Aldo Moro scelse per sé un ufficio periferico e austero, in via Savoia: un tentativo di tenersi a prudente distanza dagli affanni del Palazzo, e di marcare una netta differenza tra lui, il suo modo di vedere la vita e la politica, e quello dei compagni di partito, degli alleati, degli avversari. A partire da questa scelta simbolica, un manifesto delle intenzioni, Marco Follini racconta la parabola umana e politica di Aldo Moro fin dai primi passi a Roma, dov'era arrivato dalla Puglia grazie alla sua delicata intraprendenza. Moro è dipinto come un outsider che conquista il suo partito e il paese, eppure in quell'uomo che si muove così abilmente nelle stanze del potere abita un animo tormentato e fragile, che non è stato quasi mai raccontato. Un carattere che lo rende "scomodo" perché mai silenziosamente allineato, e segna una differenza che pagherà con il rapimento e gli ultimi dolorosi 55 giorni di prigionia, in cui Moro si rende conto di non essere solo ostaggio delle Brigate rosse ma anche di uno stato che scoprirà essere troppo diverso da sé. Lui che era un uomo del dialogo, convinto che nessuno, mai, dovesse essere abbandonato a se stesso. Prefazione di Marco Damilano.
Il ritratto impietosamente obiettivo, ma non privo di affetto della Democrazia Cristiana, il partito in cui l'autore ha militato da dirigente fino alla fine. Un'interpretazione e, forse di più, l'analisi antropologica del partito-stato che ha governato la Repubblica per un ininterrotto cinquantennio. Si affrontano, da una prospettiva prossima e narrativa, i temi più consueti del bilancio politico e storico dell'esistenza di un partito dominante: come il rapporto tra i democristiani e il potere, la Dc e la destra, il partito diga verso il comunismo, il legame con la Chiesa e con la fede, l'intercettazione del paese profondo. Ma il libro di Marco Follini si concentra anche su alcuni aspetti più puntuali: l'atteggiamento verso il lusso, le dimore di dirigenti e militanti, biografie esemplari di personalità, aneddoti, le due anime simboliche: Andreotti e Moro, gli «appagati» e i «tormentati», e così via, dentro tutti gli angoli che introducono il lettore nella quotidianità di una forma di esistenza politica che ha aspetti di enigma. L'enigma non solo della lunga, tuttavia precaria, persistenza al potere, caso più unico che raro nei paesi dell'Occidente, ma anche della convivenza perfettamente equilibrata di posizioni politiche molto lontane fra loro, e quello più fondamentale della attitudine, scettica, flessibile, a volte dominata da un senso di limitazione e di colpa, verso la società e il futuro. E, a voler leggere questo saggio come un racconto, su tutto il testo aleggia la convinzione profonda e probabilmente pensata e ripensata da Follini in questi anni: che in effetti la vicenda della Democrazia Cristiana sia da guardare come un lungo e oscuro presagio
La noia oggi e intollerabile, impresentabile e inconfessabile. I due presupposti che la giustificavano sono stati esiliati dalla vita sociale: il tempo come attesa; il pensiero contemplativo, non operativo. E invece Marco Rollini (scrittore, uomo politico, dirigente culturale; per Sellerio ha scritto nel 2008 "La volpe e il leone. Etica e politica nell'Italia che cambia") ne fa il tema di un 'discours' di stampo settecentesco, di una divagante esplorazione ricca di spiriti che implica un'ironica esortazione per il lettore. Di questa passione dell'anima, classifica i tipi diversi, analizza connessioni e componenti, cerca le testimonianze nella letteratura e nella storia, descrive l'universo delle tipiche relazioni umane cui la noia dava spazio. E segue la parabola della noia nella politica. Una volta l'uomo politico non temeva di apparire noioso, mentre oggi la noia è il suo spauracchio. E questo mentre il discorso politico si conforma, si svuota di senso, di realtà.
La classe dirigente italiana sembra essersi smarrita nei meandri del labirinto politico. Soprattutto, si è smarrita quella lunga tradizione di fiducia, consenso e speranza nell'azione pubblica senza cui è a rischio la stessa vita democratica. Così il Palazzo è oggi sfidato da una Piazza in tumulto e in nome della rete avanzano gli alfieri di un'idea (falsamente) assembleare di democrazia. Marco Follini, che quel labirinto lo ha frequentato a lungo, con un misto di passione e disincanto riflette in questo libro sulle cause dell'attuale disfatta. E giunge a una diagnosi: "la crisi della politica italiana è essenzialmente una crisi di potere". Per capire cosa ci ha condotti a questa impasse, Follini si addentra nel labirinto, ripercorre le vicende del potere nella prima e nella seconda Repubblica, in un bilancio amaro ma ricco di spunti preziosi. Se "il potere si è fatto di fumo e di nebbia e resta solo un po' di polvere nell'aria a ricordare i fuochi d'artificio che ci hanno abbagliato in questi vent'anni", forse non tutto è perduto. Per riguadagnare questo ventennio si dovrebbe "cambiare musica" e trovare una colonna sonora che accompagni in modo più armonioso la ricerca di nuovi equilibri: i violini di Mendelssohn - suggerisce l'autore -, contrapposti agli elicotteri di "Apocalypse Now". "Continuo a credere - scrive Follini - che un paese di grande civiltà debba tornare ad ascoltare il suono dei violini e non farsi troppo inebriare dal rumore degli elicotteri".
Shakespeare e la sua immaginazione sono il punto di partenza per questa curiosa analisi sullo stato della nostra politica condotta da Marco Follini. I testi del Bardo hanno plasmato la nostra civiltà letteraria e rivelato non poche verità politiche. Soprattutto, nell'opera di Shakespeare, è la coscienza a emergere, e il suo valore nel discorso pubblico. È proprio questo, a ben vedere, il punto in cui la nostra trama politica si è spezzata: sul palcoscenico italiano si affollano grida e stridori, promesse e imbrogli, proclami e furbizie, ma manca l'onestà intellettuale di ascoltare quella vocina che dentro di noi ci avverte quando stiamo sbagliando, o facendo del male, o giocando sporco, o tradendo noi stessi e i nostri principi. O più semplicemente esagerando. Addentrandosi nella selva dei personaggi del teatro shakespeariano si rimane sorpresi nel trovare affinità e similitudini con la politica dei nostri giorni e l'evasione diventa un modo per ritrovare il senso delle proprie azioni, per immaginare un altro mondo, e un'altra politica.
Una riflessione sui rapporti tra politica e morale, sorretta dal rimando a filosofi e pensatori, con lo sguardo rivolto all'indietro, alla storia dell'Italia repubblicana, ma anche in avanti, al futuro che sapremo costruirci. Nell'Italia democratica che nasceva dalle macerie della guerra la moralità della politica risiedeva nella solidarietà. La classe dirigente, la classe politica, aveva come obiettivo il potere non la ricchezza ed era un potere povero (come dimenticare il cappotto rivoltato con cui De Gasperi si recò negli Stati Uniti?). Poi il miracolo economico, il protagonismo dei giovani, delle donne, i cupi anni Settanta e i rampanti anni Ottanta, la nascita della questione morale. Fino a oggi. "Quello che manca alla politica è un verso; il senso della sua missione, il traguardo alto e lontano a cui cercare di tendere. E quando manca un traguardo, tutto si riduce allo scambio". L'essere "sfibrati" moralmente alla fine, però, consente straordinari recuperi. Come quando l'Italia del pallone, travolta dal colossale scandalo di Calciopoli, finì col vincere i mondiali in Germania. Perché non provare ad assecondare il futuro di un'Italia nuova, capace di una misurata, gentile e riflessiva virtù?
Un'analisi storica di ampio respiro che parte dal crollo della Prima Repubblica, dovuto secondo Follini all'immobilismo del sistema politico, e arriva fino alle questioni più rilevanti dell'attualità politica. Convinto assertore della democrazia dell'alternanza, l'autore esprime le sue preoccupazioni su un dibattito tutto gridato. Riconosce a Berlusconi il merito di aver aggregato un polo alternativo al centro sinistra, ma gli chiede di portare la sua maggioranza fuori da una concezione proprietaria delle istituzioni, neutralizzando l'estremismo di alcune sue componenti.