L'opera più rappresentativa della fenomenologia di Edmund Husserl, viene qui analizzata e approfondita nel primo commentario completo realizzato in Italia.
Per l’originalità e la straordinaria acutezza dei suoi contributi al dibattito filosofico su temi come la verità, la conoscenza, il significato, Paolo Casalegno (1952-2009) è stato sicuramente uno dei più autorevoli filosofi italiani degli ultimi decenni. Il libro raccoglie molti dei suoi scritti più importanti su questi argomenti, finora dispersi in riviste scientifiche italiane e straniere, volumi collettanei, pubblicazioni occasionali.
«Il cristianesimo continuerà a improntare la mentalità occidentale nella forma psicologica della speranza: nel senso che siamo tutti cristiani, anche gli atei, anche i miscredenti! E nel momento in cui guardiamo al futuro come a una promessa o forma di riscatto, siamo tutti inscritti in questa logica della cristianità».
Prefazione La filosofia come erranza
I. Non è un luogo dove si offrono soluzioni. Dalla metafisica al nichilismo
II. Tutto è cristiano, in Occidente. Verità assoluta ed etica del viandante
III. La tecnica fa fuori l’uomo. Autorealizzazione nell’era della tecnica
IV. L’inconscio di Freud è una cosa seria. Anima, corpo, psichiatria e fenomenologia
V. Poi però andava al bordello. Condotte morali e vita da monaco
VI. È più facile maneggiare idee. Perdita del testimone, passato e futuro
In Galimberti l’eredità della grecità si trasforma in una maieutica moderna, e coincide con la presa di coscienza della fine della metafisica e dell’avvento del nichilismo. In questo proibitivo compito – presentare le modalità di convivenza con la disperazione – Galimberti suggerisce non una retorica del disincanto, bensì le chiavi di resistenza nei confini dell’instabilità e della perdita, ormai interamente dominati dalla tecnica. E il valore paradigmatico ed esemplare di tale insegnamento è nel noma-dismo morale come presupposto alla sfida del nichilismo. Argomentata analisi degli strumenti che nei secoli la filosofia ha offerto all’uomo, l’opera di Galimberti è dunque una tangibile risorsa intellettuale ed esis-tenziale nel baratro dell’assurdo.
Questo piccolo libro è un percorso tra le ragioni che rendono la filosofia un’insostituibile compagna di ricerca non già delle ragioni ultime ma, nemmeno troppo paradossalmente, della ricerca come ragione ultima.
«Tre grandi filosofi dell’antichità, Aristotele, Buddha e Confucio, ci hanno insegnato come eliminare le sofferenze inutili, per guidare gli esseri umani verso la propria realizzazione personale e verso l’equilibrio sociale. Ognuno di loro ha compreso che l’estremismo è il principale ostacolo per il perseguimento della felicità, della salute e dell’armonia. Il metodo che ho chiamato ABC è la sintesi pratica di queste tre grandi filosofie. L’ABC sa che lo scopo principale dell’esistenza è quello di vivere bene il momento presente. Non si preoccupa della vita passata o di quella futura, ma si occupa dei paradisi e degli inferni che, in qualsiasi momento, creiamo per noi e per gli altri su questa terra. L’ABC insegna che, imparando ad esercitare il grande potere di gestire la propria vita nel presente, migliorate la vostra esistenza e quella degli altri. Dovete quindi prendere una decisione: se cercate le favole del “e vissero felici per sempre”, mettete da parte questo libro e leggete le filastrocche di Mamma Oca. Se invece desiderate vivere bene ora, cominciate a leggere...»
"L'originalità (cioè la produzione non imitata) della immaginazione, quando sbocca in concetti, si dice genio […] inventare qualcosa è del tutto diverso da scoprire. Infatti la cosa che si scopre, si ammette già preesistente, solo che non era conosciuta. Ora il talento di inventare si chiama genio". Immanuel Kant
Nella nozione di genio - come ingegno o talento - si intrecciano l'universale e il particolare dell'esperienza umana. Muovendo da una riflessione filologica, Giampiero Moretti delinea l'andamento dall'antichità al secolo scorso, rilevandone le oscillazioni: genio è una facoltà ce ogni uomo possiede in quanto uomo o rinvia oltre; è comune a tutti gli uomini o è unica nel singolo? Se sempre più le funzioni della mente con cui si percepisce il mondo si traducono da sensi in senso e creatività, allora il genio ha per oggetto la verità o se ne sgancia? Un motivo di fondo che attraversa la storia dell'estetica e raggiunge la sua massima tematizzazione nel '700 e '800 come categoria estetica - si pensi a Kant, ove esso destina l'arte alla sua piena autonomia.
Ma l'originalità di questo volume sta nell'attraversare i principali paradigmi estetici e al contempo trascenderli in una stabilità del concetto che ne mostra la portata teoretica. In quanto forma con cui l'uomo si accosta alla realtà, il concetto di genio investe la stessa teoria della conoscenza. Un concetto intrinseco ai nodi diffondo della storia del pensiero: il problema della soggettività e oggettività, la verità, la rappresentazione, l'immaginazione. Questioni perenni della filosofia, sulle quali l'estetica ha un suo particolare sguardo.
In quest’opera, che può essere considerata la sua summa teorica, Gilson ripercorre la rivoluzione che ha posto le basi del pensiero occidentale. Il suo mirabile racconto restituisce la vivacità culturale – nata dall’incontro tra mondo greco, rivelazione cristiana e influenze arabe ed ebraiche – che ha formato gli intellettuali più importanti del Medioevo: da Ambrogio a Boezio, da Tommaso d’Aquino ad Alberto Magno, da Giovanni Duns Scoto a Guglielmo d’Ockham. Pensatori di cui, con una freschezza espositiva senza pari, il grande studioso illumina ed esplora le riflessioni profondamente moderne. Nasce così il ritratto di un periodo ingiustamente definito “buio”, ricco invece di fermenti e umanità: quattordici secoli di idee che hanno fatto il mondo.
Étienne Gilson (1884-1978), filosofo e storico della filosofia, è stato uno dei più importanti studiosi del pensiero medievale. Fondatore dell’Istituto di studi medievali di Toronto, ha insegnato, tra l’altro, all’Università di Strasburgo, alla Sorbona, al Collège de France e ad Harvard.
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Questo volume raccoglie i tre tomi usciti originariamente separati, contenenti rispettivamente tutto quanto pervenuto della Scuola di Elea, quel circolo filosofico sviluppatosi in Italia nel V secolo a.C.
Salvatore Veca affida a questo libro, L'idea di incompletezza, gli esiti di una lunga ricerca filosofica che prende le mosse dal suo volume più importante, Dell'incertezza. In Dell'incertezza la questione centrale coincideva con l'esame delle differenti circostanze in cui si formulano per noi domande di teoria: nello spazio dell'impresa scientifica, dell'indagine etica e politica, nell'ambito delle questioni d'identità. Le lezioni sull'idea di incompletezza esplorano ora la natura delle risposte che noi diamo, in una varietà di circostanze, a quelle domande di teoria. Insieme, incertezza e incompletezza diventano dunque le due modalità fondamentali di un pensiero filosofico che coerentemente non si ritira di fronte ai limiti della conoscenza e neppure si erge a suo arbitro: l'incertezza della teoria non ci deve fare arretrare, e l'incompletezza delle risposte è specularmente l'opportunità, e forse il motore, che ci consente l'aggiustamento teorico.
Nelle prime due lezioni Veca si interroga sull'incompletezza delle nostre teorie etiche e politiche e dei nostri impegni per giustificare, criticare o difendere princìpi e valori. Nella terza lezione l'analisi si concentra sull'incompletezza dell'interpretazione, entrando nel vivo e prendendo posizione in uno dei dibattiti più "caldi" degli ultimi anni. Infine, nell'ultima lezione, la ricerca di Veca si mette alla prova con i celebri teoremi di incompletezza di Kurt Gödel nell'ambito delle teorie della dimostrazione, evidenziando le analogie e le differenze cui, in distinti contesti, va incontro l'idea di incompletezza. La convinzione che emerge da queste pagine, ricche di riferimenti alla storia delle idee, alla letteratura, all'arte, alla scienza e alla religione, è che l'incompletezza si addica perfettamente alla filosofia stessa. L'incompletezza ci induce a esplorare lo spazio delle possibilità e delle alternative. Uno spazio in cui i confini fra i saperi si fanno porosi, e la cui fisionomia è esposta incessantemente alla sorte del mutamento e della metamorfosi.
"Che questa, alla fine,
è la nostra biblioteca
di sarabanda di giustizia
per il mondo ingiusto.
Tanti libri, tante vite.
Tante storie, tante vite.
Tante vite, tante pagine.
Molte scritture del sogno
di una cosa."
Una carretta sul mare, piena di umanità che fugge dalla guerra, dalla fame, dalla persecuzione, dalla tirannia, con il sogno di un altrove. Fra loro, c'è un vecchio. Una specie di saggio o di sciamano che ha vissuto, in tempi diversi, molte vite in molti luoghi del mondo. Assumendo via via le sue mutevoli identità, risponde alle domande dei migranti. Salvatore Veca affida al suo vecchio, carico di anni, di sapere, di scritture, il compito di guardare dentro il nostro destino, il destino di un Occidente che, una volta di più, si sporge sulla catastrofe possibile. La voce del vecchio è la voce di una cultura che, per segmenti, per lacerti luminosi, è tutta chiamata a raccolta, prima del silenzio, e contro il silenzio.
Che cosa possiamo intendere per «volontà»? E che rapporti intrattiene con il nostro Sé? È a tali domande che si cerca di rispondere in questo volume. L’analisi fenomenologica del problema indica che il Sé, piuttosto che essere un nucleo compatto, è uno scarto temporale, una scissione originaria, e la volontà emerge come la cerniera e il movimento che tiene insieme questa distanza nel cuore dell’io. Di qui si prendono le mosse per chiarire la nozione di identità personale, di autocoscienza, la differenza tra causalità e motivazione, la struttura temporale del Sé e la nozione di valore, che viene intesa come il non ancora che anima la tensione del Sé, e dunque la volontà stessa. In questo percorso, l’Autore trae ispirazione dalla tradizione fenomenologica e da quella critica, confrontandosi e confrontandole però, nello stesso tempo, con quelle elaborazioni che tendono a dissolvere, a partire da una concezione deterministica, la nozione stessa di volontà e di Sé.
I testi riuniti in questo volume, composti nell'ultimo decennio sotto il profilo dell'ontologia o dell'etica o dell'estetica, stanno nell'arco di un'unica ricerca: insistono, da diverse prospettive, sulla questione di un ultimo senso dell'essere e sulla sua declinabilità nel linguaggio dell'uomo. Di questa ricerca si può ripetere con Kierkegaard come del paradosso o come dell'ambivalente e più alta passione del pensiero che, mentre si riconosce nella propria radice, deve però avvertirne la trascendenza, l'indicibilità, senza peraltro desistere dalla sua memoria e dal tentativo di darle un volto. Il titolo della raccolta allude a questa condizione dicendo dell'impossibilità del nome e, insieme, della mai esaurita prossimità del nome di Dio. Di questa tensione è detto attraverso i diversi approcci teoretici ma anche nei percorsi storiografici dedicati a Kant, Kierkegaard, Husserl e Bernard.
In quest’opera, frutto di anni di lavoro enciclopedico e che ha segnato un punto di svolta nel modo di considerare l’estetica, Maurizio Ferraris rilegge tutta la cultura occidentale e costruisce una cattedrale potente nell’impianto e sorprendente nei dettagli. Un’impresa e un’esperienza di pensiero che ha appassionato i lettori più diversi (filosofi, artisti, letterati) e che questa edizione aggiornata, accresciuta di una ampia postfazione, rende nuovamente accessibile.
Maurizio Ferraris insegna Filosofia teoretica all’Università di Torino, dove dirige il Laboratorio di ontologia. Tra le sue pubblicazioni, Introduzione a Derrida (Laterza 2008) e Nietzsche e la filosofia del Novecento (Bompiani 2009)