
"Chi è Johann Peter Hebel?" si chiedeva Martin Heidegger. "Hebel è lo Hausfreund" (l'amico delle famiglie). "Hausfreund, una parola semplice, ma dal profondo e vasto significato. Hausfreund è il nome di colui che noi definiamo un poeta. Lo Hausfreund non vuole né istruire né educare, egli lascia al lettore la sua libertà, affinché pervenga da sé a quella apertura all'essenziale... Lo Hausfreund si protende per parlare con noi." (da M. Heidegger) Certo se l'opera di Hebel non è ancora acquisita alla cultura italiana, molto si deve all'enorme difficoltà di volgere in qualsiasi altra lingua il suo tedesco inimitabile. Le presente versione reca il testo a fronte.
Composto fra il 1672 e il '75 in un sotterraneo a Pustozërsk dove il suo autore, incoercibile guida spirituale dei "Vecchi credenti" ribelli alle innovazioni liturgiche e religiose che sconvolsero la Russia del '600, attendeva il martirio, questo libro circola manoscritto per due secoli, rimanendo quasi sconosciuto; scritto in volgare russo, solo a tratti cosparso di slavo ecclesiastico colto, utile in brani di polemica teologica, rappresenta il primo e fondamentale capolavoro letterario della lingua russa - paragonabile per importanza e anche per vigore di immaginazione alla "Divina Commedia" per l'italiano - e, insieme, un episodio paradossale nella storia della cultura e della comunicazione scritta: quello di un'opera decisiva nell'evoluzione della lingua sempre rimasta al di fuori dei circuiti di diffusione creati dall'affermarsi della stampa a caratteri mobili. Scrive Pia Pera in introduzione: "Se non fosse stato per le persecuzioni e la censura a cui furono sottoposte le opere dei vecchi credenti, con la "Vita" il russo avrebbe potuto avere il capolavoro che l'avrebbe fissata come lingua letteraria". Un'occasione straordinaria d'incontro con l'irriducibile peculiarità culturale russa, offerta fra pagine in cui il divino, il demoniaco e il meraviglioso contendono senza tregua, senza esclusione di colpi e senza trascurare lo scontro fisico, le bastonate, l'uso, magari, a scopi ultraterreni, di un grasso piatto di zuppa di cavoli.
Maria Antonietta, gravata a 14 anni del fardello dell'etichetta, osteggiata e dileggiata a ogni passo, sembra addensare su di sé la vendetta della Storia che esige una vittima sacrificale e sceglie la più ingiusta. Tutto il secolo XVIII si coalizza contro di lei sino a ridurla a vedova Capeto, disegnata con astio da David sulla carretta che va al patibolo. Alle ombre della storia risponde la veemente eloquenza di Bloy, proiettandole su una scena ulteriore, metastorica, dove l'apparizione di Maria Antonietta si impone come "dimostrazione di una qualche legge misteriosa".
Un mistery e, allo stesso tempo, una sensuale storia d'amore ambientata tra i costruttori delle grandi cattedrali del medioevo. Azioni, colpi di scena e oscure passioni sullo sfondo di un'era ricca di intrighi e tradimenti, pericoli e minacce, conflitti e lotte spietate per la conquista del potere.
E' un libro di racconti scritti fra il 1959 e il 1972. Così Sciascia stesso: "... mi pare di avere messo assieme una specie di sommario della mia attività fino ad ora e da cui vien fuori... che in questi anni ho continuato per la mia strada, senza guardare né a destra né a sinistra (e cioè guardando a destra e a sinistra), senza incertezze, senza dubbi, senza crisi (e cioè con molte incertezze, con molti dubbi, con profonde crisi); e che tra il primo e l'ultimo di questi racconti si stabilisce come una circolarità". Una circolarità che non ha per nulla intaccato, e anzi esalta, la felicità e l'efficacia delle storie qui riunite come in un breve compendio delle molte voci narrative di Sciascia.
Il protagonista de La morte d'oro incarna, nella sua ricerca di perfezione, un ideale di bellezza insolito nell'estetica dell'autore, così inusitato da indurre poi lo scrittore a rinnegarlo. Ma è proprio a quest'opera che Mishima Yukio dedica un saggio pochi mesi prima del suicidio nel 1970. Un testo che diviene riflessione teorica sull'estetica del narcisismo, cioè sulla tentazione dell'artista di fare di se stesso l'oggetto dell'arte. Quando ciò si realizza, al protagonista de La morte d'oro, come a Mishima, non resta altra soluzione che la morte sublime. L'atto finale non può che essere il suicidio, la "bella morte".
E' la storia di un vecchio pescatore che a Scano Boa "in cima" al Delta del Po, vive l'ultima disperata avventura: la pesca dello storione. E' ancora una sconfitta e decide di morire. Sulla chiatta che trasporta la sua bara, una donna, raccolta lungo il tragitto, partorisce il suo bimbo. La vita e la morte, a Scano Boa, si accordano.
Il tema della scuola e dell'educazione, legato a quello della formazione di un modello di sviluppo sociale nella nazione appena creata, dove restavano da fare gli italiani, si esprime in tutta la vasta opera dell'autore, proponendo personaggi, situazione, problematiche coraggiosamente affrontate in linea con i dibattiti culturali del tempo. Oltre a Cuore, il volume include Amore e ginnastica, Cinematografo cerebrale, Primo maggio e le novelle Carmela, Furio, La maestrina degli operai.
Nella primavera del 1944, in una Trieste occupata dall'esercito tedesco e lacerata dall'odio tra italiani e sloveni, due pacifici sposi vengono barbaramente trucidati. Trent'anni dopo uno scrittore, dopo aver ritrovato uno strano gruppo di lettere, prova a ricostruire la misteriosa vicenda.