Le storie d'amore non sono così frequenti nell'opera di Kadaré, e questo romanzo ne cela una delle più belle e delle più tragiche. Lul Mazrek, giovane aspirante attore, Vjollcia Morina, bella ragazza impiegata alla banca di Stato, il ministro a capo della polizia segreta dell'Albania comunista, più molti altri personaggi insoliti, si trovano coinvolti in questa vicenda singolare dagli sviluppi enigmatici, ambientata in una stazione balneare del sud del Paese, prima e dopo la caduta della dittatura. I crimini perpetrati nell'ex impero comunista non sempre si manifestano sotto le loro vere spoglie. In quelli - basati su fatti veri - narrati in questo romanzo, l'orrore si traveste pubblicamente da spettacolo teatrale: all'autore provare a svelare come attori e spettatori siano potuti soggiacere insieme alla stessa suggestione quasi ipnotica.
Un piccolo hotel incastonato in una scogliera scoscesa, la spiaggia di ciottoli, il mare indaco: per Sugi, che dopo infiniti fallimenti deve affrontare anche il disonore, è l'approdo cercato - lo scenario ideale per morire. Si è concesso un unico, singolare lusso: tre giorni, il tempo necessario per leggere il resoconto del favoloso viaggio che nel XIII secolo Guillaume de Rubrouck compì attraverso l'impero dei Mongoli. Nulla tranne quel libro lo tiene legato alla vita. Ma l'unica altra ospite dell'albergo, la giovane Nami, nel registrarsi ha indicato come motivo del suo soggiorno «Mors»: forse una criptica richiesta di soccorso, o una sfida lanciata alla sorte. È fatale che fra loro nasca un silenzioso dialogo, che ha la stessa iridescenza del mare in cui entrambi hanno deciso di scomparire. E di astrali rispondenze, impercettibili cataclismi, arcane complicità, beffarde rappresaglie scatenate dai luoghi (come l'abbagliante Giardino di pietra di Kyoto) sono intessuti anche gli altri due, non meno indimenticabili, racconti qui riuniti. Racconti che esplorano, con la sovrana maestria che i lettori del Fucile da caccia ben conoscono, quell'indecifrabile e ingannevole universo che si spalanca dietro la parola «amore».
In Bosnia raccontare si dice "divaniti", dalla radice del turco "divan" sofà, canapé, ottomana - per alludere a un raccontare disteso, lento, da fare (e ascoltare) in compagnia, come un rito. Chi racconta bene è tenuto in grande considerazione, come una specie di eroe nazionale. L'antologia presenta al lettore italiano le prose di diciannove scrittori del Novecento, autori che hanno lasciato una traccia indelebile nella letteratura bosniaco erzegovese del Novecento.
Isabel Dalhousie è una dilettante di filosofia, una detective a tempo perso, una cultrice di belle arti e di teatro. Ma è anche una donna, senza dubbio. E in certe occasioni sente chiaramente che tutto il suo universo morale, così faticosamente costruito, potrebbe crollare sotto i semplici colpi del fascino maschile. Quando, per esempio, incontra l'uomo che avrebbe dovuto sposare sua nipote Cat, anche lei, che pure ha appena finito di stroncare in una recensione un po' stizzita un "Elogio del peccato", cede davanti alla sua bellezza e si trova in una situazione di imprevista e conturbante difficoltà. Ma altre ben più inquietanti prove attendono la simpatica Isabel in questo nuovo libro di McCall Smith: l'incontro con un uomo che ha appena subito un trapianto di cuore e che le confida di essere da quel momento tormentato da ricordi inspiegabili, che sicuramente non gli appartengono, rendono la vicenda davvero complicata e intrigante. E Isabel, come al solito, non si tira indietro: accompagnata dalla fedele Grace, percorre le strade e i salotti più curiosi di una Edimburgo quasi magica, addentrandosi in un'indagine pericolosa e imprevedibile, in cui emergono di nuovo tutta la sua umanità e simpatia, insieme alla capacità di riflettere con semplicità sugli ingredienti essenziali della vita, l'amore, l'amicizia e naturalmente anche la tentazione, che non sempre si presenta sotto forma di cioccolata...
Torino, 1991. Domate le fiamme divampate nel duomo, viene rinvenuto il cadavere carbonizzato di un uomo senza lingua. Un particolare che mette in allarme il capitano dei carabinieri Marco Valoni, che inizia a sospettare che l'incendio non sia stato causato da un corto circuito. Coadiuvato dall'affascinante storica dell'arte Sofia Galloni e da una giornalista spagnola, si mette sulle tracce di una ristretta élite di uomini colti, raffinati, ma soprattutto di grande potere, che sembrano nutrire un particolare interesse per il lenzuolo con l'immagine del Cristo sofferente. Valoni dovrà ripercorrere l'intera storia del Sacro Lino, tra complotti e miracoli, eresie e Crociate, apostoli e Templari, mentre presente e passato si fondono in un thriller ingegnoso ed entusiasmante, in una storia che sembra avere molti misteri da svelare. Tradotto in 15 lingue, La fratellanza della Sacra Sindone è stato un bestseller assoluto in Spagna e nel mondo, con oltre un milione di copie vendute, tanto da essere considerato l'erede più autentico del Codice da Vinci di Dan Brown.
Russia, anni Novanta: in un angolo remoto degli Urali un televisore continua a trasmettere immagini di un'altra storia, in cui il comunismo non è mai finito e ancora si celebrano i congressi del Pcus. Il destinatario di queste immagini è Aleksej, un veterano della seconda guerra mondiale, che un ictus ha trasformato in "un articolo difettoso della morte", un essere chiuso senza via d'uscita nel proprio corpo. Decise a conservare "la sostanza dell'epoca", Nina, la moglie, e Marina, la figlioccia, vivono in bilico tra l'ipocrisia e l'arrivismo della nuova Russia, e il sicuro, immobile tempo che ristagna nella camera da letto del veterano. Aleksej diventa cosi il centro di una dimensione in cui il presente non accade e il passato non passa più. Eppure, sembra dire il protagonista dal chiuso della sua prigione, forse la realtà, quella esterna, bisogna alla fine affrontarla come è. Al punto da reclamare anche il proprio diritto alla morte, che avendo lasciato l'opera a metà lo ha reso un immortale per caso. Da una delle più promettenti scrittrici della Russia contemporanea, un'esplorazione del tempo e della morte, una riflessione, condita di gogoliana ironia, sulle contraddizioni della Russia moderna, e una ricerca della sua "autenticità" perduta.
"Fuga dalla paura" di Irena e Henryk Zeligowski è un libro doppio. Nel senso che si può cominciare a leggere da una parte e poi, semplicemente girandolo, incrociare l altra storia. Un artificio grafico con due diverse copertine, per rendere l'idea delle due storie che camminano parallele e poi, a un certo punto, si incontrano. Sono le storie di Irena e Henryk, 2 ebrei sopravvissuti alla Shoah. Irena prima braccata e poi in fuga dal ghetto di Varsavia, Henryk in fuga dal ghetto di Kalisz, città di frontiera con la Germania. Ora medici in pensione, vivono in un quartiere nei pressi di Tel Aviv. Per anni non hanno raccontato la loro storia, fino a quando, Giulia, la loro nipotina che vive in Italia, studiando a scuola la storia degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, ha chiesto ai suoi nonni di raccontarle la loro storia. Irena e Henryk hanno incontrato la classe di Giulia e tanti altri bambini. Hanno così capito l'importanza di ricordare e raccontare per lasciare memoria perché non accada o continui ad accadere che ai ragazzi venga rubato il loro futuro.
In questi scritti e interviste il grande scrittore messicano si sofferma sul carattere dirompente della letteratura che definisce "l'atto culturale più sovversivo che esista e l'unico spazio che sta ancora producendo pensiero utopico". Paco Ignacio Taibo II parla anche dei suoi personaggi, delle sue letture, del suo romanzo impossibile e interminabile. "Credo nella letteratura, scrive, e in sua madre il romanzo, col fervore di un fondamentalista eretico, un super tifoso del calcio, un gruppettaro del rock. Credo che non esistano i classici, le letture obbligatorie o alla moda. Credo che il Parnaso non esista e che se esistesse sarebbe una taverna messicana i cui portieri non sarebbero Octavio Paz o i membri del comitato svedese del Nobel".
Il 16 ottobre 1998, su mandato del giudice spagnolo Garzón, il dittatore cileno Pinochet viene arrestato a Londra con l'accusa di genocidio, terrorismo e tortura. Negli articoli raccolti in questo volume, scritti tra il 1998 e il 2003, Luis Sepúlveda ci racconta le fasi successive della vicenda e le sue reazioni, e insieme ripercorre con lucidità la storia cilena dal golpe dell'11 settembre 1973 sino all'attuale "democrazia vigilata". Affidandosi alla scrittura, come unico strumento per mantenere viva la memoria storica e civile, Sepúlveda vuole rendere giustizia al suo Paese e lo fa non solo attraverso la cronaca di quegli anni, ma anche attraverso il resoconto di vicende personali: le battaglie e l'esilio, i sogni e le disillusioni, gli amici perduti e quelli ritrovati, gli incontri e i ricordi.