
L'ontologia della libertà, di cui Pareyson ha posto ifondamenti, sollecita ulteriori sviluppi, che ne svolgano più ampiamente sia i presupposti storiografici sia le implicazioni etiche e, prima ancora, ne approfondiscano i principi. In particolare si tratta di pensare la libertà originaria come al di là dell’essere ma non senza l’essere, non senza, dunque, un principio di alterità, che pure non ne distrugga l'unità. Se l’originario è pensato come essere, si resta nell’orizzonte della necessità (magari come destinalità) smarrendo la libertà. Se invece si pensa la libertà senza l’essere, l’originario diventa mobilità inconsistente e arbitraria e la verità si dissolve in infinite forme dell’apparenza. Si tratta allora di pensare l’originario come libertà che esce dalla sua abissalità costituendosi come libertà esistente, che si vincola anzitutto al proprio altro, all’essere; e conseguentemente di pensare le libertà finite come attraversate da un’alterità che rende pensabile la loro unità solo nella forma paradossale dell’amore.
Tutto persiste e sembra conservare la propria identità attraverso il tempo, malgrado ogni cambiamento. L'analisi di Oaklander parte da interrogativi che attraversano l'intera storia della filosofia e che vengono riformulati nei termini della filosofia analitica contemporanea. Pur ammettendo che la metafisica non è in grado dì fornire risposte definitive a problemi di questo genere, Oaklander si impegna a fornire argomenti che non siano in contrasto con ciò che la scienza ci dice rispetto alla natura delle cose e al ruolo del tempo.
Quale ruolo ha il pathos nell'impresa scientifica? Un matematico geniale può cadere vittima del suo stile? Si può pensare scientificamente attraverso una figura retorica? La struttura codificata dell'articolo scientifico ha una funzione rituale? Perché Isaac Newton riscrive lo stesso testo a distanza di trent'anni? La concezione del tempo presso i Greci ci aiuta a capire il successo del lavoro di Watson e Crick sulla struttura del Dna? Questo libro mostra, attraverso l'illustrazione di alcuni casi esemplari, la possibilità di incontro tra due campi del sapere: la retorica, come riflessione sui meccanismi della persuasione, e la sociologia della scienza, interessata a rendere manifesti i condizionamenti sociali della pratica scientifica.
Gli scritti raccolti in questo volume si propongono di attraversare, lungo un arco temporale più che trentennale (1881-1916), il progetto filosofico di Roberto Ardigò di dar luogo ad un nuovo modello di filosofia, capace di dialogare attivamente con i risultati delle scienze particolari e di avere, al contempo, una funzione euristico-regolativa del concetto di scienza. Tenendo ben distinti di due campi, e rimarcando gli errori compiuti dall'idealismo e dal razionalismo, Ardigò assume una posizione particolare anche nell'ambito del positivismo europeo, riformando non poco le posizioni di Spencer e di Comte.
Pubblicato a Princeton nel 2002 e nel 2008 insignito del "Premio Europeo d'Estetica" conferitogli dalla Società Italiana d'Estetica, L'estetica della mimesis di Stephen Halliwell porta a uno tra i più antichi e problematici concetti dell'estetica occidentale un contributo non meno importante di quello a suo tempo offerto dal celebre libro Mimesis di Erich Auerbach, confermando definitivamente che il rapporto tra la visione antica e la visione moderna dell'arte è molto più complesso di quanto le più correnti ricostruzioni storiche lascino pensare. Composto da dodici capitoli, preceduti da un'introduzione generale, il libro si articola in tre parti: le prime due si occupano del pensiero di Platone e di Aristotele; la terza indaga la vicenda della mimesis nella filosofia ellenistica e nel neoplatonismo, e infine dal Rinascimento ai nostri giorni e, confrontandosi con alcune tra le più influenti teorie letterarie e filosofiche contemporanee (da Brecht, Benjamin e Adorno, a Barthes, Derrida e Danto), mostra come l'antica problematica della mimesis possa insospettabilmente annidarsi anche entro proposte teoriche di stringente attualità.
La filosofia di Platone costituisce un punto di riferimento primario per tutta la storia del pensiero occidentale, e il secolo appena trascorso non fa eccezione. Numerosi e importanti filosofi del Novecento non solo hanno sentito la necessità di confrontarsi con Platone, ma hanno anche concesso largo spazio al pensiero platonico e alla nozione di ‘platonismo’ all’interno delle loro elaborazioni teoriche. Questo confronto, soprattutto nei contesti più influenzati dalla speculazione di Nietzsche, ha assunto assai spesso la forma della critica, del distacco e, a volte, anche della ripulsa. Lo scopo di questo libro consiste nel mostrare da un lato che questa ripulsa si basa per lo più su un’immagine di Platone e del platonismo forzata in senso dogmatico e quasi formulare, dall’altro che il pensiero di Platone, se correttamente inteso, non ha mai cessato di costituire l’orizzonte ultimo entro il quale possono e devono essere posti i problemi filosofici che ancora interessano l’uomo contemporaneo.
Franco Trabattoni è professore ordinario di Storia della filosofia antica presso l’Università degli Studi di Milano. È autore di numerose monografie sulla storia del pensiero antico, di taglio generale e particolare, nonché di studi specialistici comparsi in riviste e volumi collettivi, dedicati soprattutto a Platone e alla storia del platonismo. Tra i volumi ricordiamo: Scrivere nell’anima: verità, dialettica e persuasione in Platone (Firenze 1994); Platone (Roma 1998); Filosofia antica. Profilo critico-storico (Roma 2002); La verità nascosta. Oralità e scrittura in Platone e nella Grecia classica (Roma 2005). È direttore della rivista internazionale di filosofia antica «Méthexis».
L’interrogativo che regge il pensiero scritturale qui presentato è se possa esistere, nella contemporaneità, un appello utopico ad un lingua poetica che sappia accogliere l’alterità, esprimere le sue condizioni di esilio, annunciarne il desiderio di futuro. Intorno a questi nuclei di analisi, La lingua di Cleopatra tesse – è la forza stessa della traduzione interpretata dalla figura shakesperiana – legami strettissimi con il pensiero utopico di Walter Benjamin (e della Scuola di Francoforte), con la filosofia di Jacques Derrida nell’intreccio con il poststrutturalismo di Paul de Man, col pensiero postcoloniale di Gayatri C. Spivak nella sua vicinanza d’ispirazione con l’écriture feminine di Hélène Cixous. La prospettiva è quella che s’interessa così al dibattito teorico sulla traduzione, all’intertestualità, alla (dis)appropriazione autoriale, alla sperimentazione di nuove forme della comunicazione artistica, con la musica, il cinema, il reportage giornalistico.