Xavier Zubiri (1889-1983), uno dei più importanti filosofi e teologi spagnoli, ha creato un sistema metafisico e antropologico incentrato sull'uomo inteso come "intelligenza senziente" situata nella realtà e in un contesto storico preciso. L'uomo è definito quindi "l'animale della realtà", ove la realtà è intesa in senso classico aristotelico, con alcune avvertenze: Zubiri contesta sia la "logicizzazione dell'intelletto", sia l'"entificazione della realtà" (l'identificazione immediata della realtà con l'essere). Dio viene inteso neoplatonicamente come al di là dell'essere e di ogni ente. Il suo pensiero ha avuto grandi influenze in America Latina (soprattutto nella teologia della liberazione), ma anche nei teologi cristiani ecumenici che puntano alla riunificazione dell'Oriente con l'Occidente.
Il capolavoro dell'Imperatore Filosofo, ultimo epigono del neostoicismo romano (di cui in parallelo vengono pubblicati gli scritti minori), in una nuova traduzione con testo greco a fronte; i Pensieri di Marco Aurelio sono riflessioni morali, rivolte a sé medesimo, miranti a rendere l'animo imperturbabile e tranquillo, rinchiuso in una sorta di cittadella interiore, al riparo dagli agenti esterni (gli eventi del fato) e interni (le passioni), che sono sempre causa di sofferenza e turbamento se non vengono disciplinati dalla ragione egemonica, che deve ridurli al rango di indifferenti. Solo così è possibile raggiungere la tranquillità interiore nell'accettazione del destino, unica salvezza a portata di mano con le sole forze della ragione.
Se tutta la vita di Nietzsche ha un aspetto voraginoso, questo vale in misura suprema per l'ultimo periodo della sua attività di scrittore. In una effervescenza creativa senza precedenti, ogni testo annuncia un passaggio irreversibile, come se ciò che egli è stato fino a quel momento si preparasse a manifestarsi in una forma nuova. E parte essenziale di questi testi, che devono essere considerati come un corpo unico, sono le ultime lettere, scritte a Torino in un crescendo di euforia prima di perdersi per sempre nel silenzio. Ogni pagina è retta dallo stesso gesto: l'irrompere di una selvaggia teatralità, il presentarsi sulla scena raccogliendo nella forma più intensa tutto il proprio essere. Fino al culmine dei numinosi "biglietti della follia", inviati ad amici e potenti della terra e firmati "Dioniso" o "il Crocifisso", dove sembra riecheggiare l'intera opera di Nietzsche - e palesarsi una pratica a cui tutto il suo precedente pensiero doveva fatalmente condurre.
Le pagine culturali dei maggiori quotidiani italiani sostengono che sia in atto una diffusa ripresa di interesse per la filosofia, in effetti, il recente successo di molte pubblicazioni di genere filosofico, nonché di numerosi festival dedicati all'argomento, sembra testimoniare la consistenza di questo fenomeno, il quale, peraltro, pare contraddistinto da una caratteristica indubbiamente interessante, quella della popolarità, cioè dell'ampiezza, mai sino a oggi registrata, del numero di coloro che, pur senza possedere una specifica competenza in materia, manifestano attenzione per la plurisecolare vicenda del pensiero fìlosofico. "I 100 grandi filosofi" intende rivolgersi primariamente proprio a quanti, sebbene non specialisti della disciplina, sono comunque attratti dallo sviluppo della riflessione filosofica così come si è venuto concretamente realizzando attraverso i contributi dei vari pensatori susseguitisi nel tempo.
Il Liezi non è solo uno dei testi fondamentali per lo studio del pensiero della Cina antica ma anche - insieme al filosofico ed ermetico Tao tê ching e al poetico Zhuangzi - una delle tre scritture in cui la tradizione taoista continua a vedere sintetizzati i propri principi dottrinali e le loro relative applicazioni. Il maestro che dà nome all'opera, Liezi, sarebbe vissuto nel IV secolo a.C., tuttavia questa raccolta di dialoghi, aneddoti e brevi trattazioni dottrinali è menzionata per la prima volta nel 14 a.C., e nell'Ottavo secolo, per editto imperiale, sarà innalzata al rango di classico taoista. Un libro che illustra mirabilmente la filosofia cinese dello svolgersi della vita umana e cosmica. E nel quale il lirismo dell'autore è diretto verso la radice dell'essere e delle cose, ai confini dell'esistenza.
Da una decina d'anni Umberto Galimberti tiene con regolarità una rubrica su "La Repubblica delle Donne", in cui risponde alle lettere che gli vengono inviate dai lettori e dalle lettrici del quotidiano. È una delle rubriche più lette e ha un seguito appassionato: non pochi conservano con cura i ritagli raccolti negli anni. Le risposte di Galimberti sono in effetti un esempio eminente del suo modo di intendere il lavoro del filosofo: sono risposte colte e profonde, ma sempre comprensibili e centrate. La parola di un filosofo che non ha paura di riflettere sul mondo contemporaneo, sugli eventi e sui disagi che tormentano gli uomini e le donne di oggi.
L'ateismo risulta per Kojève un problema filosofico e non soltanto una risposta laica all'istanza religiosa, reale o presunta, che oggi attraversa un po' ovunque una fase di inattesa reviviscenza. La negazione dell'esistenza di Dio non apre, qui, alla condizione pacificante di chi pensa di aver messo a tacere il problema religioso. Se l'uomo è ciò che resta dalla negazione di Dio, il problema filosofico dell'ateismo è quello della natura dell'uomo, o meglio della possibilità costitutiva e paradossale dell'essere umano di cogliere la presenza di ciò che è assente: la "datità di ciò che non è dato", la "datità del nulla". A questa possibilità Kojève dà il nome di desiderio, e legge la Fenomenologia dello spirito come la più appassionata narrazione moderna sull'origine dell'uomo, un'"antropologia atea". In quest'opera giovanile sono presenti già in embrione le idee e il metodo che rendono ancora oggi viva l'attenzione dei lettori e degli studiosi sul filosofo della "fine della storia" e della "fine dello stato".
Questa raccolta d'interviste con Richard Rorty copre un periodo di circa vent'anni. In generale ognuna è legata alla pubblicazione di uno dei suoi libri, ma alcune sono anche motivate dal particolare momento o evento politico che si è pensato meritasse il commento unico di Rorty. Le interviste ci mostrano una delle proposizioni centrali del suo pensiero: che la ricerca in privato della sublimità deve essere indipendente dalla ricerca della solidarietà pubblica. Rorty si è mantenuto coerente nella sua visione politica, circa il ruolo della filosofia nella politica e il ruolo della politica nella società americana. La sua idea di sinistra è stata abbastanza costante per tutto l'arco della sua vita. Altra cosa patente in queste interviste è che il liberalismo borghese postmoderno di Rorty e la sua politica postfilosofica non sono motivati né da uno spirito conservatore, né da uno spirito anarchico. Né sono le sue vedute frivole o relativistiche. Piuttosto, è chiaro che il lavoro di Rorty è motivato dalla speranza e dall'utopia di una giustizia sociale.
Uno dei temi più affascinanti della storia delle religioni, che accende il dibattito attuale tra i tre grandi monoteismi del Cristianesimo, dell'Ebraismo e dell'Islam, consiste nella possibilità e nella opportunità di raffigurare ciò che non può essere rappresentato: il volto di Dio. Oltre la polemica iconoclasta, il Cristianesimo ha sempre creduto nella possibilità di dipingere Dio, come mostrano i quadri di Serena Nono, che qui danno vita ad un dibattito che coinvolge estetica e teologia, filosofia e religione.
Il volume costituisce una guida all'intera filosofia di Wittgenstein. Diviso in due ampi capitoli e organizzato in brevi sezioni e paragrafi, il libro affronta tutti i principali aspetti del pensiero di Wittgenstein: dalla sua concezione del lavoro filosofico al modo di intendere il rapporto tra filosofia e scienza: dall'atteggiamento nei confronti della modernità alla tensione etica che orienta il suo filosofare.
Un'interpretazione in grado di aprire una lettura è sempre l'interpretazione di più testi al contempo. Non solo dei testi presenti - citati, glossati, commentati - ma anche di quelli assenti dalla scena della lettura, non ancora scritti o, al limite, destinati a restare immaginari. Trattandosi, qui, dell'interpretazione della "difficile e oscura" questione di chora (in greco: "spazio", "luogo", "regione") che Platone affronta nel Timeo al momento di spiegare l'origine del cosmo, occorrerà dunque convocare e far parlare, sulla scena del famoso dialogo platonico, più di un testo e più di una firma: da Derrida a Eraclito, da Heidegger ad Aristotele, da Badiou a Plotino, da Calcidio a Esiodo - e al di là. Non per svelare, infine, il segreto di chora, ma per provare a pensare, nel nome di chora, ciò che, inscritto al cuore della filosofia platonica, la eccede - eccedendo, così, i limiti dell'onto-teologia.
La civiltà occidentale, con la sua storia, le sue metamorfosi, le sue risorse e le sue aberrazioni, è da sempre oggetto di interesse e di studio privilegiato per la filosofia di Emanuele Severino. Un Occidente caratterizzato da due elementi in apparente contrapposizione: la follia - con il suo impulso alla distruttività - e la gioia. Una gioia che non è da intendere come semplice stato psicologico bensì come la gioia del tutto, che è insieme la "verità" del tutto. In pagine nelle quali il pensiero si fa strumento di demistificazione e il linguaggio una leva tramite la quale sollevare il macigno della menzogna, uno dei nostri maggiori filosofi rivolge una critica serrata e radicale alla nostra civiltà.