Scritti a margine di un'intensa produzione filosofica e storiografica, i sei saggi qui raccolti ruotano intorno al tema di biografia, autobiografia e storia. L'indagine sullo statuto dei tre generi letterari lascia emergere la difficoltà, in ciascuno, di poter conseguire la pienezza del risultato, svelando tra di essi una irresistibile contaminazione. La riflessione di Gennaro Sasso incontra opere e autori attraverso i quali emerge in primo piano il tema della crisi dell'Europa sulla via del tramonto, tra le due guerre che nel corso del Novecento ne hanno segnato il destino: Croce e Gentile, e la presunta "egemonia" delle filosofie idealistiche; il "provincialismo" degli studi; il Thomas Mann del Doctor Faustus; il Diario di Piero Calamandrei; e ancora Carlo Dionisotti e Arnaldo Momigliano. Nello sfilare di questi saggi, nei quali la dimensione critica e storiografica è percorsa da altrettanta profondità psicologica per i personaggi e le situazioni che vi sono affrontati, al lettore accade di percepire l'eco di un mondo assai vasto della cultura.
«Non siamo mai stati così liberi come sotto l'occupazione tedesca. Avevamo perduto ogni diritto e prima di tutto quello di parlare; ci insultavano apertamente, ogni giorno, e dovevamo tacere; ci deportavano in massa, come lavoratori, come ebrei, come prigionieri politici; ovunque - sui muri, sui giornali, sugli schermi - ritrovavamo l'immagine immonda e insulsa che i nostri oppressori volevano darci di noi stessi: ma proprio per questo eravamo liberi. Il veleno nazista si insinuava nel profondo dei nostri pensieri e quindi ogni pensiero giusto era una conquista; una polizia onnipotente cercava di costringerci al silenzio e quindi ogni parola diventava preziosa come una dichiarazione di principio; eravamo braccati e quindi in ogni nostro gesto gravava il peso dell'impegno. Le circostanze spesso atroci della nostra lotta ci rendevano finalmente in grado di vivere, senza trucchi e senza veli, questa situazione straziante, insostenibile che chiamiamo la condizione umana».
Un ebreo? Un portoghese? Un mercante? Un filosofo? Chiamatelo come preferite, ma è di voi stessi che parlate. Lui firmava le sue lettere come Bento, Benedictus o, semplicemente, B. Nel 1677, a pochi mesi dalla morte, uscì la prima edizione delle sue opere fondamentali. Il nome dell'autore compariva soltanto con le iniziali: B.d.S. Spinoza nacque ad Amsterdam, in una famiglia di ebrei sefarditi costretti a convertirsi al cristianesimo e fuggiti dal Portogallo. Nell'Olanda del Seicento pensare è un atto, scrivere è un atto, un gesto spettacolare e coraggioso. In questo tempo di rivoluzioni scientifiche e di guerre di religione, di epidemie e di vertiginosa espansione del commercio, i filosofi sono uomini d'azione. Modificare il corso delle verità è un compito pericoloso. Conoscere Spinoza significa entrare nelle vite che si sono intrecciate con la sua: Saul Levi Morteira, il rabbino capo della comunità ebraica di Amsterdam; Adriaen Koerbagh, enciclopedista in anticipo di un secolo; Franciscus Van den Enden, attivista fortemente contrario a Luigi XIV; Stenone, anatomista geniale; Leibniz, che si confronta con Spinoza sulla grande scacchiera metafisica degli infiniti e delle virtù, di Dio e delle certezze. Nel racconto di Maxime Rovere la vita entra prepotentemente nella storia del pensiero e getta luce su un mondo lontano nei secoli. È un ritorno alle nostre origini nella forma di un sogno storico e filosofico, completamente costruito su fatti e testi: Spinoza è il protagonista dell'avventura della ragione moderna, di cui in questa grande narrazione si può seguire giorno per giorno la nascita, guardando come si animano le idee e come il pensiero si fa strada nell'esistenza. Non un romanzo scritto a partire da una storia vera, ma una ricerca per avvicinarsi, attraverso tutti i mezzi della letteratura, alla verità di un universo perduto.
Che cos'è la coscienza morale? È un prodotto, nell'essere umano, dell'educazione o ha una sua autonomia? È creatrice del bene o lo decifra? È repressiva verso il soggetto o può essere una guida perfettiva? Produce solo conflitti interiori o può essere principio di unificazione del sé? Qual è il suo rapporto con le emozioni? Qual è la genesi della conoscenza morale di cui si avvale? La coscienza e le norme morali sono due poli contrapposti? Può la coscienza stabilire delle eccezioni alle norme? E l'obiezione di coscienza è un istituto legittimo o un arbitrio anarchico? A queste e ad altre domande cerca di rispondere il presente libro che (confrontandosi con Marx, Nietzsche, Freud, Tommaso, Kant, Rosmini, Smith, Arendt, Ricoeur e vari altri autori) focalizza alcune delle dinamiche e dimensioni dell'interiorità umana, dell'io al centro dell'io e della sua stupefacente e misteriosa profondità.
Fraternità perché? E quale fraternità? Queste le domande che Edgar Morin, intellettuale tra i maggiori del nostro tempo, ci pone in questo denso pamphlet. Domande rese urgenti dalla drammatica crisi, insieme ecologica, sociale, politica e spirituale, nella quale siamo immersi su scala locale e planetaria.
Condensando in poche pagine decenni di ampi studi transdisciplinari, Morin evidenzia come nella triade democratica libertà-uguaglianza-fraternità sia l’ultimo termine a dover oggi prevalere, pena l’aggravarsi ulteriore della crisi in atto. La «comunità di destino terrestre» che coinvolge ormai tutti gli esseri umani necessita più che mai di quel «sentimento profondo di una maternità comune» che nutre le fraternità. E che ci chiede di saper dare vita a concrete «oasi di fraternità».
Questo libro sfida l'ortodossia scientifica, e propone una nuova e accorata difesa del libero arbitrio impugnando gli stessi criteri naturalistici che di solito vengono impiegati per confutarlo. Christian List ammette che il libero arbitrio, insieme ai suoi prerequisiti - intenzionalità, possibilità alternative, controllo causale sulle nostre azioni -, non fa parte della fisica, e sostiene che esso vada invece considerato un fenomeno di «livello superiore», appartenente all'ambito della psicologia. È uno di quei fenomeni che, pur emergendo dai processi fisici, al pari di un ecosistema o dell'economia, resta autonomo da essi. Quando il libero arbitrio viene contestualizzato in modo corretto, ammettere che è reale non solo è scientificamente onesto, ma diventa indispensabile per spiegare il nostro mondo.
La libertà può essere effimera, ma non per questo meno splendente. A partire da questo assunto si sviluppa il percorso proposto da Giulio Giorello in una raccolta di saggi ispirata da tre figure imprescindibili per il concetto di libertà: Giordano Bruno, John Stuart Mill e Paul K. Feyerabend. Epoche e visioni differenti, eppure molti sono i fili conduttori che collegano questi autori, primo tra tutti la necessità di esercitare la ragione e imbracciare le armi della critica. Sulla scia della rivoluzione cosmologica tracciata da Bruno, emerge l'esigenza di giudicare criticamente gli eventi, non accettando nessuna teoria come inconfutabile ed esercitando il dissenso, come suggerisce anche l'anarchico "epistemologico" Feyerabend. Ed è proprio con Feyerabend che si realizza quel rovesciamento di prospettiva che si interroga se la scienza non sia diventata strumento di dominio e se la tecnologia non si sia trasformata nel sostegno più efficace alla burocrazia che invade le nostre esistenze mirando a una sorta di controllo totale.
Questo libro propone una riflessione su Domenico Jervolino, pensatore e uomo politico, per molti anni docente di Filosofia del Linguaggio e di Filosofia Teoretica nell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Gli interessi principali della sua ricerca filosofica sono stati: la rivisitazione critica di Marx con la ripresa della nozione gramsciana di egemonia, la riproposta dei paradigmi ricœriani del simbolo, del testo e della traduzione, il richiamo alle istanze della filosofia e della teologia della liberazione. Particolare attenzione è stata dedicata da Jervolino al paradigma della traduzione, intesa come riconoscimento e accoglienza dell’altro. Nel passaggio da una lingua all’altra il filosofo napoletano ha visto lo straniero diventare il prossimo, il soggetto riconosciuto e accettato.
Oggi più che mai è evidente che solo grazie alla scienza e alla ricerca è possibile tutelare e far progredire la nostra società. In che modo società e scienza si influenzano reciprocamente? Che ruolo giocano la politica e l'economia rispetto all'etica e ai valori scientifici? Prendendo spunto dalle idee del fisico Carlo Bernardini, giornalisti, sociologi, filosofi, scienziati e letterati riflettono sul mondo contemporaneo. Di ampio respiro i temi trattati: migrazioni, Comunità Europea, globalizzazione, democrazia, politiche di sviluppo, ma anche responsabilità della scienza.
Qual è il nesso tra l'epidemia del Covid-19 e il mercato mondiale? Che rapporto intrattiene il Coronavirus con il capitalismo contemporaneo? Alain Badiou interroga la situazione epidemica che stiamo vivendo in una prospettiva critico-filosofica che mette in luce le roventi contraddizioni del mondo contemporaneo. L'epidemia, al crocevia fra la natura e l'ordine sociale, rende palese il complesso intreccio tra economia e politica che agita la nostra epoca. Alle questioni sollevate da Badiou rispondono alcuni filosofi italiani con delle riflessioni sui tre "corpi" sociali che stanno gestendo l'emergenza: il corpo politico, il corpo medico e il corpo mediatico. La parola della filosofia getta luce sul sistema e sulle condizioni sociopolitiche che hanno permesso al virus di dilagare. Poiché, nonostante le apparenze, non c'è «niente di nuovo sotto il sole».
Questo libro è in primo luogo un doveroso tributo (ma anche un doveroso ringraziamento) a un grande dissidente come Giorgio Nebbia. Dissidente perché la sua critica ecologica al capitalismo smascherava impietosamente le contraddizioni del sistema. Essa torna oggi di grandissima attualità, noi convivendo con gli effetti sempre più pesanti prodotti da un riscaldamento climatico figlio di questo modello capitalistico e (paleo)tecnico; ma di grande attualità anche con la pandemia da coronavirus, per non dimenticare che, ben più grave della pandemia, è proprio il cambiamento climatico. Ma questo libro è anche - vorrebbe essere anche - un vademecum per i giovani che si impegnano da mesi per la difesa della Terra. Ricordando loro che l'ecologia non nasce oggi, che l'ambientalismo è una filosofia politica antica e che già più mezzo secolo fa si lanciavano allarmi sul futuro della Terra. Un libro, questo, che vuole dunque ricordarci come critica ecologica e critica politica e culturale - cioè dissidenza - debbano procedere insieme. Era (è) la grande lezione di Giorgio Nebbia.
«Pensiero concretissimo, pensiero che ha illuminato l'essenza del nostro presente più di centurie di economicismo e sociologismo. Che ne ha messo in luce il radicale, compiuto nihilismo, che lo ha affrontato nelle sue origini storiche e metafisiche. Il nihilismo che ci mette costantemente in debito, abitanti una vita che non è nostra, che è destinata a dissolversi come dal nulla è venuta. Il nihilismo che non ci permette neppure di pensare alla Gioia, alla Gloria, all'Eterno. Inattualità poderosa, monumentale della grande opera di questo Maestro. Cosa è possibile comprendere del dramma dell'epoca se non si legge Heidegger contra Severino? Manca il controcanto a tutte le correnti fondamentali della filosofia o post-filosofia del Novecento, se non si comprende Severino... di Verità era affamato Severino. E questa fame ha cercato, disperatamente forse, di comunicarci lungo tutta la sua vita, con le migliaia e migliaia delle sue pagine che vivono e vivranno». (Massimo Cacciari)