L'amore per la vita contrapposto all'amore per la morte. Il modello di società matriarcale e quello patriarcale. L'uomo e il dio. La civiltà occidentale basata sui consumi e quella orientale basata sulla spiritualità. Il necessario, l'abbondanza, il superfluo. La riflessione di Erich Fromm ruota attorno a un insieme di contrasti da lui mirabilmente condensati nella celeberrima tensione tra Essere e Avere. Ciò è evidente anche nei saggi delle raccolte comprese in questo volume - L'amore per la vita, Amore, sessualità e matriarcato, Il bisogno di credere e La disobbedienza - che analizzano molteplici aspetti della psicologia e della società umane: dalle origini del consumismo e dell'aggressività al linguaggio universale del sogno, dal mito biblico ai rapporti tra uomo e donna, fino all'azione disumanizzante della tecnologia e alla necessità di ciascuno di opporsi a un sistema che vuole fare dell'individuo un eterno lattante dedito al possesso, solitario, annoiato, ansioso. Che tratti di sessualità, storia delle religioni, sociologia, Fromm individua sempre nell'imposizione di assurdi vincoli patriarcali l'origine dei malesseri a livello individuale e collettivo. Liberarsi dalle costrizioni imposte dalla tradizione, con consapevolezza e responsabilità, è quindi la strada per raggiungere la piena realizzazione di sé nelle relazioni affettive come nella vita civile.
Partorita nel 1943, nella sanguinosa temperie della Seconda Guerra mondiale, l'opera si presenta come una riflessione organica sulle cause che hanno condotto l'Europa al collasso, sino ad un ripensamento complessivo intorno alle fondamenta stesse della modernità occidentale. La retorica dei diritti, le storture del capitalismo, l'abominio del nazismo tedesco e del comunismo sovietico, il declino delle comunità, il dominio della tecnica, la perdita della trascendenza, l'idolatria dello Stato e della forza bruta sono solo alcuni dei fenomeni connessi alla "malattia" dello sradicamento. Magistralmente offerti al lettore quale potente affresco di una intera vicenda umana, nel Radicamento Simone Weil tenta di mettere a punto un progetto di modernità alternativa, costruita sul rispetto della dignità di tutti, sulla responsabilità personale, sul dovere verso l'essere umano, sull'empatia con il prossimo, sulla rinuncia alla forza.
Riscoperto agli inizi del Novecento come un attore decisivo del passaggio dal Medioevo all'Età moderna, Niccolò Cusano (1401-1464) è il pensatore più importante e significativo del Quattrocento. Figura di dimensione europea e insieme spirito profondamente ecumenico, per l'originalità della sua speculazione filosofica e teologica, per le sue tesi cosmologiche, che anticipano la rivoluzione copernicana, per la sua nuova visione dell'uomo e della creatività dello spirito umano, per la sua concezione del sapere scientifico e matematico, Cusano rappresenta uno snodo cruciale nella storia della cultura europea ed è in questo senso un autore imprescindibile per comprendere la genesi dell'Età moderna. Ricostruendo, in maniera ampia e documentata, il contesto storico, politico e culturale in cui si è sviluppata la sua riflessione e muovendosi attraverso i suoi scritti, di cui presenta e discute, con grande lucidità e chiarezza, i temi filosofici più significativi, questa monografia offre un'introduzione al pensiero di Cusano.
In questo saggio vengono chiamate a raccolta le riflessioni filosofiche di Benjamin, Schmitt, Heidegger, ma anche i contributi poetici di autori come Hölderlin, Celan e Bachmann, per analizzare l'irreparabile trauma che da allora segna lo spazio del nostro abitare sulla terra.
A livello personale e collettivo non si fa altro che parlare del male. Ma per quanto faccia sempre notizia e stia sempre sotto i riflettori, dirne qualcosa di serio è davvero difficile. Più il male è posto all'attenzione e più sembra perdere di peso e consistenza, tanto siamo abituati alle sue overdose mediatiche e alle sue giustificazioni più o meno spicciole sempre a portata di mano. Quando invece la realtà scandalosa del male è indubitabile - il fatto stesso che si voglia e che si faccia contro gli altri. Di fronte a malvagità quotidiane ed epocali, alle roboanti promesse sociopolitiche come alle veloci rassicurazioni religiose, Gabriel Marcel mette in luce i paradossi di questo incessante discorso. Nell'abisso del male bisogna piuttosto scendere e sostare.
Il Presidente degli Stati Uniti che firmò l'ordine di usare la bomba atomica si macchiò le mani di sangue o soltanto d'inchiostro? Vi sono casi in cui una guerra è giusta? In tali casi, ogni azione bellica è giustificabile? Porre fine alla vita di un malato terminale è cosa diversa dall'omicidio? Abbiamo bisogno del consenso sulla definizione dell'embrione come "persona" per decidere se qualche azione su di esso è vietata? È giustificata la proibizione della contraccezione anche se è del tutto legittimo programmare le nascite? Anscombe, riprendendo Wittgenstein, Aristotele e Tommaso d'Aquino, elabora una teoria dell'azione che pone al centro l'"intenzione", alternativa alla concezione dell'azione dominante da Cartesio in poi. Su questa base conduce una requisitoria contro la superficialità della filosofia morale moderna, accomunando i filosofi di Oxford, l'utilitarismo e l'etica kantiana. E infine mette al lavoro la sua etica delle virtù sui problemi di etica applicata: nel campo dell'etica pubblica la guerra giusta, nel campo della bioetica le questioni di fine vita e inizio vita. Questo libro, curato da Sergio Cremaschi, raccoglie i contributi di Anscombe su temi di etica, permettendo per la prima volta uno sguardo complessivo su questa figura decisiva della filosofia del Novecento.
Le immagini vengono perlopiù ricondotte alla immediatezza del visibile. In genere, il risultato di tale appaiamento è la coincidenza tra visione e ocularità. Fedele alla prospettiva fenomenologica, il percorso qui proposto cerca di approfondire un aspetto meno evidente qual è il nesso tra visibile e invisibile alla luce del quale emerge l'"eccedenza" delle immagini, non semplicemente riducibili a ciò che si mostra ai nostri occhi. È così possibile recuperare una dimensione fondamentale dell'umano che oggi rischia di essere rimossa, nelle varie forme del riduzionismo, e delineare un'"etica delle immagini" che interroga l'esperienza dello spettatore, il legame tra immagini e valori e il ruolo dell'oggettività di ciò che vediamo.
Come cercare una direzione, significativa per la nostra esperienza di vita, nelle pratiche di formazione e di cura? Come orientarsi nel labirinto delle proposte che si illudono di evitare la domanda di senso? Nel caos delle mode culturali e dei residuati ideologici, possiamo ripartire da quello che ci resta: da noi stessi, dalla vita in prima persona (bio) che è inscritta (grafia) nella storia sociale, nel romanzo familiare, nei riferimenti culturali, nelle tracce psichiche profonde. Il metodo biografico chiama direttamente l'autore che lo propone a un serrato confronto con la propria storia e con il proprio percorso di analisi e di autoanalisi, con le immagini dei sogni e dei quadri di sabbia. Ogni biografia è intrisa dei grandi racconti di senso, dei miti, spesso inconsapevoli, che l'esperienza di una vita pensata mette di nuovo alla prova. Farne un metodo significa cercare di prendersi sul serio. E invitare altri a una formazione e a una cura che non consideri niente di ciò che è umano estraneo a nessun individuo.
La profezia di Nietzsche si sta avverando, l'insegnamento del suo vicario Zarathustra ha attecchito nella nostra cultura occidentale. A poco più di un secolo dalla morte del filosofo tedesco, la civiltà cristiana sta scomparendo. L'uomo rinnega il suo Creatore e si sostituisce a Dio in un delirio di onnipotenza che lo porterà in breve tempo a compiere azioni incontrollate e incontrollabili in tutti i settori della vita: sociale, genetico, medico ed etico. La trascendenza e ogni ordine provvidenziale vengono spazzati via, si tenta di oscurare la Chiesa e il suo insegnamento, di estirpare le radici da cui sono nate la cultura europea e occidentale. Siamo agli albori di una nuova umanità.
In questo testo ormai classico, pubblicato per la prima volta nel 1981, Habermas analizza l'ipotesi che la razionalità non sia esclusivamente di tipo funzionalistico, finalizzata cioè a uno scopo e tale da ridurre gli individui a strumenti, ma possa essere di tipo discorsivo, ovvero più emancipativa, e scaturire dal dialogo tra soggetti non isolati nel mondo sociale. Come il linguaggio non è solo un insieme di termini ma anche discorso rivolto a qualcuno con cui ci si deve intendere (e che in quell'intesa si realizza), così la legittimazione delle istituzioni politiche dipende in gran parte dalla «razionalità comunicativa», in grado di favorire la formazione di una volontà collettiva e di promuovere la partecipazione democratica da parte di individui non asserviti. Un'opera tuttora centrale nella produzione dell'autore, che viene qui riproposta in un'edizione rivista e arricchita della nuova presentazione di Alessandro Ferrara e di un testo inedito scritto per l'occasione dallo stesso Habermas.
In questo testo ormai classico, pubblicato per la prima volta nel 1981, Habermas analizza l'ipotesi che la razionalità non sia esclusivamente di tipo funzionalistico, finalizzata cioè a uno scopo e tale da ridurre gli individui a strumenti, ma possa essere di tipo discorsivo, ovvero più emancipativa, e scaturire dal dialogo tra soggetti non isolati nel mondo sociale. Come il linguaggio non è solo un insieme di termini ma anche discorso rivolto a qualcuno con cui ci si deve intendere (e che in quell'intesa si realizza), così la legittimazione delle istituzioni politiche dipende in gran parte dalla «razionalità comunicativa», in grado di favorire la formazione di una volontà collettiva e di promuovere la partecipazione democratica da parte di individui non asserviti. Un'opera tuttora centrale nella produzione dell'autore, che viene qui riproposta in un'edizione rivista e arricchita della nuova presentazione di Alessandro Ferrara e di un testo inedito scritto per l'occasione dallo stesso Habermas.
Il concetto di libero arbitrio è essenziale per le nostre relazioni interpersonali e le pratiche morali e giuridiche. Se risultasse che nessuno è mai libero e moralmente responsabile, che cosa vorrebbe dire per la società, la moralità, la vita di tutti i giorni? Daniel Dennett e Gregg Caruso presentano le loro argomentazioni pro e contro l'esistenza del libero arbitrio e ne discutono le implicazioni. Dennett sostiene che il genere di libero arbitrio richiesto per la responsabilità morale è compatibile con il determinismo. Caruso è di parere opposto: per lui, quel che siamo e ciò che facciamo rappresentano, in ultima analisi, il risultato di fattori che sono al di là del nostro controllo, e per questo non siamo mai moralmente responsabili delle nostre azioni nel senso che ci renderebbe davvero meritevoli di biasimo o di lode, di punizione o di ricompensa. "A ognuno quel che si merita" introduce i concetti centrali del dibattito sul libero arbitrio e sulla responsabilità morale mediante un dialogo filosofico coinvolgente, rigoroso e talvolta acceso tra due eminenti pensatori.