Stanbury, un piccolo centro nello Yorkshire del Sud, la patria romantica e selvaggia delle sorelle Brontë. Qui da molti anni trascorrono le vacanze tre coppie tedesche amiche da sempre. Quando la giovane Jessica Wahlberg si aggiunge al gruppo, scopre che l'armonia che sembra regnare sovrana è in realtà una facciata che copre contrasti, odi e paure. Jessica si rifugia sempre più in lunghe passeggiate solitarie in cui le capita di incontrare un inglese bizzarro che vaga senza meta per prati e boschi, sulla spinta di eventi accaduti molto tempo prima e che rivendica la proprietà della villa in cui vivono le tre coppie. Jessica si ritrova così invischiata in una storia cominciata cento anni prima e decide di andare alla ricerca della verità.
"Dopo ventisette anni oggi ti rivedo, madre, e mi domando se nel frattempo tu abbia capito quanto male hai fatto ai tuoi figli". In una stanza d'albergo di Vienna, alle sei di un piovoso mattino, Helga Schneider ricorda quella madre che nel 1943 ha abbandonato due bambini per seguire la sua vocazione e adempiere quella che considerava la sua missione: essere a tempo pieno una SS e lavorare nei campi di concentramento del Führer.
"Don Giovanni ha tutta una famiglia di parenti spirituali, e, anche se sono molto lontani da lui, Icaro o Faust gli sono più simili che non Casanova. La sua fama di seduttore è un equivoco creato dalle donne. Don Giovanni è un intellettuale. Ciò che lo rende irresistibile per le signore di Siviglia, è la sua spiritualità, la sua pretesa di una spiritualità virile, la quale costituisce un affronto, in quanto persegue scopi completamente diversi da quelli che potrebbero essere costituiti dalla donna, e pone, fin dall'inizio, la donna come un episodio - con il noto risultato, certo, che gli episodi finiscono per divorare tutta la sua vita." (Max Frisch)
Cresciuta nella Germania hitleriana, Ursula Rütter Barzaghi ha trascorso i primissimi anni di vita al sicuro, tra le mura della caserma di Lubln, in Lorena, protetta dagli eventi esterni ma non dalla cintura del padre, ex poliziotto violento e dedito al bere, rapidamente inseritosi nelle file dei nazisti. Il precipitare della situazione, e la fine del conflitto, l'hanno gettata poi, insieme alla madre, alle sorelle e al fratello e a milioni di altri tedeschi, nella realtà di un Paese devastato, ridotto alla miseria e che si svegliava dall'incubo peggiore della sua storia. Il padre, nel frattempo, era scomparso "al fronte russo...", lasciando un ricordo doloroso tanto da cancellare persino l'immagine della sua uniforme, quella delle SS.
Hermann Hesse non ha mai scritto un'autobiografia, ma ha affidato la sua visione del mondo a scritti in cui la biografia sconfina nel romanzo. Ne sono esempio i tre testi riuniti in questo volume - "L'infanzia dell'incantatore", "Breve cenno biografico", e "Alla memoria di mio padre" - che restituiscono il ritratto di un "piccolo uomo solitario", un eterno fanciullo capace di guardare le cose con lo stupore intatto dell'infanzia, un "incantato" che vuole farsi incantatore, ricreando dalle rovine del reale un mondo meraviglioso di finzione che si configura come la sola e indiscussa realtà.
È il 1969 e Nathan Zuckerman ha raggiunto il successo firmando un best-seller che racconta le vicende di Gilbert Carnovsky e, ormai passata la trentina, vorrebbe allontanarsi un po' dalle scomode luci della ribalta. Sceglie dunque di rompere con gli amici di lunga data, di separarsi dalla virtuosa moglie e, addirittura, di rinnegare il profondo affetto che lo lega al fratello minore. Intanto, i fans lo identificano in tutto con l'eroe del suo libro ed è diventato il bersaglio di ogni sorta di critico letterario. Anzi, siccome gli omicidi Kennedy e l'uccisione di Martin Luther King non sono molto lontani, Zuckerman rischia di scoprire che la parola bersaglio può avere anche un significato non figurato.
Scritti fra il 1902 e il 1911, i dodici racconti riuniti poi in volume nel 1913 sotto il titolo di uno di essi, "L'assassinio di un ranuncolo", costituiscono sì un'esemplare testimonianza della temperie artistica e spirituale dell'epoca in cui sono stati scritti, ma servono ancor più ad avvicinarsi al mondo espressivo di uno dei maggiori scrittori tedeschi del Novecento, Alfred Döblin (1878-1937), l'autore di quel "Berlin Alexanderplatz" che resta come uno dei romanzi fondamentali del secolo appena trascorso.
Lo scenario si apre su una scena ormai sorprendentemente esotica: la Germania di fine Ottocento, con la sua opulenza terriera e finanziaria, le aspre tensioni sociali, il presagio di una catastrofe lontana ma già palpabile e, in particolare, su tre famiglie, unite da divergenti tradizioni aristocratiche e separate da irreali visioni del futuro. La prima è costituita da solidi "rentiers" ebrei di Berlino, nel cuore del Nord prussiano e protestante; le altre due appartengono "a realtà discordi del Sud cattolico: l'una sonnolenta, rurale, volta al passato; l'altra ossessionata da sogni ecumenici di dimensioni europee". A unirle provvederanno due matrimoni e uno scandalo.
"Malina" è la storia di un abnorme triangolo amoroso e di un abnorme assassinio. Leggibile sui più diversi piani, immediato e insieme carico di riferimenti nascosti, quasi temerario nel toccare anche l'attualità più intrattabile o la più proibita realtà dei sentimenti, questo romanzo narra una storia che ha la massima concretezza, facendola però coincidere con un delirio segreto che appartiene a un'altra realtà, con una favola nera che un mondo visibile potrebbe difficilmente ospitare.
"Il nostro cuore volge al Sud": a ragione è stata scelta come titolo del libro questa citazione, tratta da una lettera di Freud alla moglie da Lavarone il primo settembre del 1900; infatti, benché contempli anche viaggi verso il settentrione (in Inghilterra e in Olanda), nonché un soggiorno in America, questa raccolta epistolare concerne soprattutto una serie di periodi di vacanza trascorsi da Freud in quel meridione - per lui esso comprendeva anche l'Alto Adige e la Svizzera e si estendeva fino alla Sicilia e alla Grecia che, con le sue seduzioni archeologiche, climatiche e gastronomiche, per molti anni egli adottò quale antidoto temporaneo contro la routine logorante della quotidianità nell'amata-odiata Vienna.
"Cronaca di una vita di donna", semplicemente di una generica vita di donna, a rappresentanza di quell'universo femminile che sembra scontare su di sé, nel completo smarrimento dei ruoli di una società in declino, la solitudine e lo svilimento della propria identità personale. Due sono gli elementi principali che caratterizzano questo romanzo: la capacità introspettiva dello scrittore e, insieme, il ritmo inesorabile del racconto.