Che cos’è la verità e, più in particolare, quali sono le caratteristiche della verità etica? La prima parte del volume prova a misurarsi con questa difficile questione, chiamando in causa i testi fondamentali della tradizione filosofica occidentale, da Aristotele sino ai contemporanei.
Nella seconda parte del volume, invece, si discute del presunto valore assoluto della regola del “dire la verità” e delle sue possibili eccezioni. I protagonisti di questa seconda parte sono Omero, Platone, Agostino, Kant, Constant e alcuni bioeticisti contemporanei.
La terza parte, infine, è dedicata a un intenso colloquio con il filosofo Paul Ricœur sul tema della verità, nei suoi più diversi aspetti.
Il lavoro è un tema che appare sempre più attrarre gli studi filosofici. In particolare, emerge oggi la tendenza a non valutare il lavoro solo dal punto di vista del risultato e in termini di efficienza. Vi alludono già un insospettato F. Nietzsche (Così parlò Zaratustra), per il quale il lavoro può divenire un agire perfettivo (praxis teleia, in Aristotele) un bene e un fine, e non solo mezzo: «cercasi lavoro per un salario: in ciò tutti gli uomini sono uguali; per tutti il lavoro è mezzo e non fine in sé [...]. Esistono però uomini rari che preferiscono morire, piuttosto che mettersi a fare un lavoro senza piacere di lavorare: sono quegli uomini dai gusti difficili, di non facile contentatura, ai quali un buon guadagno non serve a nulla, se il lavoro stesso non è il guadagno dei guadagni». A Nietzsche si aggiunge Ch. Péguy (Il denaro): «un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice ad un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta [...]. Non occorreva fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone, ma essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura [...]. Un assoluto, un onore, esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva doveva essere lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano». È chiaro però che il fine in sé non è tanto il lavoro, in quanto ben fatto, ma il retto amore verso sé stessi, quando ci si mette in gioco, nel lavoro ben fatto al servizio degli altri. Il lavoro è formativo della persona. In occasione del 500º anniversario della Riforma protestante, il Convegno The Heart of Work (Roma, 19-20 ottobre 2017), organizzato dalla Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce e dal centro di ricerca Markets, Culture and Ethics, ha cercato di approfondire l'idea cristiana del lavoro professionale. Con gli scritti raccolti in questo secondo volume degli Atti del Convegno The Heart of Work si vuole offrire un contributo filosofico allo sviluppo di un'anima del lavoro professionale. In vari contributi del volume emerge la figura di san Josemaría Escrivá (1902-1975), che ha indicato nella santificazione del lavoro il cardine della santità nella vita quotidiana. Emerge la presenza della stessa theoria, nell'esercizio del lavoro, che già Aristotele preconizza, quando include la tekne tra le virtù intellettuali (dianoetiche): la possibilità di ideare e contemplare il progetto dell'opera, prima ancora della sua realizzazione. La "contemplazione" nel lavoro si può poi sviluppare ed estendere in diversi ambiti, ivi quello religioso.
Negli ultimi decenni le nostre società sono diventate più repressive, le leggi più severe, i giudici più rigidi, e questo senza che ci sia alcun legame diretto con la criminalità. Didier Fassin si sforza di cogliere, con un'analisi genealogica ed etnografica, la posta in gioco di questo momento punitivo. Per farlo, è necessario aggiornare quello che sappiamo sulla stessa "strana pratica, e la singolare pretesa, di rinchiudere per correggere, avanzata dai codici moderni" di cui parlava Foucault. Quella nuova tecnologia chiamata punizione. Che cosa c'è da punire? Perché abbiamo bisogno di imporre punizioni? E contro chi? Queste tre domande disegnano il campo di un dialogo critico tra la filosofia morale e le teorie del diritto. Con un'indagine sulle diverse configurazioni della punizione nella storia e nelle nazioni, Fassin mostra che non sempre il crimine è stato disciplinato da sofferenze inflitte per legge e che non necessariamente la punizione appartiene a logiche razionali, usate per legittimarla. Per di più, l'inasprimento delle pene e la disuguaglianza nella loro distribuzione rendono la società meno sicura e meno giusta. Quello di Fassin è un saggio attualissimo in tempi di trionfo del populismo, perché offre gli strumenti per una revisione delle premesse che alimentano la passione punitiva e invita a ripensare la sua collocazione nel mondo contemporaneo.
I testi di Georg Simmel, qui presentati, appartengono all'ultimo periodo della sua produzione filosofica (1916-1918) e riprendono il tema della storia che già era stato trattato nei "Problemi della filosofia della storia", la cui terza edizione del 1907 - la più importante - mette in discussione l'impianto dello storicismo contemporaneo tedesco. Poi, per un decennio, la riflessione sui problemi storici viene abbandonata. Questa riemerge in virtù di due eventi che determinano il pensiero simmeliano: la filosofia della vita e la produzione estetica, soprattutto con il Goethe e il Rembrandt. Ma non va nemmeno dimenticato l'ambiente bellico in cui tali riflessioni si svolgono. "Il problema del tempo storico" (1916), "La formazione storica" (1917-1918) e "L'essenza del comprendere storico" (1918) sono legati a filo doppio alla crisi della cultura moderna, al conflitto vita/forma e all'intuizione estetica dell'accadere del mondo. Non si potrebbe comprendere in tutta la loro portata questi scritti enucleandoli dal multiversum filosofico simmeliano e tanto meno interpretandoli alla luce di uno storicismo o di una specifica filosofia della storia propria di Simmel. Il tempo storico, le formazioni storiche così come il comprendere storico, che sembrano inserirsi nel contesto teorico diltheyano, devono altresì essere intesi all'interno di un ambito vitale, in quanto anch'essi istantanee e frammenti di un insieme al suo interno conflittuale e sempre in mutamento.
La filosofia si è occupata e si occupa tanto di animali domestici, come il cane, quanto di animali più esotici, come l’ornitorinco, e persino di animali puramente immaginari ma dalle caratteristiche note, come l’unicorno, o come l’ircocervo, che, per chi non lo sapesse, di corna ne ha due e sfoggia barba fluente e spalle pelose. E’ tuttavia mancata sinora una trattazione rigorosa della supercazzola, l’invenzione di monicelliana memoria che potrebbe essere un animale o tante altre cose, o magari nessuna di esse. Questo succinto bestiario filosofico intende colmare la lacuna, e lo fa analizzando le affinità e le differenze profonde che accomunano e dividono cani e unicorni, ornitorinchi, ircocervi e supercazzole. Lo fa per divertire e divertirsi, ma anche per offrire al lettore non il significato della nostra esistenza (è chiedere troppo, e forse non c’è), ma più modestamente il significato di esistenza, ossia di quella caratteristica speciale che consente di classificare da una parte i cani e gli ornitorinchi, dall’altra gli unicorni e gli ircocervi, e le supercazzole chissà dove.
Un lungo e intenso "corpo a corpo" con Platone: è questa la cifra caratteristica del pensiero di Adriana Cavarero. Il volume lo rivela attraverso una serie di scritti introvabili o mai apparsi in italiano, un inedito e altri testi cruciali dedicati al grande allievo di Socrate. Al lettore viene offerto un viaggio appassionante sulle tracce di Platone, che non rappresenta solo un riferimento costante della filosofia di Cavarero ma anche il vero e proprio fil rouge con cui l'autrice intesse molteplici trame. La filosofia classica si intreccia qui con la riflessione politica e con la teoria femminista, come pure con la letteratura, la musica e l'arte. Il risultato è un confronto profondo e al tempo stesso ironico e irriverente con il padre della filosofia occidentale.
Perché la scienza produce conoscenza? Qual è la natura della verità scientifica? Quale può essere la portata dell'oggettività della conoscenza scientifica e quali sono i suoi precisi contesti? Che rapporti sussistono tra le conoscenze scientifiche e quelle conquistate da altri ambiti di ricerca? Il più autorevole filosofo della scienza italiano risponde a queste domande che hanno variamente animato il dibattito epistemologico, filosofico e culturale contemporaneo, offrendo una prospettiva nuova e originale in un opus magnum frutto di quasi tre decenni di ricerca. Ne scaturisce una coerente affermazione di "realismo scientifico" che va oltre la tradizionale epistemologia per recuperare la dimensione ontologica, operativa ed ermeneutica della conoscenza, delineata dal sempre più articolato patrimonio tecnico-scientifico contemporaneo.
Il lavoro è un aspetto costante nella vita di ogni uomo. Fonte di soddisfazione e di gioia per alcuni, di fatica per tutti. Milioni di persone ogni giorno sono affannosamente alla ricerca di lavoro. Molti, però, lo considerano soltanto uno strumento per ottenere altri beni. Spesso, il lavoro in sé non è percepito come un bene fondamentale per lo sviluppo della persona e della società.
In un discorso del 2008 al Collège de Bernardins, Benedetto XVI ha mostrato che nella tradizione cristiana si può trovare la chiave per comprendere il vero senso del lavoro. Uomini e donne sono chiamati a partecipare all’opera creatrice di Dio mediante il lavoro, assumendo il compito di perfezionare la creazione, guidati dalla sapienza e dall’amore. Lo stesso Figlio di Dio fatto uomo ha lavorato per lunghi anni a Nazareth. «Ha santificato il lavoro e gli ha conferito un peculiare valore per la nostra maturazione» (Papa Francesco, Laudato si’, 98).
In occasione del 500º anniversario della Riforma protestante, il Convegno The Heart of Work (Roma, 19-20 ottobre 2017), organizzato dalla Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce e dal centro di ricerca Markets, Culture and Ethics, ha cercato di approfondire l’idea cristiana del lavoro professionale. La teologia cattolica recente, d’accordo con i riformatori del XVI secolo, riconosce il lavoro professionale come vocazione dell’uomo, ma lo considera anche come un cammino per la crescita della santità del cristiano (Gaudium et spes, 34) e lo propone ai laici come mezzo di santificazione (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2427).
Con gli scritti raccolti in questo I volume degli Atti del Convegno The Heart of Work si vuole offrire un contributo allo sviluppo di un’anima del lavoro professionale: una spiritualità del lavoro inteso come attività che perfeziona l’uomo, cooperando alla sua felicità e al progresso della società, e che diventa per il cristiano luogo e materia di santificazione e di compimento della missione della Chiesa nel mondo.
Prospettive sul lavoro. Percorsi interdisciplinari è una raccolta di studi che si concentrano su un aspetto trasversale della storia, della cultura e dell’esistenza di ciascun uomo: il lavoro nella sua inesauribilità di significato e mutamento che incide sulla quotidianità e sulle trasformazioni epocali.
Un dialogo tra pensiero antico e pensiero moderno, tra Occidente e Oriente: un «alfabeto» - e non «dizionario» - filosofico, perché l'elenco dei concetti proposti non si pone come premessa per giungere a una definizione conclusiva, ma come pretesto per mantenere aperto un campo di discussione e riflessione da parte del lettore. Un elenco esemplare di alcune idee che si sono formate e consolidate nella storia del pensiero, ma che continuano a dimostrarsi talmente feconde da rimanere aperte a sempre nuove interpretazioni prodotte da un lavoro filosofico inteso come sapere critico che non ha né sede né fine.
Marc Augé li chiama da sempre nonluoghi, riscontrando in essi un deficit di identità, di relazioni e di storia: sono le stazioni, i porti, i luoghi di confine, i treni e gli aerei. Sono luoghi di passaggio dove gli individui sono costretti a transitare per vari motivi, ma in cui non sono obbligati a tessere rapporti interpersonali. Per il filosofo, tuttavia, oggi il mondo intero è diventato un nonluogo. Di fronte agli schermi di tablet, cellulari e computer il tempo planetario viene percepito in accelerazione e, allo stesso tempo, ridotto a un puro presente che ci condanna all'ostentazione superficiale e all'oblio immediato. In questo presente segnato dalla velocità e dal potere dell'immagine, l'ordine sequenziale delle nostre esistenze risulta frammentato, trasmettendo la sensazione di disorientamento del viaggiatore d'affari, che passa da un albergo all'altro sentendo che la vita vera scorre altrove. Nell'individualismo passivo dedito al consumo di notizie, immagini e oggetti, promosso dalla mondializzazione di internet, il singolo è costretto a cercare da solo il senso della propria esistenza, vivendo, proprio per questo, una solitudine vertiginosa all'interno di una crisi profondamente relazionale e, quindi, sociale. Oggi il web ci da l'illusione di partecipare in prima persona al dibattito pubblico e di mostrarci agli altri per come siamo, in realtà ci trasforma da esseri fatti di corpo, reciprocità e parole in fantasmi digitali. La rivoluzione indicata in questo libro sprona a non accontentarsi di essere un apatico sguardo sul mondo in immagini: quello sguardo, da passivo che era, deve farsi attivo, diventando amicizia, fraternità, responsabilità e, forse, anche profezia.
Essere vegani non è né una moda, né una dieta. Essere vegani vuol dire, prima di tutto, abbracciare una filosofia. Perché chi sceglie di essere vegano ha deciso di non mangiare più dei «qualcuno» che la nostra società ha trasformato in dei «qualcosa» non solo per mettere fine a una barbarie, ma per salvaguardare l'architettura sociale, ambientale ed economica del nostro futuro. Tuttavia, nonostante questo stile di vita abbia alle spalle centinaia d'anni di riflessione sull'etica e l'ambientalismo, in molti oggi decidono di diventare vegani solo per nobilitarsi e sentirsi migliori degli altri. Ma per inseguire un vero cambiamento epocale è necessario un nuovo tipo di veganesimo, filosoficamente orientato e più integrato nella società. Lontano dal fanatismo e dal controllo militaresco dei frigoriferi, e più tollerante nei confronti di chi non ha ancora fatto questa scelta. Con Vegan Leonardo Caffo mette a disposizione di tutti noi un'originale riflessione filosofica che, vagliando i limiti e le risorse della pratica alimentare piú discussa, amata e odiata del nostro tempo, apre una finestra su un diverso mondo possibile.
Il libro, grazie alla pubblicazione in India della Collection Work of Mahatma Gandhi, compie un'analisi dei testi di Gandhi per ricavare i concetti-chiave di un nuovo tipo di economia e di società, disseminati in numerosi e regolari interventi su riviste e giornali. Successivamente, una lettura critica individua le linee-guida di una proposta che non resti legata a quel particolare periodo, ma si concretizzi nell'attuale contesto storico. Oggi è richiesta con urgenza la responsabilità di un impegno personale quotidiano, "dal basso", per una politica che intenda uscire dalla logica economicistica.