Il romanzo rivela un episodio semisconosciuto della storia italiana durante la seconda guerra mondiale. Nel 1941, la Cina (in quanto stato nemico del Giappone, membro dell'Asse) diventa nemica dell'Italia. I pochi cinesi nella penisola il governo italiano li fa rinchiudere nell'ex monastero di Isola (ai piedi del Gran Sasso, in Abruzzo), adibito a campo di concentramento. Il campo non ha sbarre, e i guardiani sono piuttosto tolleranti. Malgrado i rapporti con gli abitanti di Isola siano sporadici e difficili, gli internati vengono guardati con rispetto. La vita di questi centosedici individui travolti dalla Storia, cambia con il crollo del regime fascista. Se alcuni decidono di rimanere, altri scappano facendo perdere le proprie tracce, mentre altri ancora si uniscono alla Resistenza. Durante l'evasione un cinese vede "passare l'aereo che avrebbe cambiato tutto", diventando testimone inconsapevole della fuga di Mussolini dal Gran Sasso. L'autore sceglie di non dare la parola agli internati e di farne emergere l'umanità, i ricordi, le paure e i sentimenti attraverso una scrittura precisa, rarefatta, dove ogni parola è pesata, una scrittura capace nella sua pregnanza di catturare e restituire l'inesprimibile che abita in fondo ai cuori di questi come di tanti altri immigrati. L'elenco finale con i centosedici nominativi restituisce ai protagonisti l'individualità cancellata dalla Storia, e che solo il romanzo può riportare in vita.
"Ci sono volte in cui l'assenza di mio padre mi pesa sul petto come se ci stesse seduto sopra un bambino". Così il narratore di questa storia, Nuri el-Alfi, avvia il suo ricordo, e il bambino lì evocato è anche il se stesso di tanti anni prima, un Nuri quattordicenne lasciato a contemplare l'assenza del padre, Kamal Pasha, quando questi viene strappato al suo letto dalla lunga mano del potere di uno stato mediorientale in cui si riconosce l'Iraq degli anni Settanta, per non farvi mai più ritorno. Kamal è un uomo potente ed enigmatico, misterioso tanto nei suoi coinvolgimenti pubblici con le vicende di stato del suo paese, quanto in quelli privati con i componenti della sua famiglia e del suo entourage; un'ombra incombente, sconosciuta e inconoscibile per il figlioletto bisognoso, dal quale è separato da nuovi abissi di distanza e silenzio dopo la morte della triste consorte. La maledetta notte di dicembre del 1972 in cui suo padre sparisce al mondo, perciò, Nuri già conosce bene il vuoto e l'abbandono, e conosce la colpa, per aver tentato di consolare la propria perdita infantile invaghendosi della più intoccabile delle intoccabili, la giovane matrigna Mona, voluttuosa ventiseienne angloegiziana che polarizza i desideri del padre come del figlio sin da quando fa la sua prima apparizione nell'hotel di Alessandria dove i due trascorrono un periodo di villeggiatura. Sarà Kamal a vincerne il cuore e a sposarla, mentre il piccolo Nuri e la sua bramosia si ritroveranno esiliati in un collegio...
Ci sono paesi dove essere se stessi non è auspicabile se ciò che si vuole essere non corrisponde a quello che la società si aspetta. Lo sanno bene le donne, e lo sanno tutti coloro che non si sentono allineati. Nella famiglia di Randa, una delle più autorevoli di Tebessa, per la zia Jamila, innamorata di un francese, ci sono voluti anni, lacrime e la morte del capofamiglia prima di poter vivere il proprio amore. In nome della rispettabilità, Randa non ha mai frequentato il suo quartiere, molto povero, né ha mai potuto pensare di realizzare liberamente se stessa. Un animo delicato, che ama la lettura e la poesia, che si ferma a contemplare la bellezza del mondo e che predilige l'azzurro tenue perché è un invito ad abbandonarsi all'incoscienza, non ha vita facile in Algeria. È così che le convenzioni si perpetuano: un matrimonio combinato, utile alla famiglia, una prima notte di nozze angosciante, a cui ne seguono molte altre. Notti di dovere, da cui il piacere è escluso, perché il piacere è altrove, tra le braccia dell'unico vero amore a cui ha dovuto rinunciare. Né alcun sentimento è richiesto in un legame dove conta solo l'apparenza, e soprattutto i figli. Che arrivano, due, un maschio e una femmina, altre ferite in una vita che si attraversa senza viverla. Ma così sono tutti rassicurati: è tutto normale, tutto sotto controllo. La nota stonata non si sente più. Fino al giorno in cui Randa si trova con un flacone di pillole in mano e una decisione da prendere: scomparire o rinascere...
In una Chicago mitica e solforosa troviamo una piccola Little Egypt in esilio, forgiata sul dipartimento dell'Università di Chicago che l'autore ha conosciuto bene negli anni della sua formazione americana. In questo mondo claustrofobico e formicolante di vite 'Ala al-Aswani intreccia storie di esistenze che si cercano e si perdono. Sono esistenze strappate alla loro terra d'origine che vivono in un universo strano e straniero: la tentazione di conformarsi all'American way of life non è abbastanza. L'Egitto è lì, nel cuore di un'America traumatizzata dagli attentati terroristici dell'11 settembre. Quando viene annunciata la visita ufficiale del presidente egiziano a Chicago, si mette in moto il sistema di sicurezza dell'ambasciata, orchestrato dal temibile Safwat Shaker, che controlla e sorveglia tutti gli egiziani residenti in America. Complotto, manipolazione, proteste di libertà e sottomissione al potere, coraggio e vigliaccheria: al-Aswani trova così l'ampiezza e l'ambizione del romanzo politico e riesce a esprimere la dolcezza dei sogni e la violenza delle contraddizioni del mondo quale lo conosciamo.
Kibbutz Granot. È un inverno piovoso, interminabile. Il buio cala presto, fa freddo e solo il calore dentro le case è capace di consolare. Yoni e Rimona sono due giovani sposi malinconici: lei sogna i figli che non ha avuto, lui il deserto, la fuga. Hava e Yolek invece rimuginano su vecchi rancori e nuove delusioni. Bolognesi, un ex detenuto graziato, un tipo strano ma con delle mani d'oro, lavora a maglia e borbotta frasi incomprensibili. Poi, nell'ennesima sera di pioggia, fa la sua comparsa Azariah, un ragazzo tutto ingenuità ed entusiasmo. Da quella sera, le cose a poco a poco cambiano. Ciascuno sembra andare progressivamente verso il proprio destino. E forse smetterà di piovere. Ambientato alla vigilia della Guerra dei Sei Giorni, nel 1967, "Una pace perfetta" incastona la vita di un kibbntz nella storia d'Israele e nel presente.
A Madrid, nel 1936, Inés si ritrova all'improvviso sola in un momento cruciale per il suo Paese. L'affermazione del Fronte popolare e la situazione politica tesa consigliano a sua madre e suo fratello, attivista nelle file dei falangisti, di tenersi lontani dalla capitale. Sfidando le proprie origini aristocratiche e le idee reazionarie che ha respirato fin da bambina, la giovane Inés comincia a frequentare un gruppo di militanti comunisti e trasforma la casa di famiglia in un ufficio del Soccorso rosso internazionale. Ma quando il sogno repubblicano si infrange, la ragazza viene arrestata a causa del tradimento di un compagno, e si ritrova prima nel famigerato carcere di Ventas, poi reclusa in un convento e, infine, a condividere con la cognata Adela una sorta di prigione dorata in una casa sperduta in mezzo ai Pirenei. Solo due cose la consolano: la scoperta dei piaceri della cucina e l'ascolto notturno della Pirenaica, la radio clandestina del Partito. È così che, nell'ottobre del '44, viene a sapere che l'esercito dell'Unione nazionale spagnola si prepara a invadere la Val d'Aran e a lanciare l'operazione Riconquista della Spagna. Inés capisce che per lei è arrivato il momento di riscattarsi, di agire: in sella al purosangue Lauro e con un carico di cinque chili di ciambelle, vola incontro all'allegria. La troverà, tra le braccia del capitano Galán e ai fornelli del municipio di Bosost, cucinando per il Lobo e i suoi uomini.
Con profondità psicologica e descrizioni cristalline, come un caleidoscopio dell'animo umano, i racconti di Kenaz dipingono affreschi potenti di una società fatta di uomini comuni, personaggi della strada, legati uno all'altro da una rete invisibile di paure, invidie, aspirazioni e vizi, alienati dalla realtà e dipendenti, come burattini, dai fili di un destino imperscrutabile eppure sempre presente con la sua ombra minacciosa, pronto a manifestarsi nelle sue forme più imprevedibili e tragiche.
Sono passati anni dall'ultima volta che Salma ha messo piede nella casa bianca, sulle sponde del Nilo, dov'è nata. Ne era fuggita perché non sopportava più il peso di tutti gli sguardi in cui leggeva solo delusione. Non c'era posto per una ragazza normale nella sua famiglia: avrebbe dovuto essere diversa, speciale, ma non ci era riuscita. Per questo Salma aveva deciso di andarsene, di trasferirsi al Cairo, di iscriversi alla facoltà di Giornalismo e di costruire la propria vita da sola. Ben presto, però, si è resa conto che i nodi che la legano a quel luogo non possono essere sciolti fuggendo, non può esserci un futuro per lei se prima non accetta il proprio passato. Così, ha fatto i bagagli ed è tornata dove tutto ha avuto inizio. Una volta nella sua vecchia stanza, i ricordi dell'infanzia riaffiorano uno a uno, e Salma è costretta ad affrontare ciò che più di ogni altra cosa l'ha spinta ad andarsene: Gamila, la sua migliore amica, quella con cui per anni ha condiviso tutto. Fin da piccole erano inseparabili e diverse: Salma amava essere al centro dell'attenzione. Gamila, molto timida, preferiva rendersi invisibile dietro le spalle dell'amica. Un giorno, però, tutto era cambiato: Gamila se ne era andata, aveva studiato, era diventata una donna indipendente, moderna, era riuscita ad affrancarsi dal mondo ancestrale e magico di sua madre. Mentre Salma era rimasta sola a impilare i giorni uno sull'altro, senza mai viverli davvero. Gamila si era sbarazzata di lei.
Ci sono storie delle quali non potremmo mai fare a meno, storie che ci appartengono come un nome, un destino. Per Natalia, giovane medico in un Paese balcanico uscito dalla guerra, a contare soprattutto sono le storie che le raccontava suo nonno: quella misteriosa di Gavran Gailé, il mitico uomo senza morte; e quella della tigre di Galina, giunta in montagna dallo zoo della Città bombardata a terrorizzare o a sedurre le persone che incontra. E adesso che il nonno se ne è andato - andato a morire lontano da tutto e da tutti in uno sputo di villaggio di là della frontiera - tocca a Natalia provare a far luce sul mistero dei suoi ultimi giorni. E insieme riavvolgere il filo di quelle storie, per ritrovare finalmente il bandolo, doloroso e irrinunciabile, della memoria. "L'amante della tigre" segna l'esordio di una narratrice nata, capace di raccontare, con tocco leggero e una scrittura sensibile alle minime vibrazioni della realtà, cosa vuol dire vivere e crescere in un Paese che ha attraversato la follia e l'orrore della guerra civile. In corso di traduzione in 23 Paesi, "L'amante della tigre" ha conquistato la critica e scalato le classifiche internazionali, proiettando la sua autrice - la più giovane vincitrice nella storia dell'Orange Prize inglese - al centro della scena letteraria mondiale.
Nove donne più una. Nove donne radunate nello studio della loro psicoterapeuta raccontano la propria storia e le ragioni per le quali sono andate in terapia. Lupe, adolescente lesbica, alla ricerca della propria identità tra feste, sesso, droghe e passioni non proprio convenzionali; Luisa, vedova di un desaparecido, che per trent'anni aspetta il ritorno del suo unico amore; Andrea, giornalista di successo che si rifugia nella solitudine di Atacama, il deserto più arido del pianeta, sono alcune delle protagoniste di questo vivace romanzo che parla di donne e di sentimenti. Seppur profondamente diverse per età, estrazione sociale e ideologia politica, scopriamo che le loro esperienze si richiamano e che la vera protagonista del romanzo è la femminilità. Dall'autrice di "Noi che ci vogliamo così bene", un caleidoscopio dell'universo femminile in tutta la sua sfaccettata bellezza.
"Fra gli eteronimi di Pessoa, quello di Antonio Mora resta fra i meno noti e più problematici. Si tratta infatti del personaggio di cui lo scrittore portoghese si serve per fondare e insieme sondare la poetica di due dei suoi eteronimi più famosi, Alberto Caeiro e il suo discepolo Ricardo Reis. Allo stesso modo di Reis, anche Mora viene presentato come discepolo di Caeiro; ma mentre Reis - scrive Pessoa in un abbozzo di prefazione all'edizione, mai realizzata, della sua opera - "ha intensificato e reso artisticamente ortodosso il paganesimo scoperto da Caeiro", il compito di Antonio Mora "è di provare definitivamente la verità, metafisica e pratica, del paganesimo". "Il ritorno degli dèi" viene concepito da Pessoa proprio come prefazione all'opera di Alberto Caeiro e rappresenta, pur nella sua inevitabile frammentarietà, una critica feroce del cristianesimo, sulla scorta certamente della filosofia di Nietzsche, ma con l'ambizione di superarla, di andare ancora oltre quel suo "sapore cristiano che non può ingannare". Del resto, il parallelismo con Nietzsche non si limita a questo; come il filosofo tedesco era morto all'interno di una clinica psichiatrica, Antonio Mora si trova internato, a causa del suo squilibrio mentale, in una casa di cura di Cascáis." (Paolo Collo)