Le vicende narrate hanno inizio nel dicembre del 1982 e terminano la notte del 9 novembre 1989, con la caduta del muro di Berlino. Protagonisti del romanzo sono i membri di una famiglia alto-borghese di Dresda, che ha cercato di sfuggire alla durezza del regime socialista rifugiandosi nel quartiere “separato” di Dresda, “la torre”. Tre i protagonisti principali: Christian, che sta tornando a casa per la festa del cinquantesimo compleanno del padre; Richard, il padre appunto; e suo fratello Meno, zio di Christian. Tutti e tre sono raffinati intellettuali: Meno lavora per una casa editrice; Christian suona il violoncello, legge molto e studia con accanimento perché vuole diventare un medico famoso; Richard, chirurgo, è un appassionato d’arte. L’ambiente raffinato ed elitario in cui vivono è una specie di torre di avorio, lontana dai meccanismi del sistema socialista. Ma fuori di lì la vita è meno “pura”: Richard, che ha una relazione extra-coniugale e una figlia illegittima, viene ricattato e obbligato a spiare i colleghi. Meno deve più di una volta censurare le opere che amerebbe pubblicare. Christian, per poter essere ammesso alla facoltà di medicina, è costretto ad arruolarsi per tre anni come volontario nell’esercito e a subire terribili umiliazioni. Tutti i protagonisti vengono colti nel momento limite in cui dovranno decidere se stare ancora col regime o schierarsi contro e mettere a rischio la sicurezza della “torre”.
Nel 1990, poco prima di celebrare il suo ottantesimo compleanno, Gregor von Rezzori inizia la stesura di questo libro di memorie, arguto, divertente, ironico e intensamente poetico. E un libro di memorie per un intellettuale nomade e sradicato come Von Rezzori non può che coincidere con il racconto dei viaggi che nel corso degli anni lo hanno portato a rivedere i paesaggi della sua infanzia e della sua giovinezza, e a incontrare di nuovo vecchi demoni, in una riuscita combinazione di riflessioni storiche e meditazioni private. Così in un viaggio in Romania, suo Paese natale, in cui ancora si sentono gli echi della rivolta contro il comunismo del 1989, Von Rezzori riflette sulla natura della devozione del popolo verso i tiranni che lo rendono schiavo e sulle strane sensazioni che provoca rivedere dopo quasi mezzo secolo il posto in cui sei nato. Un viaggio in Germania, dove Von Rezzori aveva raccontato il carnevale di Colonia come commentatore televisivo, è l'occasione per una serie di riflessioni sul popolo tedesco, la bellezza e il fascino della sua lingua e della sua cultura in contrasto con le asprezze della sua storia e per un parallelo fra lo scadimento morale rappresentato da quella festa e la forte tensione morale della Berlino del 1938. Un tour de force di audacia letteraria e autoironia, che testimonia ancora una volta la forza di questo grande intellettuale del Novecento.
Cosa spinge uno stimato e irreprensibile medico di paese ad ammazzare la moglie a colpi d’ascia dopo quarant’anni di matrimonio? E come si può consumare un delitto tanto efferato in un’atmosfera di calma apparente? Muove da qui il racconto di Ferdinand von Schirach, da situazioni di normalità in cui un colpo di vento può scatenare una follia criminale. Dalla sua posizione privilegiata di avvocato penalista, l’autore osserva quotidianamente gli orrori e le violenze della vita di tutti i giorni. Spacciatori, prostitute, skinhead, ma anche famiglie aristocratiche, ricchi uomini d’affari e insospettabili guardiani di museo diventano così i protagonisti di vicende semplicemente inspiegabili dalla ragione.
Entrando in punta di piedi nelle vicende che racconta, l’avvocato von Schirach riesce a mostrarcele sotto una nuova luce, invitandoci a rivedere i pregiudizi sui criminali e sulle cause delle loro azioni, e a riflettere sul labile confine fra il bene e il male.
In una lettera a Stefan Zweig, Joseph Roth annunciava di avere in cantiere «il romanzo della sua infanzia», destinato ad assumere le dimensioni di un’opera autobiografica «d’ampio respiro». E destinato, secondo l’ultima compagna dello scrittore, a diventare il suo libro più pregevole. Il progettato romanzo, in realtà, non vide mai la luce. Ma il torso che ci è rimasto, Fragole – trovato fra le carte inedite _, si presenta di fatto come un’autentica, incantevole novella. Una novella popolata di sarti, vetrai e ciabattini colti nel natio shtetl galiziano, in uno scenario fatto di distese innevate e di neri stormi di corvi sui campi dalle stoppie dure e pungenti sotto i piedi nudi. Alla ricerca della sua terra perduta _ con il sapore delle fragole di bosco che richiama un intero universo («il succo scaturiva dal frutto e la polpa molle accarezzava il palato») _, Roth riesce a salvare la memoria di una mitica Heimat, racchiudendola nel prezioso scrigno di un racconto poetico e nostalgico come una ballata yiddish. E non meno preziosa, anche se agli antipodi per ambientazione e tenore, è l’altra novella raccolta in questo volume, Perlefter, storia e satira di un borghese ipocondriaco, irresistibile antieroe che sogna avventure grandiose _ laddove le sue sono solo meschine e da tener segrete, come gli indirizzi di certe massaggiatrici che si è annotato, con abbreviazioni solo a lui intelligibili, in fondo al suo calepino, «appena sotto l’elenco delle festività ebraiche». Abitate da una galleria di personaggi degna di Gogol’ e Dickens, ambientate nella Vienna dell’ebraismo assimilato – tra café chantant, club esclusivi e sontuosi hotel _ o in lontane province trasognate, sono pagine in cui ritroveremo, con gioia, il Roth dei suoi libri più amati.
“Di notte, da sessant’anni, cerco di ricordarmi gli oggetti del Lager. Sono il contenuto della mia valigia notturna. Dal mio ritorno a casa la notte insonne è una valigia di pelle nera. E questa valigia è nella mia fronte.”
Gennaio 1945, la guerra non è ancora finita: per ordine sovietico inizia la deportazione della minoranza rumeno-tedesca nei campi di lavoro forzato dell’Ucraina. Qui inizia anche la storia del diciassettenne Leopold Auberg, partito per il Lager con l’ingenua incoscienza del ragazzo ansioso di sfuggire all’angustia della vita di provincia. Cinque anni durerà poi l’esperienza terribile della fame e del freddo, della fatica estrema e della morte quotidiana. Per scrivere questo libro Herta Müller ha raccolto le testimonianze e i ricordi dei sopravvissuti e in primo luogo quelli del poeta rumeno-tedesco Oskar Pastior. Avrebbe dovuto essere un’opera scritta a quattro mani, che Herta Müller decise di proseguire da sola dopo la morte di Pastior nel 2006. È infatti attraverso gli occhi di quest’ultimo, quelli del ragazzo Leo nel libro, che la realtà del Lager si mostra al lettore. Gli occhi e la memoria parlano con lingua poetica e dura, metaforica e scarna, reale e nello stesso tempo surreale – come la condizione stessa della mente quando il corpo è piagato dal freddo e dalla fame. Fondato sulla realtà del Lager, intessuto dei suoi oggetti e della passione, quasi dell’ossessione per il dettaglio quale essenza della memoria e della percezione, L’altalena del respiro è un potente testo narrativo, una grande opera letteraria.
DESCRIZIONE: La redazione di queste Conversations avec Goethe si conclude nel 1835-36 a Weimar, ove Frédéric Soret strinse con Goethe «un rapporto intenso, una frequentazione continua, una stima reciproca» – scrivono i curatori di questa prima edizione italiana. Un affresco privo di ambizioni letterarie che rende visibili, con “oggettività”, i lati meno noti del grande poeta: passando attraverso una critica della scienza – che interseca la sua concezione della natura e si inserisce nel filone della Naturphilosophie – si finisce per scoprire il senso che Goethe dà al corso della storia e alla politica.
Temi solo apparentemente distanti fra loro, che in realtà sottacciono la stessa idea di fondo: «dalla natura, da qualunque parte la si guardi, scaturisce l’infinito» – in essa particolare e universale si compenetrano. Ne deriva un empirismo da Goethe stesso definito “delicato”, che percepisce l’oggetto come unità vivente, evitando gli eccessi romantici: saper cogliere nel divenire continuo delle forme il permanere di qualcosa di stabile. È la teoria della trasformazione, che vale per la natura, per la storia e per la politica: essere troppo fedeli alle cose esistenti o voler del tutto astrarne significa farvi violenza.
Pagine rarefatte di clamori, dalle quali emerge il Goethe pensatore e teorico della forma.
COMMENTO: La prima edizione di celebri colloqui sulla vita, l'arte, la morte di Goethe con l'amico Frédéric Soret.
J.W. GOETHE (1749-1832), letterato, filosofo, critico d’arte, scienziato nonché uomo politico, padre del Neuhumanismus, è divenuto emblema della cultura tedesca.
FREDERIC SORET (1795-1865), studioso di fisica e numismatica orientale di origine svizzera.
Un ragazzino di dieci anni, insieme al fratello maggiore, intraprende nel maggio 1938 un viaggio che da Amburgo, passando per l’Italia, lo porterà in un collegio sperduto dell’Alta Savoia. I due fratelli vivranno da soli, senza genitori, «in esilio» da una guerra che minacciosa si stringe attorno a loro. Una guerra che il piccolo Jürgen-Arthur, il quale non sa nulla (non sa nemmeno di essere ebreo), tenta di spiegare a modo suo: si convince di avere una colpa, una di quelle colpe che agli occhi dei bambini sono indicibili e imperdonabili. Quel bambino è lo stesso Goldschmidt, il grande scrittore tedesco che in questa narrazione autobiografica ripercorre gli anni del passaggio dall’infanzia all’adolescenza; anni difficili e delicati, in cui l’acuta sensibilità che li caratterizza è intensificata e portata a un punto estremo di tensione dagli eventi bellici, che si insinuano anche all’interno del collegio francese, inquinandone il microcosmo in apparenza sereno. Il giovane, infatti, ritrovatosi solo, senza neanche la compagnia del fratello, sarà costretto a subire le angherie e le sevizie della Direttrice e dei compagni, diventando la vittima preferita delle loro prepotenze. Ma nel momento stesso in cui il dolore scaturisce ed esplode nel corpo torturato e martoriato, Jürgen-Arthur scopre il potere misterioso e sorprendente del piacere che proprio nel corpo dimora. Il cuore del romanzo è infatti il corpo, percepito come rifugio ma anche, specie nelle punizioni più dure, come un bastione che non può essere soggiogato né distrutto, una linea di fuga. Si creano così sottili e complesse dinamiche psicologiche, indagate e messe a nudo con abilità ed estrema lucidità da una scrittura che non esita a setacciare i percorsi più oscuri della mente. Non a caso Goldschmidt per questo romanzo si affida al tedesco, dopo aver scritto sempre in francese: decide di tornare alla lingua madre, quella che avverte come lingua del trauma, della separazione, della perdita, del dolore; e insieme lingua del corpo e della salvezza: asciutta e spietata, ma capace di toccare inaspettate vette liriche. «Non esiste un altro libro che gli sia paragonabile nella storia meravigliosamente lunga dei libri», scrive Peter Handke nella sua Prefazione. L’unicità del libro è tutt’uno con i frequenti scarti narrativi che lo percorrono, con le improvvise impennate della fantasia che permettono a Jürgen-Arthur, in un continuo trascolorare e trasformarsi delle immagini, di aprire squarci fulminei nel dolore e scoprire la libertà e il piacere della natura, le grandi montagne alpine e i fitti boschi che le ricoprono, e insieme scoprire per la prima volta se stesso, allargando lo sguardo per abbracciare una terra respirata e vissuta «come se ancora fosse il primo giorno del mondo».
Fama è uno scrigno di memorabili figure al confine tra verità e letteratura, che dialogano con il loro creatore; si fanno trasportare in altre realtà da onnipresenti cellulari; leggono scrittori guru che per primi non credono alle proprie parole; partono per viaggi in regioni remote, dove al posto di mitiche città e cieli stellati trovano solo cementifici e patate lesse; guardano trailer di film di cui sono i protagonisti senza averli mai girati; scrivono blog in internet per raccontare di non essere riusciti a entrare dentro un romanzo, e mandano all’aria le vite di attori famosi. “Storie dentro storie dentro storie. Non si sa mai dove finisce una e dove inizia l’altra. Nella realtà sono tutte intrecciate. Solo nei libri la separazione è netta.” Così lo scrittore Leo Richter, uno dei personaggi su cui sono incentrate le vicende del romanzo, suggerisce il gioco a cui il lettore è chiamato a partecipare per ricomporre quell’ironico puzzle che è il libro di Daniel Kehlmann.
IL LIBRO
Montecassino, 1944. Per quattro mesi gli alleati tentano di sfondare le linee tedesche. Su quel fronte terribile non sono impegnati solo americani e inglesi, ma anche truppe di altri continenti che il vortice della guerra mondiale ha risputato in Ciociaria: indiani, nepalesi, magrebini e persino un battaglione di maori della Nuova Zelanda. Ci sono i polacchi, un esercito di ex deportati del Gulag che combattono in terra straniera per la libertà da Stalin e da Hitler. Fanno parte di quella strana compagine anche un migliaio di ebrei, che imbracciano le armi per il puro diritto a esistere. E ci sono i civili, tra due fuochi. Chi erano quegli uomini che, pur dalla parte dei vincitori, vanno incontro a un destino di vinti? E quali segni ha lasciato l’immenso sconvolgimento della Seconda guerra mondiale?
Helena Janeczek cerca di rispondere con un affresco di storie che, ricongiungendo il passato al presente, nascono sia dall’invenzione, sia dallo scavo nella memoria più personale. Partendo con un taxi da Milano, incontriamo John Wilkins, sergente texano, Rapata Sullivan, nipote di un veterano maori, Edoardo e Anand, ragazzi cresciuti a Roma che a Cassino vanno per spirito di avventura, e ancora, Irka, fuggita dal ghetto per ritrovarsi in Siberia dove finisce anche il soldato Milek, reduce ebreo-polacco, morto a Milano senza trasmettere ai suoi figli un’esperienza fatta di orrore e di coraggio.
UN ESTRATTO
"Così mi sono chiesto: ma dove stavano le rondini, in tempo di guerra? E ho ripassato a mente tutti gli scenari della Seconda guerra mondiale, almeno quelli che abbiamo studiato a scuola: Europa, Nordafrica, Russia, Indocina, Pacifico. Ho visto questi stormi di poveri uccelli neri impazziti, in tutto il mondo."
L'AUTORE
Helena Janeczek è nata nel 1964 a Monaco di Baviera in una famiglia ebreopolacca. Si è trasferita in Italia nel 1983. Ha pubblicato una raccolta di poesie in tedesco e i romanzi Lezione di tenebra (Mondadori, 1997; premio Bagutta Opera Prima) e Cibo (Mondadori, 2002). È redattrice di «Nuovi Argomenti» e di «Nazione Indiana». Vive a Gallarate e lavora a Milano.
Adrian Weynfeldt è l'ultimo rampollo di una ricca famiglia di industriali da cui ha ereditato beni, proprietà, quadri e mobili antichi, nonché il bellissimo appartamento in cui vive. Cinquantenne, scapolo e senza figli, collezionista ed esperto d'arte, ricco, elegante e prigioniero delle sue stesse buone maniere, Adrian conduce nel lusso una vita tranquilla e regolare, scandita da impegni lavorativi (lavora per una celebre casa d'aste internazionale, fornisce consulenze e stime su opere d'arte, e ha la fama di essere un grande esperto in materia) e momenti sociali, anche quelli all'insegna della ripetitività: il sabato sera incontra al ristorante gli amici "vecchi", della generazione dei suoi genitori, il giovedì a colazione l'altro gruppo di amici, i "giovani", nei confronti dei quali ha un atteggiamento paterno e protettivo. Amici della sua età non ne ha. Amici veri apparentemente neanche, visto che è circondato da persone che approfittano di lui in maniera abbastanza spudorata, facendosi finanziare progetti cinematografici, vernissage, viaggi in Polinesia. Una sera in un bar incontra la misteriosa Lorena, con la quale inizia una strana relazione: lei approfitta di lui e non solo economicamente, mentre Adrian non sa neanche il cognome di Lorena, né il suo numero di telefono né dove abiti e vive nell'attesa delle sue telefonate e dei loro incontri. Ma il vero protagonista del romanzo è un quadro di Félix Vallotton: "La Salamandre".
14 gennaio, Huanchaco, costa del Perù. Il povero pescatore Juan Narciso Ucañan non crede ai suoi occhi: dopo settimane di magra, davanti a lui si stende un enorme banco di pesci. Ma ben presto il terrore cancella la sua felicità: i pesci, muovendosi come un unico essere, prima gli distruggono la rete, poi rovesciano la sua barca e infine si compattano, impedendogli di tornare in superficie. 13 marzo, costa norvegese. A bordo della nave oceanografica Thorvaldson, il biologo marino Sigur Johanson e Tina Lund, responsabile della Statoil per la scoperta di giacimenti petroliferi, guardano il monitor che rimanda le immagini di un robot calato sul fondo del mare: milioni di "vermi" sembrano aver invaso lo zoccolo continentale. 5 aprile, Vancouver Island, Canada. Leon Anawak fa da guida ai turisti che vogliono osservare le balene nelle acque della British Columbia. Ma i mammiferi marini non si vedono più, come se si fossero "smarriti" da qualche parte. Poi, improvvisamente, riappaiono e si comportano in modo del tutto anomalo. Tre avvenimenti lontani, un unico tratto comune: il mare. Un mondo brulicante di esseri misteriosi, un enigma che avvolge i sette decimi del nostro pianeta. Dall'Europa all'America, dal Polo Nord al Giappone, il mondo dovrà confrontarsi con questo enigma: scienziati, militari, capi di governo e individui comuni saranno trascinati in un'avventura senza precedenti, verso uno scontro titanico in cui si deciderà se la specie umana può avere ancora un futuro.
In nessun luogo si sanno raccontare storie come a Damasco, e Salim è indiscutibilmente il suo narratore più famoso. Ma una notte perde la voce a causa di un misterioso incantesimo: muto e inconsolabile, il vecchio cocchiere si rivolge ai suoi più grandi amici perché lo aiutino. Per sette notti saranno loro a narrare di maghi e principesse, del contadino che vendette la sua voce al demonio, della lontana New York, del re bugiardo e della sua collezione di menzogne... fino all'ultima, insospettabile e decisiva storia.
La voce della notte è il più grande successo di Rafik Schami: in testa alle classifiche tedesche per mesi, acclamato in America e in Europa, ci introduce ai misteri di Damasco facendoci scoprire l'antica arte della narrazione e le splendide fiabe della tradizione orientale, capaci di far volare la fantasia come una rondine che torna a solcare il cielo.