La storia di Rut rimanda all'urgenza di conversione verso l'altro che ci rivela a noi stessi. L'altro è chi ci sta accanto, è l'incontro tra uomo e donna, prima forma di alterità a cui ci approcciamo: il modo di farlo dice molto di noi. Non solo, i flussi migratori attraverso quel Mare Mediterraneo che i Romani amavano chiamare Mare Nostrum, rivela sia il volto concreto di quanti chiedono accoglienza sia il nostro volto. L'incontro con l'altro capovolge e mette in crisi i luoghi comuni di cui spesso viviamo e a cui siamo insensatamente affezionati. L'incontro e il confronto con lo straniero, con il lontano che diventa prossimo è un misurare il nostro grado di umanizzazione. Rut ci rimanda a entrambi gli incontri, quello tra uomo e donna e quello con il migrante. Quella di Rut è la storia di una ragazza straniera decisa a sbarcare a tutti i costi in un paese ricco dove c'è pane. Una vicenda quanto mai attuale.
Intorno all’anno 400 la chiesa d’Occidente, di lingua latina, si trovò ad affrontare un problema: la Bibbia utilizzata, sia per la liturgia sia per lo studio, era un testo latino tradotto dal greco (la cosiddetta Vetus Latina), un testo che presentava vari errori di traduzione. Di qui la necessità di intervenire: se per il Nuovo Testamento si trattava solo di adottare un buon manoscritto greco, per l’Antico Testamento la questione si presentava più complessa perché il testo latino in uso era, sì, tradotto dal greco, ma questo a sua volta era stato tradotto dall’ebraico. Non era forse meglio risalire alla fonte? Si poneva un problema non solo linguistico ma di natura teologica: la Bibbia greca appariva più ampia di quella ebraica e anche nei libri comuni – che erano la maggior parte e i più importanti – c’erano frequenti varianti, talvolta di notevole spessore teologico.
Due padri della chiesa latina, entrambi venerati poi come santi, Girolamo e Agostino, presero posizioni opposte. Girolamo sosteneva che il testo ebraico dovesse essere preferito perché più antico: essendo scritto nella lingua originale, era il solo ispirato. Agostino difese invece il greco, perché aveva permesso alla Parola di Dio di essere accolta nel mondo pagano; apparteneva, quindi, alla storia della salvezza, diversamente dal testo ebraico. La vinse Girolamo e la sua Vulgata – testo latino corretto abbondantemente sull’ebraico, ma non del tutto – lentamente si impose nelle chiese di lingua latina.
Qual è ora, dunque, il significato di proporre in italiano la prima traduzione della Bibbia greca dei Settanta? Non c’è solo un intento filologico dietro questa impresa editoriale, ma la volontà di far conoscere un testo che può gettare nuova luce sulla nostra stessa cultura cristiana di oggi. D’altra parte, il testo greco della Bibbia non è un documento ad uso esclusivo degli storici del pensiero religioso: è un testo vivo, tanto da essere la Parola di Dio come è letta ancora oggi dai fedeli nelle chiese orientali.
(Paolo Sacchi)
Christopher Seitz affronta la prima parte del libro di Isaia con particolare attenzione alla prospettiva teologica in un tempo di decadenza etico-religiosa e di drammatiche vicende politiche. Paul D. Hanson esamina invece il testo dei cosiddetti Secondo e Terzo Isaia, fornendo preziose intuizioni sulla crisi della comunità ebraica nella difficile seconda metà del VI secolo.
Il presente volume è il completamento di quello già uscito nella stessa collana con il titolo Genesi 1-11. Il libro della Genesi si può considerare come un grandioso affresco suddiviso in due fasce: nella prima (capitoli 1-11) sono raffigurate le origini del mondo e dell'umanità, nella seconda (capitoli 12-50) quelle del popolo ebraico, dai patriarchi fino a Giuseppe. La prima parte non si comprende a fondo senza continui rimandi alla seconda. Questo volume invita alla lectio della seconda parte (capitoli 12-50). Il testo si snoda in due cicli narrativi ben distinti: quello di Abramo/Isacco/Giacobbe e quello del romanzo storico di Giuseppe. Il presente volume è una valida proposta di lettura interpretazione e attualizzazione di queste ricche pagine bibliche.
La domanda al centro dell'itinerario di discernimento proposto da Carlo Maria Martini è semplice ma cruciale: "Dove sono?". È l'esigenza tipica di chi viaggia, di chi deve orientarsi (o riorientarsi). Il modello biblico è quello di Giacobbe, simbolo dello sforzo di capire dove ci si collochi in momenti oscuri dell'esistenza. Martini non delude nel descrivere attitudini e presunte risonanze interiori di un patriarca la cui vicenda non manca di interpellare e stimolare la riflessione dell'uomo. Giacobbe non si limita a compiacersi dell'esperienza di un attimo. Sa che è pericoloso lasciare nel vago le intuizioni di un istante illuminato dalla grazia, ma che bisogna andare verso la realizzazione di ciò che è stato promesso: essere, nella pochezza della nostra esperienza mortale, segno vivente di una benedizione estesa a tutte le generazioni della terra.
Ogni interpretazione che voglia fissare un significato definitivo alle parole di Qohelet manca il bersaglio non tanto in questo o quel contenuto che gli attribuisce, ma proprio nell'attribuire un senso definitivo alla sua stessa dinamica testuale. Qohelet non pretende di imprigionare l'uomo con la sua sapienza; non impone la sua visione, ma espone alla condizione di crisi e al rischio etico e personale dell'interrogazione aperta. Di contro a un approccio solamente storico-critico del testo, Ponso offre una proposta interpretativa in grado di reintegrare testo e contesto, liturgia e interpretazione, mistagogia e senso testuale, oralità e scrittura, lettura e ascesi, vita e forme di vita. Lo fa richiamandosi all'approccio misterico-sacramentale proprio dei Padri, in cui i vari piani dell'esistenza sono integrati nella loro interazione continua e complessa, in un textum che non si limita alla mera lettera scritta, ma coinvolge il sentire, l'agire, il ritmo e l'armonia, la disarmonia e la continua conversione, i significanti e i significati. Questa è l'unica via non solo per una più corretta lettura e interpretazione dei testi sacri, ma anche per salvare le stesse forme di vita della fede cristiana.
«Sarò Dio per loro e loro saranno popolo per me». L’alleanza è al centro degli scritti biblici. Definisce la relazione privilegiata tra il Dio Uno e il suo popolo e chiama Israele a mettersi in piedi, a (ri)alzarsi nelle difficoltà, a camminare. Entrarvi significa assumere delle responsabilità particolari, verso se stesso, verso Dio, verso la creazione e tutta l’umanità. Dal Deuteronomio a Osea o Isaia, da Giosuè a Geremia, Ezechiele o Malachia, Israele è invitato a respingere qualsiasi forma di idolatria per rivolgersi al suo liberatore, un partner esigente e amorevole: YHWH.
Sommario
Presentazione (G. Billon). Introduzione. I. Quadro generale. II. Constatazione di fallimento e di rottura. III. Lettura di testi scelti. IV. Conclusione: l’alleanza, stabilità in movimento. Bibliografia.
Note sull'autore
Elena Di Pede, dottore in Teologia, è docente di Esegesi dell'Antico Testamento al dipartimento di Teologia dell’Université de Lorraine – Metz (Francia). Le sue ricerche vertono sui libri profetici, essenzialmente da un punto di vista letterario e sincronico.
I Salmi ci sono familiari per l'uso che ne fa la liturgia, molti si sono trasformati in canti. L'autore si è dedicato lungamente allo studio del Salterio, come è chiamata la raccolta dei 150 salmi biblici, seguendo una prospettiva unitaria, che avvicina questi componimenti non come singoli testi poetici o liturgici, ma come un vero e proprio libro. Un libro capace di interpretare in modo sorprendente, intimo e appassionato, le trame esistenziali di ogni generazione. Vengono qui presentati tutti quegli aspetti, teologici, lessicali e intertestuali, che ci possono aiutare a cogliere l'unitarietà del libro dei Salmi, predisponendoci a una lettura continua, dal principio alla fine. Con questo libro l'autore raccoglie i frutti della lunga esperienza di insegnamento a Gerusalemme, presso lo Studio Biblico Francescano. In queste pagine non troviamo solo il lungo e accurato percorso di ricerca di uno studioso, ma anche (e forse soprattutto) il cammino umano e spirituale di un uomo che ha fatto del Salterio, e di tutta la Bibbia in generale, il Libro della vita.
Un libro per accompagnare nelle preghiera con i salmi. La vita contemporanea ci spinge a correre sempre più veloce. Fin dal mattino siamo presi da preoccupazioni. È ancora possibile ritrovare quella pace e quella gioia che solo una vera comunione con Dio possono donare? È ancora possibile fermarsi a pregare? L’autore, condividendo con noi la sua esperienza di parroco e di educatore, ci testimonia che non solo è possibile, ma anche bellissimo. Il libro – nato da una serie di trasmissioni a Radio Maria – ci accompagna nella recita dei salmi. Queste preghiere magnifiche rimangono, dopo tanti secoli, una strada sicura per giungere fino a Dio.
Autore
Gianluca ATTANASIO (Milano 1968), laureato in filosofia presso l’Università Cattolica di Milano, nel 1995 viene ordinato sacerdote nella Fraternità san Carlo, dove ha ricoperto vari incarichi: segretario particolare del superiore, segretario generale, rettore della casa di formazione, vicario generale, incaricato pastorale giovanile al Rione Sanità (Napoli). Da settembre 2014 è parroco a Torino presso la parrocchia di Santa Giulia (g.attanasio@sancarlo.org). Per questa stessa collana ha pubblicato Con gli occhi della sposa. I misteri del rosario (2013); L’Amore che non muore. Meditazioni sulla passione di Gesù (2015); Suor Faustina. La santa della Misericordia (2015), Camminando verso la luce (2016), Custodire il cuore (2018). Per le edizioni Lindau ha pubblicato, insieme a Massimo Camisasca, Voglio che rimanga. Meditazioni sul Vangelo di Giovanni (2013).
Consegnata ai posteri dagli anonimi copisti medievali come continuazione dell'interrotta serie di sermoni sul Cantico dei Cantici di san Bernardo, la raccolta di sermoni di Gilberto di Hoyland (che fu anch'essa lasciata incompiuta per la morte dell'autore e viene qui per la prima volta presentata in traduzione integrale in italiano) è in realtà un'opera di grande rilievo e autonomia, ampiamente diffusa nel suo tempo e oggi immeritatamente sconosciuta, a motivo dell'ingiusto giudizio che ne formularono alcuni grandi medievisti degli anni Cinquanta. Si tratta invece di un'autentica miniera della teologia spirituale medievale, a cui attingere (con lettura continuata o sorseggiando qua e là) per istruttivi insegnamenti sulla ricerca di Dio da parte dell'anima innamorata di Lui.
Forse avevano davvero ragione i Greci, che in principio era il caos. Molte osservazioni della fisica moderna sembrerebbero confermarlo. Ma cos'è successo nei primi istanti di vita dell'universo? Davvero la scienza del XII secolo fa ritornare d'attualità il racconto di Esiodo, che racchiude l'origine del tutto in un verso splendido e fulminante: "All'inizio e per primo venne a essere il caos"? E oggi l'universo è il sistema organizzato e affidabile che ci appare o è dominato ancora dal disordine? Per rispondere, ogni giorno schiere di uomini e donne esplorano gli angoli più reconditi della materia, usano i grandi telescopi o i potenti acceleratori di particelle per ricostruire in dettaglio i sottili meccanismi attraverso i quali la meraviglia che ci circonda ha acquistato caratteristiche che ci sono così familiari, per cercare di capire quella strana singolarità che ha dato origine all'universo e raccogliere indizi sulla sua fine. Dunque possiamo dirci che gli acceleratori di particelle oggi, come il racconto dei Greci ieri, stanno cercando di rispondere alla più antica tra tutte le domande? E allora si vede come costruire una cosmogonia non sia più affare per specialisti e il mito e la scienza abbiano in fondo la stessa funzione: permettere all'essere umano di trovare il proprio posto nell'universo, "consentire a tutti di fare proprio il grande racconto delle origini che la scienza moderna ci consegna, per capire le nostre radici più profonde e trovarvi spunti con i quali affrontare il futuro".
«La donna nel giardino rende familiari molti aspetti della condizione umana descrivendoli e affidando ad alcune parole-chiave il compito di comunicare ogni loro sfumatura. Solitudine, desiderio, mancanza, limite, smarrimento, legame, relazione acquistano uno spessore diverso. Esprimono tutta l'umanità dell'umano» - Giovanni Santambrogio, Il Domenicale del Sole 24Ore
Nel racconto della Genesi il serpente mette in campo una precisa strategia e usa astutamente il linguaggio per condurre Eva sul proprio terreno. Ed Eva risponde. Avrebbe potuto farlo in un altro modo? E cosa avrebbe potuto dire? Quando si decide, quando si è soli nel decidere, non bisognerebbe mai perdere di vista quei legami che ci costituiscono proprio in quanto soggetti capaci di decidere. Il serpente non solo separa l'albero della Conoscenza da quello della Vita, ma separa anche (per opporli) Eva da Dio ed Eva da Adamo. La donna è dunque sola di fronte alla proposta di diventare come Dio. La scena non potrebbe essere più drammatica.