Cosa può succedere quando una donna innamorata viene tradita dal suo amore e deve fare i conti con una malattia inesorabile?
O quando si trova sola in una terra straniera, senza una casa e con un bisogno intenso di essere amata e di amare?
O quando per debolezza rinuncia ad un amore straordinario?
Il desiderio di amare e di essere amati, così profondo e fragile, è il tessuto di queste storie.
Tre donne, di fronte a momenti drammatici della loro vita, si pongono una domanda: c’è qualcosa di buono per me?
Un giallo pieno di colpi di scena scritto da uno dei maestri del Verismo. L'assassinio della contessa D'Arda, in una villa sul lago di Ginevra, dà il via a un'indagine serrata, condotta dall'esperto ma anche spregiudicato giudice Francesco Ferpierre. Sullo sfondo, un affresco della società di fine Ottocento. La soluzione del caso sarà tutt'altro che scontata e riuscirà a tenere con il fiato sospeso il lettore fino all'ultima pagina.
In una stanza immersa nella penombra un donna, giunta all'autunno della vita, si muove lentamente appoggiandosi a un bastone. Intorno a lei sculture di ogni tipo. La donna le sfiora e insegue il ricordo di un uomo. Un uomo schivo, selvatico, che però ha saputo rendere eterno nel legno il sentimento che li ha uniti. Ogni statua evoca un episodio della vita avventurosa che quell'uomo ha vissuto e amava condividere con lei, le difficoltà di un'infanzia di povertà e abbandoni, in cui la più grande gioia era stare con i fratelli e i nonni attorno al fuoco, la sera, imparando a intagliare legno, o sentire la vibrante intensità della natura durante una battuta di caccia. Ogni angolo arrotondato delle sculture fa affiorare in maniera dirompente l'orgoglio e la rabbia di quel giovane che, crescendo, aveva voglia di farcela da solo, cancellando le ombre del passato che lo tormentavano. Ma quei profili, quelle figure che ancora profumano di bosco, raccontano anche che l'amore può trovare pieno compimento solamente nella trasfigurazione, nel sogno, perché l'unica via per non rovinare quel sentimento vero e cristallino è allontanarlo dalle mani dell'uomo che, nella sua intrinseca incapacità di essere felice, finirebbe inevitabilmente per sprecarlo. Dai boschi che Mauro Corona ci ha insegnato ad ascoltare e ad amare si leva in questo romanzo una voce nuova, per molti versi inaspettata, a tratti dolente ma non perciò men energica.
"La testa fra le nuvole è un omaggio alla letteratura, alla forza del sogno e della fantasia. Ed è un omaggio alla letteratura che mi ha formata più di tutte le altre, quella della cosiddetta Mitteleuropa. Ruben è il nipote di Karl Rossman di "America", il cugino del protagonista di "Ho servito il re d'Inghilterra". Lo svagato, l'irregolare, lo Schlemihl che si aggira stupito e maldestro nella realtà degli uomini grandi, degli uomini che non scorgono l'insensatezza della vita. Ruben è anche una parte del mio carattere che, con la saggezza degli anni, ho imparato a mascherare abbastanza bene ma che è sempre presente, che mi fa sempre scendere dalla parte sbagliata e imboccare con sicurezza le porte dei gabinetti, convinta che siano l'uscita sulle scale e conversare amabilmente, nelle cene importanti, con la cameriera convinta che sia la padrona di casa." (Susanna Tamaro)
Nora e Nino, cugini che fino a quel monto non si sono mai frequentati, tano amici per la pelle durante un'estate in Versilia. Nora, già adolescente, ha quattro anni più di Nino e sembra esattamente il suo opposto: brillante, estroversa, spericolata, bellissima. Eppure da quell'estate qualcosa continua a legare profondamente i due cugini anche negli anni a venire. Intanto il tempo passa e le vicende delle loro rispettive famiglie, sullo sfondo dell'Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, si sviluppano in modi imprevedibili e bizzarri tra gelosie, tradimenti, morti e successi economici. Nora e Nino si perdono e si ritrovano, cambiano radicalmente - lui da ragazzino anonimo diventa un giovane uomo enigmatico e impenetrabile, affascinato solo dai giochi di prestigio che ha iniziato a praticare con una certa bravura, mentre lei, animata da un sentimento di libertà e dalla voglia di scoprire il mondo, si trasferisce non ancora ventenne a Londra e quindi in America sognando di diventare una scrittrice. I due ragazzi si riconoscono sempre, nonostante ogni differenza, nonostante lei ora abbia un marito e lui non riesca ancora a trovare la propria strada nella vita.
"Pensava soltanto a quello. Riportare la sua vita a quel punto. Nel punto dove si era interrotta. Si trattava di unire due lembi di terra, due lembi di tempo. In mezzo c'era il mare. Si metteva i fichi aperti sugli occhi per ricordarsi quel sapore di dolce e di grumi. Vedeva rosso attraverso quei semi. Cercava il cuore del suo mondo lasciato". Farid e Jamila fuggono da una guerra che corre più veloce di loro. Angelina insegna a Vito che ogni patria può essere terra di tempesta, lei che è stata araba fino a undici anni. Sono due figli, due madri, due mondi. A guardarlo dalla riva, il mare che li divide è un tappeto volante, oppure una lastra di cristallo che si richiude sopra le cose. Ma sulla terra resta l'impronta di ogni passaggio, partenza o ritorno che la scrittura, come argilla fresca, conserva e restituisce. Un romanzo di promesse e di abbandoni, forte e luminoso come una favola.
"Aglio, cipolle, rape, ravanelli e porri sono verdure indigeste che non diamo mai agli ospiti della casa!" Suor Speranza ne è sicura: nel minestrone che ha distribuito ai pazienti della Casa di Riposo di Bellano l'aglio non l'ha fatto mettere di sicuro. Allora come mai Ernesto Cervicati, entrando nella stanza di zia Antonia, ha sentito quell'odore, invece dell'aroma inconfondibile e fresco della menta? Ernesto conosce bene il rassicurante profumo delle mentine di cui è golosa la sua anziana parente. Certo meglio di suo fratello Antonio, che della zia non ha mai voluto saperne: gli interessava molto di più Augusta Peretti, una trentacinquenne ossigenata e vogliosa, nonché figlia di salumiere. Ernesto invece aveva accolto zia Antonia in casa sua e l'aveva accudita per tre anni, finché lei, un po' per non gravare troppo sul nipote, un po' per pudore, aveva deciso di trasferirsi all'ospizio. Quel sorprendente odore d'aglio è un piccolo enigma. Forse è l'indizio di qualcosa di più grave. A indagare, oltre a Ernesto e all'energica suor Speranza, si ritrova anche il dottor Fastelli, medico dal carattere gioviale ma di grande sensibilità. Intorno a questo profumato mistero, Andrea Vitali costruisce un romanzo carico di tenerezza, una di quelle storie che, come zia Antonia, ti accarezzano in un fresco abbraccio. Per poi regalarti, alla fine, una sorpresa.
"Il giro di boa" venne scritto sotto l'impulso di due avvenimenti distanti tra loro, ma che mi colpirono e m'indignarono in modo particolare. Il primo fu il G8 di Genova e il comportamento non certo esemplare delle Forze dell'ordine in quelle terribili giornate. Il secondo avvenimento fu la scoperta che alcuni trafficanti di carne umana avevano sbarcato sulle nostre coste dei bambini per venderli. "La pazienza del ragno" invece mi è stato letteralmente suggerito dall'aver visto un ragno tessere la sua tela tra un ramo e l'altro di un castagno ultracentenario. E fu proprio mentre l'osservavo che nacque in me il progetto di un romanzo la cui idea portante fosse appunto la tessitura di una sorta di tela di ragno appositamente congegnata per farvi intrappolare la vittima designata. Mi proposi cioè di scrivere un romanzo poliziesco senza omicidi o fatti di sangue, ma con la distruzione sociale di un individuo raggiunta attraverso una macchinazione di raffinata intelligenza. "L'idea di "La luna di carta" mi venne in mente dopo un incontro fortuito con un amico che non vedevo da trent'anni il quale mi raccontò d'avere scoperto un giorno che tanto Anna, sua moglie, quanto Giulia, la giovane amante, non solo avevano fatto conoscenza ed erano diventate amiche, non solo lo tradivano sistematicamente con altri, ma l'ingannavano quotidianamente mentendo su tutto, anche sulle cose più ovvie, così, per il puro piacere di ridere poi alle sue spalle."
"Quando hai ottant'anni, l'unica cosa che puoi fare in un giorno di pieno agosto è andare al bar". E che fare al bar? Le carte, i fatti altrui, discussioni continue, e dopo: investigare. Come fanno i vecchietti del BarLume: Nonno Ampelio, l'oste Aldo, il Rimediotti pensionato di destra, il Del Tacca-del-Comune. Se c'è un delitto nei dintorni di Pineta, il loro onnisciente pettegolezzo diventa una formidabile macchina da indagine. Da dove Massimo il barrista estrae la chiave dell'enigma, come una Miss Marple in puro toscano. "La briscola in cinque": da un cassonetto dell'immondizia sporge il cadavere di una ragazzina. Sembra un fatto di sesso e droga, di balordi del giro, anche per la condotta della vittima, figlia di una delle migliori casate di Pineta. Dalle beffarde maldicenze, durante la partita a carte dei vecchietti del BarLume, spunta un intrigo più contorto e scabroso. "Il gioco delle tre carte": congresso a Pineta. Viene ucciso un anziano professore giapponese. Non c'è altra traccia da seguire se non un computer, ma aprendolo non si trova un indizio. Il commissario Fusco è smarrito. I vecchietti, al BarLume, fanno confusione. Nel gioco delle tre carte, la carta che vince si nasconde ostentandola. Come la verità in questo enigma investigativo. "Il re dei giochi": il re dei giochi è il biliardo nuovo dove si accampano in permanenza i vecchietti del BarLume. Più che giocare, sezionano Pineta. Sulla statale c'è stato un terribile incidente. È morto un ragazzo ed è in coma...
Prima dei romanzi della "Milano nera", Giorgio Scerbanenco creò una serie di polizieschi investigativi di stampo più classico incentrata sulla figura di un detective tutt'altro che classico, sul quale il padre nobile del giallo all'italiana poggiava la sua voglia di sperimentare. Arthur Jelling, archivista della polizia di Boston, come carattere saliente presenta un'estrema timidezza e si considera un comune impiegato, anzi: "Il più oscuro degli impiegati". Ma la memoria di una miriade di casi, filtrata dal talento di psicologo, ne fanno un imbattibile risolutore di enigmi, dal tratto garbato e schivo che disarma il colpevole. In "Sei giorni di preavviso", un attore, famoso e narcisista, si barrica in casa perché riceve avvisi, sempre più minacciosi. La scoperta del mittente dei messaggi di morte è affidata all'archivista della polizia. In "La bambola cieca", il milionario Déravans, accecato da un incidente, può essere guarito solo dall'ardita chirurgia del professor Linden. Questi riceve una minaccia di morte prontamente eseguita, minaccia trasmessa per mezzo di una bambola cieca. Il timido archivista capisce che l'unica via da seguire è capire cosa Déravans non avrebbe dovuto vedere se restituito alla luce. In "Nessuno è colpevole", Jelling affronta un caso senza problemi: un uomo è ucciso durante una partita di caccia e il suo compagno è reo confesso. La soluzione acquieta tutti. Solo l'archivista dal rossore facile non è pago e architetta una astrusa dimostrazione per assurdo.
"Io so chi sei, Alessandro Veronesi, conosco l'animo tuo, e ti dico che ti adopererai e ti industrierai affinché tuo padre non muoia in un letto d'ospedale bensì, secondo le sue volontà, nel suo, nel cuore della sua dimora." Il primo racconto di questa raccolta, "Profezia" è la storia di un figlio che accompagna il proprio padre alla morte. Con uno stile incalzante e l'azione tutta profetizzata al futuro, la lettura porta a conoscere uno dei percorsi più antichi del mondo: un figlio che seppellisce il proprio genitore. Cambio di stile in un rapporto padre-figlio è "Quel che è stato sarà", dove il destino è immutato a se stesso, e le dinamiche imposte dai genitori di due diverse famiglie a due figli si riproporranno anni dopo, quando i ragazzini ormai adulti si troveranno di fronte alla tragedia che li coinvolgerà entrambi. La crudeltà senza ragione della "Furia dell'agnello", è una crudeltà che si mischia alla tenerezza di un rapporto con il presunto male, "Sotto il sole dei campi elisi" mette insieme tre letterati, e in particolare due scrittori come Hector e Svevo. Nell'omonimo racconto che dà il titolo alla raccolta, "Baci scagliati altrove", i percorsi tortuosi dell'io narrante sono ostacoli che si superano soltanto quando si riduce lo spazio tra pensiero e azione. Una raccolta di storie in cui gli uomini cercano risposte agli interrogativi mentre la vita, con le sue relazioni e dinamiche, si muove.
Pare un duello interminabile quello che si consuma alla fine di un rigido inverno nell'aspra Valle piemontese del Pellice tra il generale francese Roland Berthier e il suo unico vero nemico, il fuorilegge Giacomo Spada, detto il Nibbio, comandante di una banda che resiste all'invasione dell'aquila napoleonica. Berthier ha combattuto grandi battaglie, come quella di Marengo, e si sente soffocare dalla noia in quella sperduta guarnigione fuori dal mondo: la sua unica via di fuga dalla realtà è l'idea di schiacciare quel drappello di irriducibili pezzenti. A ogni costo. Per questo decide di liberare il soldato Matteo Vinassa, condannato a morte per aver pugnalato un ufficiale francese. In cambio Matteo dovrà infiltrarsi tra i ribelli e portargli la testa del Nibbio: solo così tornerà a essere un uomo libero. Ma Berthier trascura la forza che nasce dalla disperazione e il potere che può sprigionarsi là dove la lealtà ha ancora un valore. Matteo, raggiunta la formazione del Nibbio, scoprirà infatti il carisma di una figura del tutto diversa dal feroce brigante che gli è stato descritto. Con "La valle degli uomini liberi" Alessandro Mondo ci racconta un'avventura che rievoca un'epoca dimenticata dalla storia ufficiale, l'epopea di un manipolo di uomini pronti a contrastare con ogni mezzo un nemico che si crede invincibile.