Como afirma el autor, la mentalidad clasificatoria de Occidente se preguntará dónde inscribir este libro, una vez descartada la posibilidad de colocarle la etiqueta de moderno, y aun la de post moderno. Cediendo a este afán clasificatorio, podría decirse que se trata de una aproximación intercultural y pluralista a un fenómeno humano, un acercamiento que procura plantear el problema de la experiencia mística con el mínimo de presupuestos del lenguaje desde el cual se habla.
En palabras del autor, este libro, cuya gestación remota ha durado decenios, aspira a volver a integrar la mística en el mismo ser del hombre. La mística no es una especialización, sino una dimensión antropológica Todo hombres es místico, aunque sea en potencia.
Raimon Panikkar (Barcelona, 1918) es, sin duda, uno de los representantes más destacados del pensamiento intercultural e interdisciplinario y, como tal, su obra ha bebido de las fuentes de la cultura india y la europea, la hindú y la cristiana, la científica y humanista. Doctorado en filosofí­a, quí­mica y teologí­a, ordenado sacerdote en 1946, ha ejercido la docencia en algunas de las universidades más destacadas de América, Europa y la India. Es presidente del Center for Crosscultural Religious Studies, de la fundación Vivarium y de la Sociedad Española de las Religiones. Panikkar ha escrito más de cuarenta libros y alrededor de mil attículos acerca de las religiones comparadas, indología, filosofía de la ciencia y metafísica.
Per mito, nel linguaggio di oggigiorno, s’intende qualcosa di irreale o semplicemente una leggenda più o meno fantastica. Con la parola mythos, invece, si deve intendere quello che tradizionalmente significava, vale a dire un modo diverso che gli uomini hanno di esprimere una convinzione, o piuttosto una verità che non è necessariamente «chiara e distinta» alla ragione e che, ciò nonostante, si accetta come ovvia e quindi non ha bisogno di essere dimostrata.
Il messaggio dei miti non può essere trasmesso con una riflessione esclusivamente razionale. Troppo spesso si è considerato il concetto come il migliore strumento della parola in quanto tende all’univocità necessaria per l’intelligibilità. Tuttavia ridurre il logos a concetto porta a un suo serio impoverimento, con gravi ripercussioni sulla vita umana stessa. Di fatto l’uso più corrente della parola è simbolico, perciò polivalente, non univoco e salva il discorso dal grande pericolo dell’oggettivismo, il quale facilmente porta al fanatismo. Il mito egizio (raccontato da Platone) che vede nella scoperta della Scrittura l’inizio della degenerazione della cultura racchiude una qualche verità. Un pensiero puramente oggettivo non permette altre interpretazioni. Una deduzione logica univoca non permette alcuna deviazione: 2 + 2 = 4 e solo 4. Il simbolo invece ci permette di superare l’oggettivismo senza cadere nel soggettivismo. Il simbolo non è né oggettivo né soggettivo; sta nella relazione e quindi il dialogo è indispensabile per pensare bene – e anche per vivere bene. La natura umana non è individualistica. L’uomo non è riducibile all’individuo e nemmeno a un semplice concetto. Per questo il discorso sul mito ci porta necessariamente a parlare del mezzo più potente che l’uomo ha per avvicinarsi alla realtà e ai suoi simili: il simbolo.
Conclude questo primo tomo una riflessione sul culto, cioè sul rito in quanto simbolo in azione, espressione fondamentale dell’homo religiosus ed attività che l’uomo compie in comunione con il cosmo per il sostentamento dell’universo: il rito è infatti l’azione che consente al secolare di essere vissuto nella sua sacralità.
Filosofo, studioso delle religioni, teologo, uomo del dialogo tra le culture, uomo ponte tra l'occidente e l'India, Panikkar decide di mettere come primo tomo della sua Opera Omnia la mistica: Mistica, pienezza di vita. Due possibili interrogativi; il primo: "con tutto ciò che ha scritto doveva iniziare con un fenomeno così particolare, così al limite, un po' eccessivo...?" La seconda, "perché iniziare dalla fine, da quel raggiungimento così sublime che è solo di pochi?" Il primo interrogativo è di stampo laico un po' scettico, il secondo è invece di stampo un po' devoto-spirituale. La si guardi da un lato o dall'altro la mistica è spesso colta come una cosa eccessiva, per gli uni quasi fastidiosa e patologica, per gli altri irraggiungibile e sublime. Panikkar e con lui una importante tradizione del pensiero religioso delle grandi religioni e dello stesso Cristianesimo ci capovolgono le difficili difficoltà sulla mistica. La mistica non è né una stranezza né una performance per superdotati; è una fondamentale dimensione dell'uomo. L'uomo è fatto per non vivere di solo pane, ma mantenersi in relazione con il mistero. L'uomo interroga il mistero ed il sovrannaturale di continuo, anche quando lo nega. Proprio nella mistica il dialogo - il comprendersi tra religioni e culture - attua più direttamente la dimensione mistica e originale in ogni uomo; l'uomo si interroga sul senso della vita e si apre al mistero, all'ineffabile.
Quando nel 1954, sacerdote cattolico, mi recai per la prima volta in India, la terra di mio padre, vidi che il grande problema, anche mio, era quello del rapporto tra "induismo e cristianesimo": questo fu il primo titolo del libro che aveva come sottotitolo "Il Cristo sconosciuto dell'induismo". Ricordo che fu il mio grande amico Bede Griffiths a suggerirmi di invertire il titolo con il sottotitolo e gliene sono sempre stato grato. Desidero sottolineare inoltre che il tema del libro ha costituito da sempre il problema centrale della mia vita, come mostrano le diverse date delle varie introduzioni alle differenti edizioni. Ribadisco che l'aggettivo "sconosciuto" riferito a Cristo vale anche per il cristianesimo storico. Ho suggerito ripetutamente che l'incontro delle religioni, indispensabile oggigiorno, implica una mutazione nella stessa autocomprensione delle religioni e in questo caso dello stesso cristianesimo. Dopo essere stato storicamente ancorato per quasi due millenni alle tradizioni monoteistiche originate da Abramo, il cristianesimo deve meditare sulla "kenosis" di Cristo e avere il coraggio, come nel primo Concilio di Gerusalemme, di svincolarsi dalla tradizione ebraica (il cui simbolo era la circoncisione) e dalle tradizioni romane senza rompere con esse, lasciandosi fecondare dalle altre tradizioni dell'umanità.
L'uso scientifico dei termini implica che abbiamo eliminato i "fumi della fantasia" e trovato l'esatta correlazione fra termini e concetti. Chiarezza, distinguibilità e precisione sono gli ideali - e le condizioni dell'intelligibilità scientifica. I termini sono espressioni visibili e udibili dei concetti, e un concetto è un "medium quo", un mezzo con e attraverso il quale significhiamo la cosa reale. Ma questo non è tutto e non è certo l'aspetto più importante del linguaggio, dell'uomo e della realtà. Ridurre il linguaggio a mezzo, l'uomo a un sistema di informazioni e la realtà a una rete globale di comunicazioni è un impoverimento del linguaggio, dell'uomo e della realtà. Panikkar mette in discussione l'equivalenza fra parola e termine e rivendica il potere creativo della parola, che si rinnova e si arricchisce ogni volta che è pronunciata, rinnovando e arricchendo chi la pronuncia. Il termine è solo l'ombra della parola: se si identifica la parola come termine la si inchioda a un significato specifico e relativo, impedendole di volare nel ciclo della coscienza umana.
L'opera di Panikkar conta una grande quantità di scritti, da lui spesso ripresi e rielaborati nel corso degli anni. Ma per questi tre testi di quarant'anni fa la scelta è stata di ripubblicarli senza sostanziali riscritture. Si tratta infatti di opere semplici che riprendono la gioia pasquale, la presenza di Dio, di Cristo, nella nostra vita e nella realtà che ci circonda, e la figura di Maria, la madre di Dio. Sono conferenze, a suo tempo puntualmente riscritte e riviste dall'autore, che hanno commosso una generazione. Riproposte oggi nella loro semplicità, nel linguaggio diretto e accessibile, offrono uno spunto importante di fronte alle persistenti domande dell'uomo in ricerca. Una postfazione dell'autore, scritta per l'Epifania del 2007, inserisce questi testi nel contesto della sua opera e delle sue più recenti pubblicazioni in particolare de "La pienezza dell'uomo" e "La realtà cosmoteandrica".
El problema de la paz es tan complejo como difícil. No sólo hay obstáculos prácticos, sino también dificultades teóricas. No es posible valorar correctamente el problema del otro sin un conocimiento de su cultura-conocimiento que no puede alcanzarse sin amor- de ahí la importancia de la interculturalidad. La paz de la humanidad depende de la paz entre las culturas. Este libro quiere ser una contribución para enfrentarse a este problema. La interculturalidad pone en cuestión los mitos dominantes del statu quo actual, pero nos lleva a una relatividad liberadora. La humanidad se encuentra ahora frente a una encrucijada de dimensiones históricas. Éste es el verdadero desafío de la llamada globalización: o la civilización tecno-científica es superior a toda otra cultura y, por tanto, está llamada a imponerse, o existen también otras culturas que permiten igualmente al hombre alcanzar su plenitud y su felicidad.
"Con questo libro desidero offrire intuizioni e ipotesi di ricerca filosofica e teologica, aperte a possibilità di nuovi frutti. Vorrei nello stesso tempo essere fedele all'intuizione buddhista, non allontanarmi dall'esperienza cristiana e non separarmi dal mondo culturale contemporaneo. La prima fedeltà esige che l'autore, lasciatosi ammaestrare dal Risvegliato, sparisca; la seconda filiazione richiede che nel profondo esista un'esperienza trinitaria personalmente vissuta; la terza vocazione domanda un sacro rispetto della situazione concreta dell'uomo dei nostri giorni."
Raimon Panikkar, monaco teologo che da anni persegue un confronto serrato e profondo tra spiritualità orientali e Cristianesimo, illustra in questo compendio la totalità della via metafisica che, con impropria generalizzazione, va comunemente sotto il nome di induismo. Un crogiolo di prospettive che presenta caratteri comuni, tutti individuati e illustrati da Panikkar in modalità chiare e facilmente penetrabili dal lettore occidentale. In un frangente storico in cui incombe uno scontro tra civiltà fondato sulla differenza tra i "credo", Panikkar offre la chiave per entrare nell'universo induista e coglierne gli aspetti che la disciplina yoga, traslata in Occidente, non è stata in grado di esprimere.
Incalzato dalle domande di Gwendoline Jarczyk - studiosa di filosofia, specialista di Hegel e del mistico medievale Meister Eckhart -, Raimon Panikkar ha modo di ripercorrere in questo libro tutti i temi salienti della sua lunga riflessione, da quelli di più scottante attualità a quelli più radicali e pregnanti (come il valore del silenzio e della parola, il senso del tempo e soprattutto la visione 'trinitaria' della realtà). Un dialogo vigoroso e appassionato, disseminato di alcune delle folgoranti intuizioni che hanno fatto di Panikkar uno dei più grandi teologi e maestri spirituali viventi, testimone di una sintesi armoniosa di culture diverse.