
"Auspico una crescita di oggettivazione per questa poesia, e l'oggettivazione in poesia è azione, dramma, sensous thought, ma intanto ne registro la riuscita fedeltà al compito di un poeta: suscitando un mondo toscano non paesaggistico ma immaginale (il faro Luzi, il faro Cavalcanti con il suo ardere aspro e devastante, le mute e parlanti visioni di Pinocchio, una Toscana lucidamente onirica, hillmanniana accanto alla metafisica silente di Carrà e De Pisis), il poeta, alla fine, ci fa quasi dimenticare il tema per la fiamma azzurra con cui lo attacca e attraversa, e ci lascia feriti e speranti." (Roberto Mussapi)
Prefazione di Franco Buzzi Presentazione di Mario Furlan «Apro questo libro di poesie e mi trovo immediatamente immerso nel mondo della natura e dei sentimenti umani più genuini. Il poeta abita “sotto il cielo“ che contiene tutto: colori, nuvole, venti, voli d’uccelli, montagne, foglie, fiori e farfalle, spiagge, mari, il sole radioso e la bianca luna con le stelle, piogge torrenziali, tempeste e neve, albe e tramonti. Ma il poeta senza fissa dimora conosce bene anche la disperazione di chi si lascia andare e cerca evasione sulla strada senza ritorno della droga che uccide: pieno di umana compassione contempla quel corpo esanime che viene raccolto – quasi come spazzatura – dal marciapiede, quel giovane volto rinchiuso nella sua giacca a vento e portato via, in silenzio, tra l’indifferenza di tutti. Il pensiero corre al sordo dolore di una famiglia. Tra l’altro, in tutti questi testi poetici, gli affetti familiari restano sempre saldi e fanno da solida cornice a tutti i drammi dei protagonisti». (dalla prefazione di Franco Buzzi)
Il libro si compone di una quarantina di testi, di media lunghezza o brevi, che si suppongono scritti da Vivien Leigh (1913-1967), celeberrima attrice teatrale e cinematografica (vinse due premi Oscar per le interpretazioni di Rossella O’Hara in "Via col vento" e di Blanche DuBois in "Un tram che si chiama desiderio"), nota altresì per essere stata la seconda moglie di Laurence Olivier.La cornice finzionale situa la composizione di questo diario poetico all’altezza dei primi anni ’60, tempo nel quale la Leigh, affetta da ricorrenti crisi maniaco-depressive nonché da una grave forma di tubercolosi, fu costretta a sottrarsi per lunghi periodi dalle scene, per ritirarsi nel buen retiro di Tickerage Mill, un’ampia tenuta nella campagna del Sussex.I tre tempi della raccolta scandiscono le tappe principali di un itinerario autoriflessivo che, una volta delineato il paesaggio esteriore - Tickerage Mill, appunto, e le sue propaggini - ed interiore che funge da scenario al dramma dell’attrice, affronta di petto i nuclei oscuri dell’amour fou, riletto nella prospettiva dolorosa dell’avvenuto distacco, e dell’incedere della follia, per sfociare in accenti di accorata meditazione sulla morte incombente e sul destino tragico.Il ricorso all’artificio dell’apocrifo, consente, fra l’altro, di accentuare l’orizzonte peculiare di interrogazione della voce poetante che in modi talvolta nascostamente iper, talvolta evidentemente anti-letterari, mette sempre di nuovo in dubbio la propria identità polimorfica e cangiante.
Da quando Cesare Pavese la presentò nel 1941 nella bella traduzione di Fernanda Pivano, Spoon River Anthology non ha conosciuto soste nella fortuna presso il pubblico dei lettori italiani. E il segreto sta probabilmente nella poetica, universale verità dei personaggi di quella che è stata definita la commedia umana degli Stati Uniti. Spoon River è qualcosa infatti tra la lirica e la narrativa. La storia di una piccola città americana con le sue mille vite, ognuna chiusa nel suo dramma e raccontata attraverso le lapidi del suo cimitero. Con testo a fronte.
"Tu che mi ascolti" riunisce, in un insieme organico, le poesie che Bevilacqua ha dedicato alla figura materna nell'arco di una vita che il poeta definisce "duetto per voce sola", non interrotto oggi, a due anni dalla morte della madre. Stesso titolo per questa silloge e per il testo narrativo pubblicato lo scorso anno: registrazione degli eventi che hanno segnato una vita a due. Convinzione del poeta, infatti, è che la fine tangibile di un essere amato non spezza, in chi gli è stato alter ego, il legame relazionale: può tradursi in una sorta di misteriosa, comunicativa resurrezione.
Come ha scritto Silvio Ramat nel suo ampio saggio introduttivo, l'opera in versi di Alfonso Gatto, qui interamente riproposta, è stata sicuramente "un'avventura espressiva tra le più originali del Novecento italiano". Nella sua "vitalità ariosa e costruttiva", Gatto ha saputo attraversare movimenti e tendenze d'avanguardia, come l'ermetismo, di cui è stato tra i protagonisti, conservando intatta la propria natura e la propria vocazione di poeta melodista che ha saputo rappresentare in una straordinaria varietà cromatica il suo sentimento dell'esistere. Un poeta, come ha scritto Gianfranco Contini, dalle "immagini vertiginosamente analogiche", un surrealista legato a quell'intrico di impressioni che gli ha fornito la sua terra.
Docente universitario a Genova, poeta egli stesso, Enrico Testa ha raccolto in questo volume testi di più di quaranta tra poeti e poetesse italiani del secondo Novecento. Ne esce un panorama sfaccettato che assume non tanto le tradizionali partizioni storicistiche della materia (scuole, correnti, categorie) quanto un impegno chiaramente saggistico, che tiene conto degli aspetti linguistici, del rapporto tra il lirismo tradizionale con le altre soluzioni che lo mettono in discussione.
"Hanno questo di proprio le opere di genio, che quando anche rappresentino al vivo la nullità delle cose, quando anche dimostrino evidentemente e facciano sentire l'inevitabile infelicità della vita, quando anche esprimano le più terribili disperazioni, tuttavia ad un'anima grande che si trovi anche in uno stato di estremo abbattimento, disinganno, nullità, noia e scoraggimento della vita, o nelle più acerbe e mortifere disgrazie (sia che appartengano alle alte e forti passioni, sia a qualunque altra cosa); servono sempre di consolazione, riaccendono l'entusiasmo, e non trattando né rappresentando altro che la morte, le rendono, almeno momentaneamente, quella vita che aveva perduta". (G. Leopardi)
Ricardo Reis, che si ispira all'Orazio delle Odi, è un epicureo malinconico che cerca, finché non terminerà, se mai terminerà, il dominio dei barbari (cioè dei cristiani) l'illusione della libertà e della felicità tenendosi lontano da ogni eccesso nel dolore e nel piacere. Crede davvero agli antichi dèi greci, pur riconoscendo Cristo come Dio in più. Aspira all'equilibrio, al dominio delle passioni, alla serena accettazione del destino, cose che mancano del tutto in Pessoa uomo e poeta, e che anche in Reis sono minacciate dal pensiero del fato, della vecchiaia e della morte inesorabili. Ma è soprattutto uno straordinario poeta: secondo la definizione di Pessoa, "un Orazio greco che scrive in portoghese".
Questo libro è una raccolta di poesie di Silvio Ramat. Fiorentino di nascita, l'autore insegna dal 1976 letteratura italiana contemporanea nell'Università di Padova. La sua attività di studioso è stata premiata nel 2001 dall'Accademia dei Lincei.