
Quando nel febbraio del 1568 il giovane esploratore Alvaro de Mendana scoprì le isole Salomone, non poteva certo immaginare che quell'intero arcipelago sarebbe scomparso dalle mappe per oltre duecento anni. Una volta ripartito, infatti, l'equipaggio scampò per miracolo a un uragano e, quando le acque si calmarono, non fu più possibile ricostruire la rotta. A nulla servì consultare i diari di bordo: longitudine e latitudine erano state assegnate con estrema approssimazione. Quando trent'anni dopo Mendana provò a ritrovare le isole scomparse, la spedizione fu un disastro: l'avventuriero perse la vita insieme a tre quarti dell'equipaggio. A quei tempi affrontare il mare aperto, nonostante l'ausilio di bussole e carte nautiche, voleva dire esporsi a rischi terribili. È solo nel XVIII secolo, con l'invenzione del sestante, che i naviganti iniziarono a calcolare l'altezza degli astri rispetto all'orizzonte, e a stabilire quindi con precisione la latitudine del punto in cui si trovavano sulla base di un principio ottico. Metà cannocchiale e metà astrolabio, il sestante ha condensato secoli di sviluppo tecnologico, accelerando il corso della modernità e modificando la nostra percezione dello spazio e del tempo. Dall'istituzione della Royal Society di Londra nel 1660 al problema della determinazione della longitudine: dal quadrante di Davis a John Hadley, e fino alla missione scientifica dell'Endeavour di James Cook, che nel 1768 parte con l'obiettivo di esplorare il Pacifico del sud...
La voce di Walter Bonatti ci guida ai confini del mondo, dall'Alaska all'Africa, dalla Patagonia all'Oceania. Documenti e appunti inediti, mappe e disegni raccontano in presa diretta le emozioni, gli incontri e gli imprevisti delle sue esplorazioni.
La campagna romana è uno di quei luoghi e di quei nomi che più di altri suscitano ed evocano un fascino incredibile e straordinario. In particolare, per tutto il XVIII° e XIX° secolo quei luoghi incantati fecero sognare e furono motivo e ragione di un viaggio per intere generazioni di poeti, pittori e scrittori che andavano alla ricerca di una natura e di un paesaggio incontaminati oltreché delle vestigia e delle testimonianze delle antiche civiltà che quei luoghi e quelle contrade avevano a lungo abitato e reso così splendide. Nacque così il fenomeno del Grand Tour che ebbe nell'Italia e nella Campagna Romana una tappa fondamentale ed imprescindibile per tutti coloro che lo intraprendevano per trovare le ispirazioni alla base delle loro produzioni pittoriche e letterarie. Chateaubriand, Goethe, Zola, Poussin, Corot, Hackert (solo per citarne alcuni) lasciarono tracce indelebili nei loro scritti e nei loro dipinti di quei luoghi così desolati ed abbandonati ma quantomai ricchi di straordinarie bellezze artistiche ed archeologiche. Il paesaggio naturale e bucolico modificato anche dall'opera dell'uomo oltreché dalla natura, i resti degli antichi acquedotti, delle ville, dei sepolcri e dei monumenti che ancora oggi si possono osservare ed ammirare seppure come isole non in mezzo al mare ma fra le edificazioni troppo spesso invasive, sono raccontati e descritti dall'autrice del volume che li presenta al lettore provando e cercando di stimolarne la curiosità alla loro scoperta e conoscenza.
"La via sulla Est del Petit Capucin era stata ripetuta pochissime volte, e la mia speranza era di trovare con un po' di fortuna uno dei chiodi originali piantali dallo stesso Gervasutti e rimasti in parete ad arrugginire per quasi mezzo secolo. Ciò che stavo per compiere - ed era ciò che più mi eccitava era il ritorno su antiche tracce alpinistiche ormai quasi dimenticate. Era l'esplorazione di un'antica esplorazione". Marco Albino Ferrari ripercorre le strade di quegli uomini e di quelle donne che attratti dall'ebbrezza dell'ignoto si sono spinti nei luoghi inesplorati della Terra: montagne, oceani, ghiacciai, spazi inliniti. I passi di Walter Bonatti, quelli di Reinhold Messner, di Bill Tilman, di Ninì Pietrasanta e Gabriele Boccalatte, di Eric Shipton, degli ultimi esploratori del Novecento. Un inconsueto cammino attraverso il Monte Bianco, le cime della Patagonia e dell'Africa equatoriale, fino all'Everest e a Capo Horn, per far ritorno sulle Alpi. Ne esce una lettura intimamente interrogativa, popolata di bufere, di sorprese, di difficoltà con, sullo sfondo, le questioni cruciali che investono l'uomo di fronte agli ultimi spazi selvaggi del pianeta.
Il fascino del Tor des Géants consiste nella consapevolezza di non avere la forza per ripeterlo. Il ricordo del Tor traccia, da un lato, i limiti delle proprie debolezze, rimarca, dall'altro, l'eccezionalità di quanto compiuto. Il Tor des Géants (Giro dei Giganti in lingua patois) è la gara di corsa in montagna più dura del mondo: 330 chilometri lungo le due Alte Vie della Valle d'Aosta, con un dislivello positivo di 24.000 metri, da percorrersi nel tempo limite di 150 ore. Giganti sono le montagne, ma forse anche coloro che decidono di lanciarsi in una sfida tanto affascinante, quanto temeraria. Ma qual è la vera sfida? Vincere il Tor giungendo al traguardo di Courmayeur, o realizzare il proprio sogno di avventura, vissuto da persona assolutamente normale? "Il diario di viaggio scritto da Cesare Lombardo - dice in prefazione Filippo Grimaldi - è una storia dove lo sport è indissolubilmente figlio dell'empatia fra le persone e della loro condivisione di valori autentici". Questo libro vuole celebrare non un'impresa sportiva, ma un'irripetibile esperienza anche interiore, vissuta tra il silenzio delle montagne e la rassicurante voce dell'amicizia.
Il Messico è il paese dei contrasti estremi. E all'estremo di tutto, c'è Mahahual: dove finisce la penisola dello Yucatán, sorge questo paesino di mille abitanti, a pochi chilometri dalla frontiera con il Belize. Angolo di paradiso tra palme e mangrovie, di fronte ha la barriera corallina seconda al mondo per estensione, il Mar dei Caraibi e lo scorrere lento del tempo: siamo nello stato del Quintana Roo, che a nord vanta la celebre Cancún, mentre qui c'è l'opposto assoluto, non solo geografico, perché a Mahahual il cemento non ha ancora invaso la vista, tra casupole, palafitte e hotel con il tetto di palme. Ma un'insidia minaccia costantemente questi litorali: per un capriccio delle correnti oceaniche, la plastica vi arriva da tre continenti, e ogni mattina all'alba, una miriade di volenterosi la raccoglie dalle spiagge, rendendole splendidamente bianche e pulite per un altro giorno, in un incessante "mito di Sisifo". Mari e terre ricchi di storia e leggende, dove i corsari ingaggiarono sfide mortali con i dominatori spagnoli, e i fieri maya non si lasciarono assoggettare da nessuno dei contendenti stranieri. Qui si narra di Gonzalo Guerrero che si schierò con gli indios, di Diego Grillo, il Mulatto, che si unì a Francis Drake per odio contro chi lo fece nascere schiavo, di Elvia Carrillo Puerto, indomita ribelle, che non attese la Revolución per affermare la propria libertà individuale e gli ideali di emancipazione collettiva.
"Entrai in uno spazio, in un tempo, in una dimensione completamente nuovi. Mille anni si comprimevano in un giorno e ogni mio passo durava secoli. Le querce del deserto sospiravano e si chinavano su di me, come se avessero voluto afferrarmi. Le dune andavano e venivano, sempre uguali. Le colline si innalzavano verso il cielo, e poi scivolavano dolcemente in basso. Le nuvole ondeggiavano nel cielo, sparivano, ritornavano di nuovo. E sempre la strada la strada la strada la strada."
A volte a piedi, a volte in treno, a volte in corriera, sempre con gli scrittori amati nella valigia: cosi Ceronetti viaggiò per l'Italia in un periodo di circa due anni, fra il 1981 e il 1983, ispirato da Giulio Einaudi che aveva intuito sposarsi molto bene la sua indignazione satirica con il resoconto di viaggio. Ceronetti attraversa grandi città e piccole località di provincia, visita piazze, monumenti, musei, ma anche carceri, cimiteri, distretti di polizia, manicomi. Annota i manifesti affissi sui muri, le insegne dei negozi, e denuncia le volgarità che lo feriscono. Ma il libro non è solo un reportage splendidamente fazioso. E anche un taccuino affollato di pensieri, di citazioni, di idiosincrasie. Un'enciclopedia caotica da cui attingere il pensiero di Ceronetti: sempre spiazzante, apocalittico, divertente. Con un'appendice di testi inediti e una nuova prefazione dell'autore.
"Il 26 dicembre del 1997, il giorno in cui fui soccorso, realizzai molte cose sul ruolo dell'elicottero e dei piloti in alta quota. La prima, e più importante, è che mi avevano salvato la vita." Forse fu in quella fine '97, il momento più tragico della sua vita, quando scese sanguinante e tumefatto dall'Annapurna, dove una valanga gli aveva strappato via per sempre i suoi due compagni. O forse fu un anno dopo quando volò nell'ex Urss sugli MI-17, bestioni rumorosi con le scritte in cirillico. Simone Moro non ricorda esattamente quando è scoccata la scintilla, ma sa per certo che quella che ci racconta in questo libro è una passione intensa e travolgente. Definirla a parole non è facile: unisce la vertigine del volo, il richiamo delle vette più alte della Terra, la sfida con se stessi e il desiderio di aiutare gli altri. Però Simone ha saputo metterla in pratica con grande concretezza, acquistando di tasca propria un elicottero e organizzando un servizio di elisoccorso in Nepal rivolto soprattutto alle popolazioni locali delle valli più remote. La sua profonda conoscenza della regione himalayana, la sua esperienza di scalatore e la sua competenza di pilota hanno potuto e potranno infatti salvare tante vite, messe a repentaglio, in quell'ambiente tanto affascinante quanto talvolta ostile, da una banale frattura o da un parto difficile. Prefazione di Reinhold Messner, postfazione di Maurizio Follini.
Questo libro è una guida che ci accompagna fra le onde agitate e spesso ambigue di quel continente affascinante e insieme oscuro che è la Turchia odierna, la nazione orgogliosa e - apparentemente - compatta che è nata novant'anni fa dalle ceneri del dissolto impero ottomano. In realtà, la Turchia è un mosaico: e questo non tanto per la sopravvivenza, al suo interno, di quelle ormai esigue minoranze cristiane (armeni, greci, siriaci) che apparivano fino a qualche tempo fa addirittura vicine alla totale estinzione, ma per la presenza delle numerose minoranze musulmane come i curdi e gli aleviti.
Due amici in bicicletta da Tblisi a Yerevan, percorrono il tratto armeno dell'antica Via della Seta. Un itinerario a volte docile, ma spesso duro e aspro. L'incanto delle valli e delle montagne fanno da sfondo ad ogni pedalata fino all'arrivo. Il viaggio acquista il lussureggiante fiorire di situazioni negli incontri con persone e luoghi visitati che lasciano il segno nel cuore e nei sentimenti dei due cicloturisti. Dietro ogni pedalata sorge un'intima conoscenza di un Paese e di un popolo a conferma che le "storie quando passano attraverso le gambe assumono un significato di grande umanità". Fotografie, mappa e descrizione dei luoghi visitati rendono il libro una possibile guida.
Nel 1934 Patrick Leigh Fermor ha diciannove anni, e già da alcuni mesi si è lasciato alle spalle l'Inghilterra e un curriculum scolastico scellerato con il fermo proposito di raggiungere a piedi Costantinopoli, vivendo "come un pellegrino o un palmiere, un chierico vagante", dormendo nei fossi e nei pagliai e familiarizzando solo con i suoi simili. "Fra i boschi e l'acqua" è il racconto della seconda parte di quel viaggio, e prende avvio dal punto esatto in cui era terminato "Tempo di regali": il ponte di Maria Valeria, al confine tra Cecoslovacchia e Ungheria, che di lì a dieci anni sarà minato dai tedeschi in ritirata e mai più ricostruito fino al nuovo millennio. Ma i mille chilometri successivi - dalla Grande Pianura ungherese, lungo il corso del Tibisco e del Maros e attraverso la Transilvania, fino alle Porte di Ferro, dove collidono i Carpazi e i Balcani - aprono una parentesi idilliaca e precaria nel secolo più violento della storia: il ritmo del viaggio rallenta, il passo si fa più pigro, la percezione del tempo svanisce, come in "un felice e gradito incantesimo". Leigh Fermor racconta incontri con cervi e boscaioli, ritrae manieri isolati e villaggi di montagna, fienagioni e favolose biblioteche, rievoca notti passate sotto le stelle e amori estivi, riferisce leggende di spiriti, fate e lupi mannari e conversazioni con un'aristocrazia votata all'estinzione.