione al libro I
Il primo libro delle Storie prefigura l'intera opera di Erodoto e ne costituisce in un certo senso la quintessenza. Tutti gli elementi caratteristici di contenuto e di forma, di pensiero e di stile, si presentano subito e distintamente al lettore. Si estende immediatamente la panoramica universale della storia erodotea: l'umanità del sesto secolo a.C., Oriente e Occidente, civiltà e conflitti, continuità e mutamenti, i popoli e i grandi protagonisti. Lo spazio geografico si apre a Sardi, Mileto, Efeso nell'Asia minore occidentale, con salti in Grecia, a Corinto, a Delfi, ad Atene e a Sparta; si passa in Media, da Ecbatana e da Ninive al Caucaso, nella Filistia, in Persia; si ritorna in Asia minore, in Lidia, nella Ionia e nelle isole, in Caria e in Licia, con punte ad Occidente, in Corsica, Etruria, Lucania; la scena si trasferisce a Babilonia e si chiude nel paese dei Massageti, ad oriente del mar Caspio. È un giro del mondo arcaico in duecentosedici capitoli, grazie al quale si visitano anche i centri maggiori del dramma storico che si svolgerà nei libri successivi: la Persia, la Ionia, Atene, Sparta. Lo spazio cronologico del nucleo principale del racconto è il trentennio che va dall'inizio del regno di Creso alla morte di Ciro il Grande (560-30 a.C.), con punte digressive nel passato remoto dei Lidi e degli Assiri sino al tredicesimo secolo a.C., dei Medi sino all'ottavo, degli Ateniesi e degli Spartani sino all'alto sesto secolo. Sui due grandi protagonisti, Creso e Ciro, si fonda l'intera struttura del libro, che anche in questo prefigura il resto dell'opera, tutta articolata intorno alla serie dinastica dei re achemenidi, da Ciro a Serse.
A parte i capitoli introduttivi (1-5), il primo libro può infatti suddividersi facilmente in due logoi principali: il logos di Creso (6-94) e il logos di Ciro (95-216). L'ipotesi che originariamente esso fosse composto di tre logoi (1-94; 95-140; 141-216), corrispondenti a tre rotoli di papiro, va incontro alla banale difficoltà che la lunghezza di queste tre parti è sensibilmente diversa, mentre il rotolo di papiro andrebbe inteso proprio come unità di lunghezza. Nulla si oppone invece all'ipotesi che il primo libro occupasse originariamente due rotoli di circa sette metri ciascuno, corrispondenti in questo caso ai due logoi suddetti. Il "primo logos" (così lo chiama lo stesso Erodoto) è dedicato alla Lidia, con al centro il suo ultimo re. Erodoto riassume in brevi frasi introduttive le notizie essenziali su Creso, "colui che io so essere stato il primo ad aver fatto torto ai Greci", per giustificare il punto di partenza della sua ricerca: la "causa", per cui Greci e barbari si fecero guerra, è dopo tutto un proposito deliberatamente espresso dall'autore nella frase iniziale dell'opera. Erodoto passa quindi ad un breve prologo sui re lidi anteriori a Creso: i re autoctoni ed eraclidi sino a Candaule, ed i primi quattro Mermnadi (tre dei quali ebbero per primi rapporti ostiti con i Greci d'Asia minore); il quinto è Creso, il cui regno termina con la caduta di Sardi nelle mani di Ciro (546 a.C.). In questo prologo, che essenzialmente presenta una lista cronologica di regni, alcuni eventi bellici con aneddoti e le prime offerte lidie al tempio di Delfi, spiccano due racconti famosi: la storia di Candaule e Gige e la favola di Arione. Dal cap. 26 al cap. 94 il tema principale è il regno di Creso. Formalmente fedele all'impegno dichiarato, Erodoto apre con una breve rassegna delle ostilità e dei progetti espansionistici di Creso verso la costa ionica e le isole adiacenti; in seguito, però, non si parla più di questi rapporti ostili: anzi, il re lidio emerge come un benefattore filelleno in stretti rapporti con Delfi, che cerca l'alleanza dei Greci contro il pericolo persiano: c'è un divario evidente fra proemio e primo logos. Prima di passare alle vicende storiche del conflitto lidio-persiano, Erodoto inserisce due altri famosi brani novellistici: il dialogo di Creso e di Solone sulla felicità umana con le storie anch'esse ben note di Tello d'Atene e degli argivi Cleobi e Bitone, e la tragica storia di Atys e Adrasto. La morale di questi racconti, chiaramente premonitoria, deve tratteggiare la figura tragica di Creso, che dall'arroganza ingiustificata passa alla perplessità e al dolore. Si perviene quindi al tema principale: la minaccia persiana ed il ricorso di Creso all'appoggio dei Greci, dei loro oracoli, lautamente ricompensati con ricche offerte, e delle loro milizie. Creso vorrebbe l'appoggio delle due città-stato più importanti, Atene e Sparta. Ciò giustifica l'inserimento di due coppie di digressioni: una, più breve, sugli Ateniesi discendenti dei Pelasgi e sui Dori del Peloponneso discendenti di Elleno, ed una su Atene al tempo di Pisistrato e su Sparta intorno alla metà del sesto secolo. Solo Sparta a quel tempo era in grado di promettere l'appoggio richiesto; Creso, quindi, incoraggiato dall'oracolo delfico e dalle promesse spartane, traversa con le sue truppe il fiume Halys ed invade la Cappadocia. Dopo una battaglia non decisiva, Creso si ritira, Ciro invade la Lidia, sgomina l'esercito di Creso nella piana dell'Ermo ed assedia Sardi. Creso chiede allora l'aiuto che gli Spartani avevano promesso, ma gli Spartani proprio in quel periodo sono impegnati in un guerra contro Argo per il possesso della Tireatide: Sardi cade in mano ai Persiani dopo appena quattordici giorni di assedio, Creso è fatto prigioniero, posto sul rogo e poi graziato, cominciando così la sua carriera di consigliere del re persiano. Con ulteriori notizie sulle offerte di Creso agli oracoli greci e due capitoli storico-etnografici sulla Lidia, si conclude il "primo logos" di Erodoto.