Tantrismo è parola su cui negli ultimi decenni si sono addensati in pari misura gli equivoci, la curiosità e gli studi rigorosi. Nella sua versione più diffusa e grezza, il tantrismo sarebbe una via che introduce a pratiche erotiche estreme. Ma in realtà una selva di dottrine metafisiche e pratiche rituali di ogni genere si collegano all'esperienza tantrica. In particolare lo sivaismo kashmiro, sviluppatosi a partire dal secolo IX e culminato nell'opera grandiosa di Abhinavagupta, apre prospettive audacissime di pensiero, soprattutto per la scuola dello Spanda ("vibrazione"), in cui speculazione e pratiche yogiche si intrecciano armoniosamente, corrispondendosi come due facce della stessa medaglia. Il libro di Dyczkowski è una limpida esposizione di queste dottrine, che solo negli ultimi decenni stanno riemergendo.
Composti nel IX secolo, "Gli aforismi di Siva" (Sivasutra) sono una delle opere basilari del cosiddetto Sivaismo del Kashmir, o Trika, "Triade". Riscoperti solo nel Novecento, gli insegnamenti delle scuole Trika - che rientrano nell'ambito più vasto del Tantrismo e sono improntati a un non-dualismo radicale (paramàdvaita, "supremo non-dualismo") - si sono andati rivelando i più alti raggiungimenti della speculazione e della spiritualità indiana di ogni tempo, e hanno attratto un numero crescente di studiosi e di ricercatori, dall'India all'Europa agli Stati Uniti. Secondo l'insegnamento essenziale del Tantrismo, il progresso spirituale deve essere visto non già come un cammino di negazione e di rinuncia, ma come una coltivazione e intensificazione di tutte le linee di energia che animano l'esistenza ordinaria e, in primo luogo, l'individuo nella sua fisicità e nelle sue pulsioni, compresa quella sessuale. Il mondo non appare quale un fosco e incerto sogno da cui risvegliarsi al più presto, ma come la spontanea espressione del divino, che per suo tramite si manifesta liberamente. In miracoloso equilibrio, il Tantrismo kashmiro si muove tra spiritualità, epistemologia e una avanzatissima speculazione che apre l'esperienza religiosa e filosofica alla contemplazione estetica - ed è proprio negli ambienti tantrici sivaiti che il pensiero estetico si definisce nella sua forma più compiuta, elegante ed estrema.
Il volume presenta in modo organico attraverso un contributo a più voci, la vita, la teologia e la spiritualità del monaco benedettino Henri Le Saux, che, arrivato missionario in India nel 1948, ha prima fondato l'ashram cristiano di Shantivanam e poi condiviso la vita dei sannayasin indù fino a vivere esperienze mistiche profondissime che rappresentano una pietra miliare del dialogo intrareligioso con l'induismo.
L’Induismo è sia un modo di vivere sia un sistema sociale e religioso altamente organizzato, ma diversa- mente dal Giudaismo – la cui essenza è la sottomis- sione al Dio Unico che si rivela nella storia e nella sto- ria agisce – l’Induismo è completamente libero da qualsiasi affermazione dogmatica relativa alla natura di Dio, e il cuore della religione non dipende mai dall’esistenza o non-esistenza di Dio, o dal que- sito se vi sia un solo Dio o molte divinità. Zaehner in questo suo saggio, pur essendo un con- vinto assertore dell'impossibilità di uno studio ogget- tivo del fenomeno religioso, adotta un metodo stori- co-fenomenologico che mira a cogliere la sostanza profonda e le costanti spirituali della tradizione indù, senza perdere mai di vista la prospettiva comparati- va, in nome della sua personale convinzione della sostanziale unità dello spirito umano. Lontano da un approccio antropologico, per scrivere il suo libro non sente la necessità di incontrare gli indù in India, fidandosi di più di quelli che incontra nei libri che ha a portata di mano nel suo studio o alla Bodleian Library di Oxford. Zaehner in ogni caso è sempre attento a presentare le fonti nel modo più serio e completo e a dar voce anche alle opinioni divergenti dalle sue, convinto – da uomo di fede – della genuinità e sincerità delle fedi altrui.
Tra il 1912 e il 1913 Rabindranath Tagore pronunciò per gli studenti di Harvard, rappresentanti ideali dell'Occidente, le otto conferenze basate sugli insegnamenti della sua scuola di Santiniketan qui presentate nella traduzione di Brunilde Neroni dall'originale bengali. Questo libro ha il significato di un incontro: il grande poeta indiano si fa interprete della propria civiltà e della propria cultura, isolando alcuni temi fondamentali ed eterni (l'amore, il lavoro, la bellezza) ed esplorando l'importanza che essi hanno avuto per i due mondi: quello in cui è nato e quello a cui si presenta. Lo fa con una prosa che ha la semplicità dei suoi versi, e che ci offre considerazioni di straordinaria attualità, affidate indifferentemente a una citazione di sant'Agostino o a un versetto delle Upanisad. La sua voce è quella di una civiltà antica e affascinante, che si è posta le stesse eterne domande dell'Occidente e ha dato risposte complesse e suggestive: nessuno poteva illustrarcele con più suadente autorità di Tagore.
L'hinduismo è un fenomeno religioso importante non solo per il numero dei suoi fedeli, ma per le sue valenze filosofiche, letterarie, sociali e politiche. A partire da un profilo storico - che valuta la genesi del termine, fonti e periodizzazione, così come le dottrine filosofiche, la devozione e il tantrismo, e i problemi relativi a colonizzazione e decolonizzazione - il volume passa in rassegna i temi principali come il sacrificio vedico e i riti di passaggio, i fini dell'uomo e gli stadi di vita, il pellegrinaggio e la retribuzione morale delle azioni. Infine, si sofferna sull'esame della situazione attuale, che prende in considerazione non solo la diffusione dell'hinduismo in madrepatria e nella diaspora, ma anche la teoria diffusionista (Out of India Theory), il dialogo interreligioso, il ruolo del maestro e lo yoga.
Molti indizi lasciano intravedere delle significative affinità tra il pensiero platonico e il pensiero indiano, che, se approfondite, rivelano l'unità della Tradizione sapienziale, al di là di confini spazio-temporali. Tuttavia questo tema rimane poco esplorato dalla ricerca accademica, costituendo una lacuna che lascia nell'ombra alcuni aspetti del complesso pensiero platonico. Il volume "Platone e il Vedanta" si propone di colmare, almeno in parte, questa lacuna, presentando ai lettori italiani due interessanti articoli sull'argomento apparsi in lingua inglese, il primo su Platone e lo Yoga e l'altro su Platone e le Upanishad, con un saggio introduttivo, Discriminazione tra sé e non sé in Platone, che traccia un parallelismo tra il Drig-Drishya-Viveka attribuito a Shankaracharya e l'Alcibiade I di Platone. I due articoli sono: Platone nella luce dello Yoga di Jeffrey Gold, docente di filosofia antica presso il Philosophy Department della East Tennessee State University, e Platone e le Upanishad dell'indologo Nicholas Kazanas, già Direttore dell'Omilos Meleton Cultural Institute di Atene.
Fra tutti i libri di Réne Guénon, "L'uomo e il suo divenire secondo il Vâdânta" è forse quello che più di ogni altro mostra l'intelaiatura del suo pensiero. Sottintendendo, naturalmente, che tale pensiero non pretende di inventare nulla, ma soltanto di esporre con la massima precisione un pensiero che da sempre è: la tradizione primordiale la cui dottrina, secondo Guénon, non traspare mai con altrettanta precisione come nel pensiero vedantico. Si può dire che il Vâdânta è una sorta di dottrina suprema. Nessuno ha saputo esporla in Occidente con l'evidenza assoluta che incontriamo in questo libro di Guénon. E nessuno ha saputo sgombrare il campo, con gesto non meno autorevole, dai numerosi, tipici equivoci occidentali intorno a tale dottrina, considerata da tanti una filosofia o una religione o "qualche cosa che partecipa più o meno dell'una o dell'altra", mentre non è in verità niente di tutto questo.
Dom Henri Le Saux (1910-1973) è stato il primo monaco benedettino e prete cattolico che ha raggiunto quello che la mistica dello Yoga denomina samàdhi. Trasferitosi nel 1948 dalla natia Bretagna in India, lasciò l'abbazia di Kergonan per fondare con Jules Monchanin un asram cristiano rispettoso delle tradizioni ascetiche indù. Dopo la morte del compagno, abbracciò la vita itinerante tipica dei samnyasin, vivendo in alcuni dei luoghi che la spiritualità indiana considera deputati alla ricerca interiore, come le rive del Gange o le grotte di Arunacala, dandosi a un'intensa vita contemplativa. Figura di riferimento del dialogo interreligioso, la sua missione è stata quella di mostrare all'Occidente un modo di vivere il cristianesimo fecondato dall'India, e agli indù una fede cristiana vicina alla loro sensibilità spirituale. Amico di Raimon Panikkar, con i suoi libri e la sua esperienza ne ha ispirato la ricerca teologica. Le Saux è così diventato un personaggio chiave per quegli occidentali che si interessano all'India e allo Yoga, così come per quella Chiesa missionaria che cerca di inculturare il messaggio cristiano nei contesti religiosi dell'Oriente.