La mente fenomenologica pone domande fondamentali sulla mente dalla prospettiva della fenomenologia ed esamina temi come il tempo e la coscienza, l'intenzionalità e la percezione, la mente incarnata, l'azione. Questa nuova edizione è stata rivista e aggiornata estesamente. Il capitolo sulle metodologie fenomenologiche è stato ampliato per coprire la ricerca qualitativa e vi sono nuove sezioni che discutono gli studi recenti su temi come la fenomenologia critica, la cognizione sociale, la razza e il genere, l'intenzionalità collettiva e il sé. Presenta anche altre utili novità, come i riassunti dei capitoli, le guide a ulteriori letture e numerosi box con spiegazioni di temi specialistici, che rendono il volume un'introduzione ideale ai concetti chiave della fenomenologia, delle scienze cognitive e della filosofi a della mente. Postfazione alla nuova edizione di Patrizia Pedrini.
La centralità moderna del soggetto ha sigillato la dignità di ogni singolo venire al mondo: umani si nasce. Tale conquista, però, non ha spostato di un millimetro la nostra resa all'insignificanza della destinazione di questo nascere: l'umano è un effetto senza causa adeguata - praticamente un miracolo - ma la sua morte azzera tutto. Insomma, si nasce per niente. Non abbiamo il coraggio di dirlo ai figli, ma ci siamo convinti, dati scientifici alla mano, che il passaggio della nascita non si ripeterà in nessun altro modo. Eppure, nemmeno l'astrofisica, oggi, lo giurerebbe in tribunale. I segnali più antichi dell'ominizzazione della vita della coscienza coincidono con la ritualizzazione della morte come passaggio: come se lo sapessimo da sempre. Il cristianesimo, poi, ha introdotto la generazione e la risurrezione nell'intimità dell'essere divino, aprendovi la destinazione per un'umanità imperfetta. Impensabile anche per la religione più alta: eppure la fede cristiana non si muove da lì. Credenti o non credenti, quanti siamo, abbiamo forse dilapidato l'eredità migliore della nostra storia?
Il cuore è uno dei simboli universali della vita affettiva, diffuso in molte civiltà sin dai tempi più antichi. Oggi, tuttavia, questo fondamentale simbolo richiama quasi unicamente un vago e impalpabile sentimentalismo, assai lontano dalla consistenza ontologica e dalla capacità di apertura alla trascendenza che l'immagine del cuore ha sempre teso a delineare. In questo breve testo, Hildebrand mostra come il "cuore" sia la sede di un'intensa attività vitale e affettiva, indispensabile per accedere alla conoscenza vissuta di tutta una serie di strati di beni e valori che compongono la realtà. Inoltrandosi nella via aperta da Max Scheler, Hildebrand offre uno dei maggiori contributi all'analisi fenomenologia di questa fondamentale sfera della persona umana, incidendo con apporti determinanti su una riflessione che ancora oggi è al centro dell'interesse filosofico. Il testo di Hildebrand, però, non contiene soltanto una raffinata analisi filosofica dell'affettività umana, ma anche una riflessione intima e meditata sul mistero del Sacro Cuore di Cristo, che aiuta a comprenderlo nella sua profondità teologica evitandone letture superficiali e sentimentalistiche.
La pandemia da Covid-19 ha profondamente modificato i comportamenti, le abitudini e gli stili di vita dei cittadini. Alla situazione che ne è derivata fa riferimento questo bel volume dal titolo curioso "Il fico sterile", che adotta un genere letterario inconsueto, scegliendo come interlocutore l'homo sapiens e rivolgendosi a lui, non senza un velo di elegante ironia, attraverso una lunga lettera in cui si alternano a giudizi molto severi sul modello socio-culturale dominante proposte positive di cambiamento. Il volume non si limita tuttavia a rilevare i limiti e i mali della situazione presente; offre piuttosto indicazioni e piste preziose per la promozione di una alternativa, che esige per essere attivata un cambio di paradigma, sia a livello della coscienza personale che della struttura sociale. (dalla «Prefazione» di Giannino Piana)
In questo testo ormai classico, pubblicato per la prima volta nel 1981, Habermas analizza l'ipotesi che la razionalità non sia esclusivamente di tipo funzionalistico, finalizzata cioè a uno scopo e tale da ridurre gli individui a strumenti, ma possa essere di tipo discorsivo, ovvero più emancipativa, e scaturire dal dialogo tra soggetti non isolati nel mondo sociale. Come il linguaggio non è solo un insieme di termini ma anche discorso rivolto a qualcuno con cui ci si deve intendere (e che in quell'intesa si realizza), così la legittimazione delle istituzioni politiche dipende in gran parte dalla «razionalità comunicativa», in grado di favorire la formazione di una volontà collettiva e di promuovere la partecipazione democratica da parte di individui non asserviti. Un'opera tuttora centrale nella produzione dell'autore, che viene qui riproposta in un'edizione rivista e arricchita della nuova presentazione di Alessandro Ferrara e di un testo inedito scritto per l'occasione dallo stesso Habermas.
In questo testo ormai classico, pubblicato per la prima volta nel 1981, Habermas analizza l'ipotesi che la razionalità non sia esclusivamente di tipo funzionalistico, finalizzata cioè a uno scopo e tale da ridurre gli individui a strumenti, ma possa essere di tipo discorsivo, ovvero più emancipativa, e scaturire dal dialogo tra soggetti non isolati nel mondo sociale. Come il linguaggio non è solo un insieme di termini ma anche discorso rivolto a qualcuno con cui ci si deve intendere (e che in quell'intesa si realizza), così la legittimazione delle istituzioni politiche dipende in gran parte dalla «razionalità comunicativa», in grado di favorire la formazione di una volontà collettiva e di promuovere la partecipazione democratica da parte di individui non asserviti. Un'opera tuttora centrale nella produzione dell'autore, che viene qui riproposta in un'edizione rivista e arricchita della nuova presentazione di Alessandro Ferrara e di un testo inedito scritto per l'occasione dallo stesso Habermas.
Il concetto di libero arbitrio è essenziale per le nostre relazioni interpersonali e le pratiche morali e giuridiche. Se risultasse che nessuno è mai libero e moralmente responsabile, che cosa vorrebbe dire per la società, la moralità, la vita di tutti i giorni? Daniel Dennett e Gregg Caruso presentano le loro argomentazioni pro e contro l'esistenza del libero arbitrio e ne discutono le implicazioni. Dennett sostiene che il genere di libero arbitrio richiesto per la responsabilità morale è compatibile con il determinismo. Caruso è di parere opposto: per lui, quel che siamo e ciò che facciamo rappresentano, in ultima analisi, il risultato di fattori che sono al di là del nostro controllo, e per questo non siamo mai moralmente responsabili delle nostre azioni nel senso che ci renderebbe davvero meritevoli di biasimo o di lode, di punizione o di ricompensa. "A ognuno quel che si merita" introduce i concetti centrali del dibattito sul libero arbitrio e sulla responsabilità morale mediante un dialogo filosofico coinvolgente, rigoroso e talvolta acceso tra due eminenti pensatori.
E se la metafisica fosse il più grande beneficio della storia dell'umanità? La metafisica si basa su un'esperienza semplicissima e sconcertante: quella dell'infinita bellezza del mondo che si impone alla nostra intelligenza, malgrado il male, la sofferenza e l'assurdo in cui ci imbattiamo di continuo e che suscitano la nostra indignazione solo perché l'aspettativa metafisica è predominante. L'idea alla base della metafisica è che questa bellezza ha una ragione. Scoprendo la bellezza delle cose, la cui contemplazione fa la nostra felicità, e riconoscendo una dignità all'umano, che a quella bellezza partecipa nella sua capacità di trascendenza, la metafisica ci procura delle ragioni per vivere e sperare, realizzando quindi la finalità della filosofia stessa. Ogni filosofia o è metafisica, o è triste poiché non lo è.
Sperimentiamo costantemente dentro di noi inquietudine, paura, talora angoscia, e un ribollire di emozioni che obbliga la mente a un duro, continuo lavoro. Eppure ciascuno possiede nel profondo anche la forza esplosiva necessaria per sciogliere il nodo delle assillanti domande che tormentano l'esistenza, e per puntare a quell'ideale che nei secoli è stato chiamato in vari modi: Dio, Tao, Dharma, Spirito Santo, oppure amore, bene, sapienza. In questa nuova tappa del suo percorso filosofico, Vito Mancuso sostiene che l'equilibrio tra l'irrazionalità dell'amore e la pura logica della mente è ancora possibile: per dimostrarlo chiama a raccolta le vite e le esperienze di grandi del presente e del passato - da Dante a Hannah Arendt, da Giordano Bruno a Etty Hillesum - in un ideale pantheon di menti innamorate capaci di conquistare quella grazia che è il frutto più bello di ogni educazione spirituale. A partire dal loro luminoso esempio, Mancuso indica la strada da percorrere per dare ascolto al maestro interiore che ognuno custodisce dentro di sé, e raggiungere uno stato di felicità dell'esistenza puro e allo stesso tempo reale, sognante ma a occhi aperti, che rappresenta il dono maggiore che si possa ricevere dalla vita.
Chi sono i pifferai magici che, come il flautista di Hamelin, negli ultimi decenni hanno incantato il mondo costringendo un numero sempre più alto di persone a seguirli, abbandonando il mondo dell'etica, quel mondo che, nonostante tutte le sue fragilità, ha permesso fino a tempi recenti all'essere umano di mantenere la sua specificità? Ormai, tutto quello che si può fare, si fa. E le voci che ancora si levano in difesa della misteriosa complessità della vita e della persona vengono ridicolizzate, tacciandole di medioevale oscurantismo. L'uomo non è più un fine, ma soltanto un mezzo e, in quanto mezzo, può essere usato in tutti i modi possibili. Il fatto che il numero di disturbi mentali, di depressioni, di malattie autoimmuni sia sempre più alto non inquieta più nessuno, così come non turba il fatto che il paganesimo sia tornato prepotentemente nella nostra civiltà e che proprio questo paganesimo abbia annullato la responsabilità individuale del male. Il fato decide per noi. Non esiste più il bene, non esiste più il male, non esiste più il giudizio sulle nostre azioni e, anche quando queste sono efferate, siamo convinti di avere diritto all'happy end. Queste riflessioni fatte nel corso degli ultimi anni cercano di mettere a fuoco il progressivo declino della nostra civiltà, incantata dalla suadente musica di questi astuti orchestrali che tutto hanno a cuore tranne il bene dell'umanità.
La filosofia è un lavoro di indagine fondato sulla natura stessa dell'uomo in quanto pura esistenza. In questo volume il grande filosofo Nicola Abbagnano affronta le questioni che concernono "l'essere" del singolo uomo, partendo dalla sua autentificazione fino alla costituzione dell'io, per comprendere quell'atteggiamento strettamente personale, intimo e segreto che è il filosofare. La filosofia non avrà forse l'universalità della scienza, che consiste nell'identità del giudizio, ma il suo continuo porsi domande, la sua necessità di comprensione e il suo muoversi verso il futuro costituiscono un'universalità fondata sulla solidarietà umana, che può esplicarsi solo nella genuina struttura dell'esistenza di ognuno. Alla filosofia l'uomo può e deve chiedere di comprendere un po' meglio se stesso. Questa è la base, il fondamento, di ogni opera e di ogni lavoro umani, la trama con cui è tessuta la vita quotidiana del singolo, così come la vita storica dell'umanità. Le esperienze più dure, i dolori e le tragedie non servirebbero a nulla se gli uomini non dovessero derivarne un insegnamento, che la filosofia sola può formulare, traendo dalle vicende della storia l'incentivo per una più profonda e più umana comprensione dell'uomo.
Questo saggio, pubblicato per la prima volta in lingua tedesca nel 1970, può essere considerato il momento conclusivo del percorso di Roman Ingarden, il più noto esponente polacco della tradizione fenomenologica. Compaiono infatti, in modo più o meno esplicito, diverse nozioni fondamentali già elaborate dal filosofo, che costituiscono lo sfondo su cui si mentali innesta la trattazione di un argomento di inesauribile attualità e nevralgico per la caratterizzazione dell'essere-uomo. Che cosa significa decidere co e agire responsabilmente? Esistono alcuni presupposti imprescindibili affinché ciò sia possibile? L'esito della riflessione di Ingarden mette in stretta relazione il darsi della responsabilità umana con alcuni concetti chiave: i valori, la persona, l'identità, la libertà, il tempo.