"I classici in prima persona" comprende il testo inedito di un incontro tenuto da Pontiggia nel novembre 2002 presso l'università di Bologna e un breve saggio, entrambi dedicati a uno degli argomenti più cari allo scrittore: il rapporto con i classici. A cavallo tra critica filologica e rievocazione autobiografica, i due scritti, in cui l'autore ripercorre la propria biografia intellettuale nel segno degli amati scrittori greci e latini, riflettono su alcuni temi nodali di tutta la produzione saggistica, e non solo, di Pontiggia: il concetto di "classico", i fantasmi dei Maestri, la funzione del canone, l'ambigno connubio tra retorica e politica. Chiude il volume un saggio di Ivano Dionigi che illustra il rapporto di Pontiggia con gli antichi.
Le ragazze vestono secondo le mode dell'ultimo minuto. I ragazzi girano con i loro scooter o, meglio, con la BMW lunga, magari rubata al papà. Le ragazze si preparano ad incontrare il ragazzo della loro vita. I ragazzi si sfidano in prove di resistenza fisica, di velocità, di rischio. Sullo sfondo di una frenetica vita di clan, Stefano, detto Step, e Babi si incontrano. Lei ottima studentessa, lui ottimo picchiatore, violento, passa i pomeriggi in piazza davanti al bar o in palestra, la sera in moto o nella bisca dove gioca a biliardo. Appartengono a due mondi diversi, ma finiscono per innamorarsi. Un romanzo di vite quotidiane, di noia, di fatica, di adrenalina e di violenza. Il libro propone la prima versione, integrale, del romanzo di Moccia.
"Cima delle nobildonne" ha segnato, nel 1985, il ritorno al romanzo di Stefano D'Arrigo dopo il tour de force di Horcynus Orca. È un cambiamento totale di scenari e atmosfere: non più il mito omerico, lo sfrenato sperimentalismo linguistico, ma un itinerario di conoscenza nei templi della medicina e una lingua secca e tagliente, limpida ma percorsa da profonde correnti simboliche. Il romanzo si svolge tra laboratori di ricerca e ospedali d'avanguardia, dove assistiamo alla vertiginosa operazione chirurgica per trasformare in vera donna il bellissimo ermafrodito adolescente amato dall'emiro di Kuneor. Tra gli interrogativi della scienza e le più sfrenate invenzioni fantastiche, un romanzo per parlare dei più universali dei temi: la vita e la morte.
L'autore di "La leggenda di Redenta Tiria" narra la storia di un amore che vive al di là della morte e di una feroce vendetta. Sin dalla prima pagina il lettore si trova immerso in un mondo arcaico e crudele, quello della Barbagia fra le due guerre. È qui che Mintonia e Micheddu si conoscono e si amano con la necessità prepotente ed esclusiva che è propria degli amori infantili. E continueranno ad amarsi anche quando Micheddu dovrà darsi alla macchia, anche quando Mintonia, "femmina malasortata", dovrà vederlo solo di nascosto e passare ore di angoscia a pensarlo braccato.
C'è una filosofia che parte dalla Grecia e passa per Napoli. Una filosofia che ha due principi cardine: l'amore e l'ironia. È la filosofia di Bellavista che Luciano De Crescenzo ha accolto e fatto crescere in tanti anni di discorsi e riflessioni. E che ha condensato in queste pagine di pensieri in forma di aforisma. A quasi trent'anni da «Così parlò Bellavista» l'ex ingegnere dell'IBM è diventato un saggio che non si prende sul serio, un moralista indulgente e innamorato della vita. In questo libro ha raccolto la sua filosofia in 365 pensieri: pillole agrodolci da leggere una al giorno o tutte insieme.
Il volume ospita innanzitutto "Feria d'agosto", l'unico testo licenziato dall'autore stesso, e il lungo racconto giovanile "Ciau Masino". Accanto a questi sono presentati i racconti giovanili e gli altri racconti sparsi ricostruiti secondo le testimonianze a stampa e le carte delle prime stesure. Firma l'introduzione Marziano Guglielminetti, mentre Mariarosa Masoero cura il volume, firma il testo introduttivo "Fra le carte dei racconti", le note e le notizie sui testi.
Sono qui raccolte, in modo organico, tutte le lettere di Amedeo Modigliani (Livorno 1884-Parigi 1920), i principali scritti che rimangono dell'artista. Dalle lunghe confidenze, pervase di slanci dannunziani e nietzscheani, inviate all'amico Oscar Ghiglia, alle brevi corrispondenze con il suo mecenate parigino Paul Alexandre, a cui scrive tra l'altro il celebre aforisma "la felicità è un angelo dal volto grave"; dalle righe asciutte e commoventi indirizzate alla madre ai messaggi allegri e disperati mandati al mercante Zborowski, dettati da esigenze pratiche, ma capaci di aprirsi a riflessioni non occasionali, questi scritti, nella loro essenzialità, disegnano un ritratto dell'artista più autentico di tante testimonianze romanzate.
Al centro della vicenda c'è un personaggio controverso e affascinante: Giovanni Corrao, sbarcato a Messina per organizzare la rivolta dei Siciliani e ottenere il sostegno dei potentati locali alla spedizione dei Mille. Sullo sfondo di uno scenario ricco di feste popolari, congiure, sospetti e trame segrete, l'ardimentoso siciliano, passato alla Storia come il "Generale dei picciotti", si muove veloce tra personaggi storici come Crispi, Bixio, Garibaldi e Rosolino Pilo, morto in oscure circostanze. Istigato da due luoghi emblematici (le catacombe dei Cappuccini e il monumento di Villa Garibaldi a Palermo), l'autore si chiede dunque da chi e perché fu ucciso a soli 41 anni Giovanni Corrao, capo-popolo capace di mobilitare migliaia di uomini.
Il Ballerino è per bene, prende bei voti, non ha mai una ragazza, è goffo e "dice sempre la cosa sbagliata": fa pugilato per riappropriarsi dell'esistenza; con la sua leggerezza da libellula sul quadrato è diventato una leggenda, ma la madre gli vieta di salire sul ring e lui non si è mai misurato. La Capra è povero, è sordo e non riuscire a sentire le voci lo ha escluso dal mondo, combatte con testarda determinazione ed è un campione, ma vuole sapere se veramente è lui il più forte. "Boxe", il primo di questi tre ritratti di giovani alle prese con l'iniziazione alla vita, parla di palestre e odori di corpi, di sacrifici e rese, della prova e della sfida, della rivelazione del senso segreto della vita.
Come un Cicerone dalla sorprendente dottrina, affabile ma mai conciliante, Benedetto Croce fa scoprire al lettore il volto segreto della sua città: le vestigia della dominazione spagnola e le vite smodate dei soldati che vi furono di stanza; gli scomparsi "seggi" e l'epopea dei lazzari, fanaticamente devoti a san Gennaro e al re; il vocio assordante dei venditori; personaggi come il sacerdote archivista don Dima Ciappa, "religiosissimo uomo" che fece uccidere un giovane rivale in amore, e gemme come il palazzo Cellamare a Chiaia, dove si sedimentano secoli di storia, di vita artistica e letteraria. I saggi qui raccolti sono apparsi in origine tra la fine dell'Ottocento e gli anni Cinquanta.
Florindo Flores deve precipitosamente tornare a Torino per scoprire chi sta ordendo delle truffe con al centro delle copie "originali" del manoscritto dei Nibelunghi. Una è già stata venduta a Milano per due milioni di euro; e uno studioso di letteratura tedesca fallito, Herr Null, viene ucciso mentre cerca di piazzarne un'altra, momentaneamente nelle mani della sprovveduta contessa Roxilda. A capo dell'organizzazione c'è un criminale che vive in una villa fuori Milano, circondato da una squadra di stupidi gorilla dal grilletto facile.