"Rabbi Uri diceva: Le miriadi di lettere della Torà corrispondono alle miriadi di anime di Israele; se nel rotolo della Torà manca una lettera, esso non è valido; se manca un'anima nella lega di Israele, la Shekhinà non posa su di essa. Come le lettere, anche le anime devono collegarsi e diventare una lega. Ma perché è proibito che una lettera nella Torà tocchi la sua vicina? Ogni anima d'Israele deve avere ore in cui è sola con il suo Creatore.
Il volume propone alcuni scritti del semitista e islamista italiano Giorgio Levi Della Vida. Filo conduttore dei saggi: le caratteristiche e le vicende storiche e religiose di due popoli, l'ebraico e l'arabo, i cui incontri e conflitti sono di grande attualità. Le tematiche affrontate sono di notevole interesse; tra di esse, un rilievo particolare occupano quelle relative al rapporto tra Oriente e Occidente, tra Ebraismo e Cristianesimo, la visione di Dio nell'Antico Israele ed il predominio europeo sul mondo arabo e la formazione degli Stati contemporanei. Nonostante la complessità degli argomenti, la prosa è chiara e accessibile.
La Torah è composta dai primi cinque libri della Bibbia - per gli ebrei la parte più importante. Ma che cos'è la Torah? Cos'è il rotolo che contiene questi cinque libri? Che posto occupa nell'insieme della Bibbia? Come la si legge? Cosa significa per gli ebrei lo studio della Torah? Chi l'ha scritta? Dove e quando? Come e perché la Torah mescola racconti e leggi? E se dovessimo conservare un unico versetto, quale sarebbe? C'è un rapporto tra Dio, la Torah e la geometria? Con la profondità e lo humour che gli sono propri, Marc-Alain Ouaknin propone un'introduzione alla Torah totalmente inedita, ma veramente istruttiva. Prefazione di Gad Lerner.
Nel 1998, il grande egittologo tedesco Jan Assmann pubblica "Mose l'egizio", il suo lavoro più radicale e innovativo. Riprendendo la tesi dell'ultimo libro di Freud - "L'uomo Mose e la religione monoteistica" -, Assmann torna su una delle rimozioni più imponenti della cultura occidentale: l'esistenza, dietro il Mose biblico, del dimenticato Mose egizio, che aveva (o avrebbe) conosciuto il monoteismo attraverso la rivoluzione teologica di Akhenaton (Amenofi IV) ad Amarna, nel XIV secolo avanti Cristo. In breve tempo il libro di Assmann diventa oggetto di polemiche e controversie che vanno ben al di là della ristretta cerchia degli specialisti: si distingue per violenza la relazione di un ecclesiastico alle Settimane Universitarie di Salisburgo, nel 2000, nella quale all'egittologo viene imputato di aver incrinato il legame indissolubile tra monoteismo e giustizia divina, e quindi di aprire la strada a ogni nefandezza. In questo libro Assmann risponde ai propri dubbi come a quelle accuse, offrendoci nel contempo una densissima meditazione su quel passaggio oscuro dell'Età del Bronzo, denominato appunto "distinzione mosaica". che vede le religioni "primarie", fondate sul culto e sul sacrificio rituale, prima affiancate e poi contrastate dalle "secondarie", fondate sul Libro e sulla Rivelazione. Ne deriva una concezione paradossale del monoteismo come "controreligione", tesa a contrapporre non tanto l'unico Dio ai molti dèi, quanto il vero Dio ai falsi dèi che affollavano i Pantheon politeisti.
Fin dall'epoca della sua comparsa, lo Zohar (o Libro dello Splendore), raccolta monumentale in più volumi di commenti sulla Torah, ha rappresentato la fonte primaria, e spesso l'unica, utilizzata dai kabbalisti costituendo la base di tutta la letteratura kabbalistica. Per secoli la Kabbalah, e con essa lo Zohar, fu tenuta nascosta al popolo, poiché si riteneva che non fosse pronto per ricevere fino in fondo la sua saggezza. Chi si trova senza cognizioni spirituali vede infatti lo Zohar come una raccolta di allegorie e leggende che ognuno può interpretare in modo diverso; in realtà il suo linguaggio è unico e speciale e, per percepirne la radice spirituale, non può essere letto in modo ordinario, in base al suo solo significato letterale. Tuttavia, la fine del XX secolo era stata indicata come l'epoca in cui gli insegnamenti della Kabbalah dovessero essere svelati a tutti, senza restrizioni, rendendoli comprensibili alla nostra generazione. In continuità con questa indicazione, il professor Michael Laitman, uno dei più insigni e autorevoli kabbalisti viventi, prosegue nell'impegno di divulgazione della saggezza della Kabbalah, proponendo in questo volume la traduzione e il commento a estratti dello Zohar e del Sulam, commentario allo stesso Zohar di Rabbi Yehuda Ashlag. La traduzione e il commento di Laitman diviene indispensabile per dare allo Zohar la sua autentica funzione e verità. Il suo lavoro ha il grande merito di liberare lo studio dello Zohar da inquinamenti mistici e new wave.
Collana Bloom
L’affermazione che apre questo innovativo e provocatorio saggio è di quelle ardite: l’età moderna è l’età degli ebrei e, in particolare, il XX secolo è stato il secolo ebraico per eccellenza.
Una tale affermazione presuppone naturalmente che tra l’essere ebreo e lo spirito della modernità vi sia una profonda affinità, se non una sostanziale identità. Ma che cosa significa essere ebrei? Facendo propria una divisione antropologica del mondo in «apollinei» e «mercuriani», vale a dire in contadini e mercanti, in stanziali e nomadi, in locali e stranieri, l’autore di queste pagine offre una risposta inequivocabile: gli ebrei sono i piú grandi «mercuriani» della Storia. Un popolo senza patria, dedito alle lucrose attività del terziario, colto, eccentrico per aspetto, lingua, religione, tradizioni. E oggetto dell’odio e dell’invidia degli «apollinei» circostanti.
Alla luce di tali categorie, la stessa storia dell’umanità si rivela come la storia di una progressiva «mercurianizzazione» dell’uomo. E l’età moderna come quel punto di svolta in cui l’uomo diventa universalmente mobile, professionalmente duttile, erudito, ricco per prestigio acquisito e non per natali; diventa, insomma, ebreo.
Cruciali, come emblema stesso della modernizzazione, appaiono soprattutto gli ultimi cento anni di storia ebraica e l’esito delle tre grandi migrazioni: verso l’America, verso il nuovo Stato di Israele, verso Mosca e le altre grandi città dell’Unione Sovietica.
Nel ventennio successivo alla rivoluzione bolscevica del 1917, questa terza diaspora si rivela come quella di maggior successo. In tutta la prima metà del XX secolo, gli ebrei, ancor piú che negli Stati Uniti, prosperarono in URSS, grazie alla promessa di una società nuova che osava combattere il nazionalismo, il capitalismo e l’antisemitismo che di lí a poco avrebbe partorito l’orrore nazista. Per una delle tragiche ironie della Storia, questa promessa si rivelò una crudele chimera. E, all’alba del XXI secolo, di terre promesse per il popolo ebraico non ne sono restate che due: Israele con tutti i pericoli e la precarietà della sua esistenza, e l’America, il paese moderno, competitivo e volto al successo economico. E dunque ebraico piú che mai.
La maggioranza degli ebrei vive oggi in una società «mercuriana» per eccellenza sia per fede ufficiale sia – sempre piú – per appartenenza, una società in cui non vi sono nativi riconosciuti, una società di «nomadi terziari».
Denso di intuizioni illuminanti e trasgressive, scorrevole nell’esposizione e audace nell’analisi, Il secolo ebraico è un’opera che «mira non soltanto a riformulare la nostra comprensione della questione ebraica, ma della questione moderna nel suo complesso» (Daniel Lazare).
Lo Zòhar è un commento alla Torà, il Pentateuco, scritto sotto forma di romanzo mistico. L'eroe è Rabbi Shim'on figlio di Yochai, un saggio che visse nel secondo secolo in terra d'Israele. Nello Zòhar Rabbi Shim'on e i suoi compagni vagano attraverso le colline della Galilea scoprendo e condividendo i segreti della Torà. A un certo livello di lettura, figure bibliche come Abramo e Sara sono i personaggi principali, e i mistici compagni interpretano le loro parole, le loro azioni e le loro personalità. A un livello più profondo, il testo della Bibbia è semplicemente un punto di partenza, un trampolino per l'immaginazione. Per esempio, quando Dio intima ad Abramo Lekh Lekhà ("Vattene ... verso la terra che Io ti indicherò"), lo Zòhar insiste nel leggere le parole ebraiche in senso iperletterale: "Va' verso di te", cerca profondamente al tuo interno e scopri là il divino.
Descrizione
In questo libro fondamentale Yosef H. Yerushalmi risponde a una domanda decisiva: che cosa gli ebrei hanno scelto di ricordare del loro passato e in che modo lo hanno, di volta in volta, preservato, trasmesso e rivissuto. In quattro capitoli che vanno dalle origini bibliche fino ai giorni nostri, Yerushalmi fornisce un quadro che è insieme brillante ricostruzione di fatti e riflessione generale su cosa significa fare e scrivere storia.
L'Autore
Yosef Hayim Yerushalmi (New York, 1932-2009) insegnò per molti anni Storia e cultura ebraica alla Columbia University. Fu autore di importanti libri, anche tradotti in italiano, fra cui per la Giuntina il fondamentale Zakhor. Storia ebraica e memoria ebraica, e Assimilazione e antisemitismo razziale: il modello iberico e tedesco.
“Roberto Finzi non indaga tanto l’antisemitismo – quanto il pregiudizio che si annida o può annidarsi anche in chi è assolutamente scevro da ogni forma di antisemitismo e anzi lo condanna e cerca di spiegarlo per combatterlo. Tutti e tre i protagonisti di questi saggi sfatano, rifiutano, respingono l’antisemitismo. Non è molto importante che due di essi – Marx e Lombroso – siano ebrei, perché può esistere pure, in chiunque, una contorta violenza autolesiva, presente anche nella storia dell’ebraismo, col famoso ‘odio ebraico di sé’, che può essere spiegato e umanamente compreso quale reazione convulsa e sofferta alle persecuzioni, ma che rimane, intellettualmente, un fenomeno regressivo e può oggettivamente portare acqua all’antisemitismo pure più becero e feroce, come del resto è avvenuto.”
Dal saggio introduttivo di Claudio Magris
ROBERTO FINZI (Sansepolcro, 1941) ha insegnato storia economica, storia del pensiero economico, storia sociale negli atenei di Bologna, Ferrara e Trieste. Ha pubblicato con alcune tra le maggiori case editrici italiane e in numerose riviste italiane e straniere. Suoi lavori sono stati editi, oltre che in Italia, in Argentina, Belgio, Brasile, Cina, Francia, Gran Bretagna, Giappone, Spagna, Stati Uniti. Tra le sue opere si segnalano la cura di A.R.J. Turgot, Le ricchezze, il progresso e la storia universale (Einaudi, 1978) e le monografie L’antisemitismo. Dal pregiudizio contro gli ebrei ai campi di sterminio (Giunti-Castermann, 1997), L’università italiana e le leggi antiebraiche. (Editori Riuniti, 1997), Ettore Majorana. Un’indagine storica (Edizioni di storia e letteratura, 2002) e La superiore prosperità delle società civilizzate. Adam Smith e la divisione del lavoro (Clueb, 2008).
"Il fondamento dei fondamenti e il pilastro delle scienze consiste nel sapere che c’è un Esistente primo, e che Egli fa esistere tutto ciò che esiste; e tutte le cose esistenti nei cieli, sulla terra e tra di essi non esistono se non in virtù della verità della Sua esistenza. Se si arrivasse a pensare che Egli non esiste, non potrebbe esistere nessuna altra cosa. Se invece si arrivasse a pensare che, a parte Lui, non esiste nessuna delle altre cose esistenti, Egli solo esisterebbe e non si annullerebbe per il fatto che quelle cose si annullano; tutte le cose esistenti hanno bisogno di Lui; e Lui, sia benedetto, non ha alcun bisogno di esse, nemmeno di una."
Alcuni testi della letteratura ebraica parlano senza imbarazzo di una pluralità di volti e nomi di Dio, spesso associando la realtà suprema ai tratti fisici e psichici della persona umana. Ma dove conduce questa rappresentazione visiva, polimorfica e antropomorfica? E come si coniuga con il divieto dell’immagine che fonda l’Israele biblico? Un Dio che si rappresenta in più modi pare contraddire il luogo comune di un pensiero ebraico anti-mitico, cui è sottesa la distanza di YHWH, Dio unico e trascendente. È questa complessità di significati ad essere messa in gioco negli studi del Novecento e soprattutto degli ultimi anni, una problematica di cui il volume presenta le linee di ricerca e gli sviluppi più importanti, anche rintracciando nuove possibili letture delle forme e passioni di Dio, focalizzate sulla letteratura rabbinica ma aperte a tutto il mondo ebraico tardo-antico e medievale. Nella convinzione di fondo che l’identità culturale del giudaismo si sia costruita, fra grandi tensioni interne ed esterne, elaborando un codice linguistico di immagini e narrazioni concrete e cercando modulazioni sempre nuove delle (insopprimibili) figure del divino nell’immaginario e nel discorso esegetico.
La filosofia della storia sull'Olocausto ha versato fiumi d'inchiostro, ma al contempo sembra restare senza parole. Uno sterminio che interpella le filosofie del Novecento da Heidegger e i suoi allievi - Sartre, Gadamer, Arendt e Jonas - sino a Horkheimer, Adorno, Derida... Riflessioni che rimettono in questione la teodicea, la giustificazione del male: ma questa resta un pensiero-limite, un paradosso. V'è però un particolare filo della memoria che, intessendosi con il pensiero ebraico, va mutando la precomprensione della stessa filosofia. Il suo compito non si esaurisce nella definizione del male, ma nel "riparare il mondo dopo la Shoah", nell'opporsi al male in tutte le sue forme. Ecco l'originalità di Emil L. Fackenheim, con Levinas ispiratore di una 'filosofia della resistenza' al male che si alimenta per il fatto d'essere sopravvissuti. Massimo Giuliani ne presenta qui un testo diagnostico e programmatico: Olocausto. Un'inedita analisi, per il giudaismo e per la teologia cristiana: il male non può essere l'ultima parola, nonostante il male si può e si deve perseguire il bene. Un rovesciamento che ha un modello nei giovani della Rosa Bianca: col sacrificio della loro vita per opporsi a Hitler e all'illegalità, salvarono la dignità dell'uomo e della filosofia.