Forse in nessun campo del sapere umano come nella filosofia tornare agli inizi significa conquistare le vette più alte: in greco vengono poste le domande che sono fondamento e destino del pensiero occidentale, quindi si tentano le risposte, si elabora il metodo. Raccontare la filosofia antica e tardo-antica attraverso le parole dei suoi protagonisti vale a riscoprire la forza propulsiva che per due millenni si è propagata e ancora vive nel pensiero delle origini. Ricondurvi il lettore significa guidarlo a osservare il costituirsi del linguaggio filosofico. La citazione sistematica dei testi antichi, alla quale è connessa la questione delle fonti attraverso cui quelle dottrine ci sono giunte, fa da criterio dell'opera. Essa ricerca un equilibrio tra pensiero arcaico, filosofia di età classica, e filosofie di età ellenistica e tardo-antica. Il volume guarda con attenzione al parallelo procedere del pensiero scientifico e alla conquista di una sua progressiva autonomia, seguendo l'evolversi del rapporto, fecondo e problematico, tra mondo greco e mondo orientale, secondo quella nozione di "aree di contatto" che in anni recenti le testimonianze hanno permesso di ridefinire.
L'uomo è un essere con l'altro, mai senza l'altro, mai contro l'altro. Nello sguardo sull'altro, egli si scopre come sé, costruisce la sua identità ed è realmente se stesso. Il rischio dell'uomo, che si nega a questo destino comune, è la caduta nell'inumano, la sconfitta della ragione. Gli uomini fanno parte di un'unità plurale più grande, l'umanità, nella quale tutti gli umani si ritrovano come a "casa propria", rimanendo ciascuno nella propria individualità, ma riscoprendo e coltivando le radici comuni delle loro reciproche identità e appartenenze. Le identità di ciascuno, così come le loro appartenenze, non sono separabili dalle identità degli altri, perché solo coniugate al plurale si realizzino nell'accoglienza reciproca, nella ricerca della solidarietà e nell'esercizio della comune responsabilità per il mondo e per l'uomo. Lui è come me vuole riannodare i fili di una lunga tradizione, che ha difeso, non senza incertezze e ambiguità, le ragioni del "tu" contro lo strapotere dell'"io". Le sconfitte dell'uomo sono state assai più numerose delle vittorie. Ma gli esseri umani, volendolo e lottando per essa, possono ancora vincere la sfida decisiva. L'aspirazione alla pienezza e al compimento interiore, presente in ogni essere umano, rimane vana e illusoria, se l'io nel suo viaggio alla scoperta di sé, non incontra il tu dell'esistenza e insieme si riconoscono soggetti e protagonisti di una relazione fraterna. Lo stato di compimento e di pienezza dell'essere, che ogni individuo umano rincorre, più che un "territorio" dell'io, costituisce un "orizzonte" plurale, nel quale confluisce il noi dell'esistenza concreta, nella consapevolezza che senza di esso la vita non ha lo stesso valore. È una vita che si apre sull'orizzonte dell'altro ed è nella sua apertura più totale che si afferma e si realizza l'essere dell'uomo.
"Della realtà" è un saggio filosofico che documenta un percorso di conoscenza e che alla riflessione sul pensiero di Heidegger unisce una costante attenzione alle trasformazioni della società contemporanea. E al tempo stesso il romanzo di un imprevedibile ribaltamento di prospettiva: un cambiamento che ci riguarda tutti, perché è profondamente radicato nella storia di questi ultimi decenni. Alla metà degli anni Ottanta, quando Gianni Vattimo diede spessore filosofico al postmoderno, fu accusato di essere il cantore del neocapitalismo trionfante e delle sue illusioni. La critica radicale alle ideologie e l'accento sull'interpretazione sembravano funzionali al nuovo orizzonte, sempre più dominato dal virtuale e dalla liquidità immateriale - a cominciare da quella del denaro e della finanza. In questi decenni, dopo che le ideologie sono state scardinate e abbandonate anche sull'onda del "pensiero debole", a dominarci sono stati il principio di realtà e la presunta oggettività delle leggi economiche. Oggi, mentre il capitalismo attraversa una delle crisi più gravi della sua storia, il richiamo alla realtà, in apparenza innocente e intriso di buon senso, diventa uno strumento per imporre il conformismo e l'accettazione dell'ordine vigente. Contro questa ideologia autoritaria, rivendica Vattimo, l'ermeneutica - ovvero la costante pratica dell'interpretazione - diventa uno straordinario strumento conoscitivo, proprio perché ci consente di superare la dittatura del presente
Gianni Vattimo è uno dei filosofi più importanti sulla scena internazionale. Le sue opere sono tradotte in tutto il mondo. Per celebrare il suo percorso filosofico, pensatori come Umberto Eco, Richard Rorty, Charles Taylor e molti altri hanno voluto dibattere i temi da lui affrontati. Muovendo dal decostruzionismo di Derrida e dall'ermeneutica di Ricoeur e sulla base della sua esperienza di uomo politico, Vattimo si è interrogato sulla possibilità di parlare ancora di imperativi morali, di diritti individuali e di libertà politica, e ha proposto la filosofia di un pensiero debole che mostra come i valori morali possono esistere senza essere garantiti da un'autorità esterna. La sua interpretazione secolarizzante scandisce elementi antimetafisici e pone la filosofia in relazione con la cultura postmoderna
Professore di scuola e maestro di vita, Meister Eckhart fu anche un amministratore accorto e uomo molto potente del suo ordine, di cui ricoprì le cariche più prestigiose. La constatazione di un aspetto politico ancora poco considerato nella vita del Domenicano induce a rivedere l'immagine di un Eckhart troppo spesso stilizzato come un "mistico" fuori dalla realtà. In queste pagine si cercherà di ricostruire il progetto culturale e religioso che il maestro domenicano portò avanti con strumenti diversi (lezioni universitarie, trattati e commentari dotti in latino, prediche redatte in latino e in volgare), in sedi diverse (Università, all'interno e all'esterno dell'Ordine domenicano), ma caratterizzato da una notevole organicità
Gli autori di questo volume affrontano la domanda "Che cos'è una comunità di ricerca filosofica?''. Senza cadere nelle gabbie delle classificazioni semplificanti, nella consapevolezza di avere di fronte un oggetto estremamente complesso e stratificato, sviluppano una ricerca che, per certi versi, procede sul terreno delle "somiglianze di famiglia" e, per altri, si configura come scavo genealogico. Il risultato è un'esplorazione comparativa di costrutti che appartengono alla letteratura sociologica come a quella antropologica e filosofica, ma soprattutto è un'analisi critica e una proposta che si situa nell'orizzonte pedagogico e delle pratiche di formazione come riflessione su come ricostruire/trasformare le pratiche educative e su come ripensare l'educazione quale volano di emancipazione umana e di perfezionamento della democrazia come forma di vita basata sulla partecipazione
Questo lavoro di Quentin Skinner è una lettura innovativa della filosofia politica hobbesiana. Ricostruendo la cultura umanistica inglese dell'età dei Tudor e il suo recupero della retorica classica, Skinner prende in esame la prima formazione intellettuale di Hobbes. Mette in luce, poi, come Hobbes si sia ribellato alla propria educazione umanistica e, negli "Elements" e nel "De cive", abbia cercato di fondare una scienza della politica, sul modello della geometria euclidea. Nel "Leviathan", invece, si mostra un cambio di rotta e Hobbes fa largo uso di strategie retoriche nell'elaborazione della sua filosofia politica. Secondo Skinner, in quelle pagine Hobbes combina opportunamente ragione ed "eloquenza", fornendoci un testo che non può essere compreso se non si è consapevoli della sua dimensione retorica. Nel suo insieme, "Ragione e retorica nella filosofia di Hobbes" mette in rilievo due concezioni contrapposte della natura dell'argomentazione morale e politica: il modello deduttivo, "geometrico", che Hobbes fa proprio in un primo tempo e che è stato da allora largamente dominante, e l'opposto modello umanistico e retorico, con il suo accento sul dialogo e sulla negoziazione, che Skinner qui sollecita a riprendere in considerazione. Una nuova prefazione, scritta dall'autore per l'edizione italiana, approfondisce alcuni nodi interpretativi e concettuali toccati nel testo
Il volume contiene il testo del corso tenuto da Martin Heidegger presso l'università di Friburgo nel semestre estivo del 1920. Queste lezioni costituiscono un passaggio fondamentale per comprendere la formazione del suo pensiero, e gettano luce su molti temi che riappariranno in "Essere e tempo". In esse viene distesamente presentato cosa intenda l'autore per "distruzione fenomenologica", concepita come il metodo stesso della filosofia. Per Heidegger infatti si tratta sempre di ricondurre i concetti filosofici al loro processo di formazione, alla loro fonte, e dunque alla vita che in essi si esprime. Delineando questo percorso Heidegger si misura con l'intero clima filosofico dell'epoca, da Spengler a Simmel, per soffermarsi in particolare sul trascendentalismo di Natorp e sulla filosofia della vita di Dilthey. Dal confronto critico con questi due orientamenti emerge con chiarezza perché, nell'impostazione fenomenologica di Heidegger, la storicità debba da ultimo assumere un valore fondamentale
Questo libro parla di dono, delle sue forme, delle sue ambivalenze, dei suoi paradossi, del suo valore e della sua bellezza. Parlare di dono, e analizzare concetti ad esso legati o con i quali è possibile instaurare feconde relazioni di senso, quali quelli di gratuità, reciprocità, relazionalità, alterità, scambio, consente l’immaginazione di nuovi scenari di relazioni umane, anche all’interno del mercato. Il volume vuole mettere in dialogo sul tema del dono studiosi appartenenti a discipline differenti, spesso distanti, quali l’antropologia, l’economia, la filosofia, la psicologia, la sociologia, la teologia. Tale prospettiva ha di fatto costituito un’ulteriore chiamata al 'dono', al dono reciproco delle proprie conoscenze e dei propri saperi, del proprio tempo e delle proprie energie, al dono di sé.
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