Mi pare felice l’espressione “donne impertinenti” che raccoglie in questa categoria donne che si distinguono non tanto per la loro grazia e femminilità, quanto piuttosto per il loro agire non convenzionale facendo cose, talvolta, del tutto inaspettate…
È importante, come sottolinea l’autore, ricordare il paradigma teologico soggiacente al libro dei Giudici che si rinnova nel corso della narrazione ed è costituito di quattro elementi fondamentali: la descrizione del male commesso da Israele (soprattutto il peccato di idolatria); la conseguente ira del Signore; la sottomissione di Israele alla forza dei suoi nemici; Dio che suscita un giudice-liberatore per portare a compimento il suo disegno di salvezza.
(dalla presentazione di Massimo PAZZINI)
Gabriele Maria CORINI (1975), discepolo del Cardinale Martini, licenziato in Scienze Bibliche ed Archeologia presso lo SBF di Gerusalemme (2003), ha conseguito il Dottorato in Teologia Biblica alla FTIS di Milano (2008). Membro dell’Associazione Biblica Italiana, è docente stabile di Sacra Scrittura presso l’ISSR regionale ligure, di ebraico e Profeti – Scritti presso la FTIS di Milano e parroco dell’Antica Collegiata di S. Ambrogio in Alassio (Sv).
È autore di numerose pubblicazioni a tema biblico, pastorale e spirituale, tra cui L’amico dello sposo. Storia di un’amicizia straordinaria con Carlo Maria Martini (2013); Contro la sciatica del cuore. Spunti biblici sulla divina Misericordia (2015); Non rimanere caduti. Le quindici malattie dell’amore cristiano secondo Papa Francesco (2016); Chi non serve non serve. Il volto bello dell’amore cristiano (2017); La riforma del cuore. L’Evangelium Gaudium come pratica della vita nel Vangelo secondo Matteo (2018) e Giudici. Introduzione e commento (2018); Israele tra memoria e identità. L’alleanza di Moab come manifesto programmatico della memoria fondatrice d’Israele (2018); I verbi della familiarità cristiana (2020); Donne impertinenti. L’intreccio narrativo al femminile nel Libro dei Giudici (2021).
La preghiera dei Salmi Penitenziali è stata il conforto nei momenti di lutto, di paura, di scoramento di quanti ci hanno preceduto nel cammino della vita. Anche nel nostro tempo queste preghiere, unitamente alle sette parole di Cristo sulla croce, possono diventare un sostegno per scendere nel proprio cuore fino a imparare a passeggiare serenamente sugli abissi dell'anima come dei funamboli che apprendono l'arte di sostenere il mistero di se stessi. In queste pagine l'autore intende scoprire, di questi testi così antichi ma sempre nuovi per la loro capacità di interpretare l'anelito del cuore umano, sotto la cenere di un linguaggio che forse ci sembra lontano, la brace da cui possiamo attingere la scintilla necessaria per riaccendere la fiamma della speranza. Una speranza che rischiari i luoghi e i momenti in cui dobbiamo misurarci con le nostre tenebre e dichiarare guerra alla paura che ci paralizza e ci rende troppo vulnerabili.
L'esilio è dimensione della condizione umana. I profeti accompagnano negli esili della vita, il che vale soprattutto per Ezechiele, che riceve la sua vocazione nell'esilio di Babilonia. La profezia è essenziale quando la vita deporta in terre straniere e la speranza e la fede rischiano di spegnersi.
Il profeta Osea sposa una donna che sembra divertirsi a tradirlo. Il lettore che si limitasse a compiangere la triste esperienza del profeta rischia di non cogliere il messaggio fondamentale del libro. Il protagonista del dramma non è Osea ma Dio stesso, che vuole costruire una storia d'amore con ogni credente. Osea ci rivela una dimensione umana della personalità divina: Dio, per sua scelta, si è legato all'umanità e l'ha fatta oggetto del suo amore. La gioia di Dio dipende dalla risposta dell'uomo. Gioele ci dice che la creatura umana di fronte alle disavventure è chiamata a mettersi davanti a Dio per cogliere il messaggio che Egli vuole inviarci. Se la nostra condotta è in sintonia con il progetto divino, ogni sciagura può diventare un momento di salvezza. Lo Spirito effuso su ogni credente suggerirà, di volta in volta, la risposta del Signore.
Il testo propone una serie di riflessioni bibliche aperte a tutta la comunità. La sua attualità è apparsa evidente poi, dopo la presentazione della Lettera Enciclica di Papa Francesco "Fratelli tutti". Guidati dalla figura del patriarca Giuseppe, infatti, il cammino proposto mira a rendere ciascuno consapevole del fatto che riconoscersi e vivere da figli e fratelli non è affatto scontato. Giuseppe è l'esempio di un uomo che ha saputo realizzare la propria vita attraverso il dono della Sapienza, nonostante tutte le difficoltà che incontra. È Dio a guidare le vicende umane, anche se segnate dal male e dal peccato; la Sua provvidenza emerge in tutta la sua tenerezza e misericordia. Così è per l'incontro di due giovani che avviano un cammino d'amore verso il matrimonio; così è per la nascita di un figlio in una famiglia; così è per una vocazione alla vita consacrata e al ministero sacro.
Il male che si accanisce contro Giobbe non può più essere concepito come una punizione, poiché egli non ha commesso alcun delitto; non può più essere una vendetta, poiché egli non ha colpito nessuno. Nel trovarsi esposto alla violenza insensata della sofferenza Giobbe si trova immerso in una esperienza intraducibile. Resta solo il grido rivolto a Dio come il modo più radicale della domanda. La stessa che egli porta nell'etimo del suo nome: Giobbe significa nella lingua ebraica «dov'è il padre?» Domanda che sovrasta ogni possibile risposta. «Il dolore di Giobbe - come scrive Recalcati - non può essere ricondotto all'ordine del senso perché nessuna teologia, come nessuna altra forma di sapere, è in grado di spiegarne l'eccesso». Il grido di Giobbe accade quando le parole sono costrette al silenzio, spezzate dal trauma del male. Esso non è indice di rassegnazione ma di lotta e di resistenza. Dopo La notte del Getsemani e Il gesto di Caino, con Il grido di Giobbe continua l'intenso e sorprendente viaggio di Massimo Recalcati lettore della Bibbia, impegnato a rintracciare l'eredità più profonda del pensiero psicoanalitico che si concluderà, a breve, con un'ampia e attesa opera.
Lo stile di Isaia indulge spesso al paradosso, all'ironia, all'ambiguità. È uno stile oscuro, che può condannare il destinatario antico e moderno all'incomprensione e all'indurimento (cf. Is 6,10 e 29,9-12). Integrando attenzioni sincroniche e diacroniche, il presente studio indaga tale aspetto sinuoso della lingua isaiana, esplorandone le concrete forme espressive, nonché l'impatto che esse ebbero sulla tradizione posteriore, cristallizzata nel deposito scritturistico. Pur non ignorando le molteplici sfumature di oscurità rinvenibili nel corpus di riferimento (Is 1-39), la ricerca si concentra su un segmento preferenziale dello stesso, il c. 29. Il testo, infatti, è frequentemente chiamato in causa per il suo carattere enigmatico, contradditorio, ambiguo. Nel suo insieme, Is 29 è anzi paradigmatico dell'oscurità isaiana: dei fattori che la produssero, dei coefficienti espressivi in cui essa si declinò, degli strascichi che essa lasciò nella tradizione posteriore e, infine, dello straniamento che essa continua a produrre sul lettore. Dall'indagine emerge una recezione controversa dell'espressività poetica del profeta, bilanciata tra accoglienza e superamento dei paradossi di siffatta comunicazione. Al contempo, l'indagine offre un quadro complessivo dell'oscurità isaiana, evidenziando, in particolare, la funzione poetica dell'ambiguità, dell'ironia e di un uso straniante della metafora.
Questo volume raccoglie e mette a confronto i passi dell’Antico Testamento che toccano, più o meno direttamente, il tema del matrimonio. È diviso in sei parti: racconti delle origini dell’umanità, leggi e consuetudini relative all’unione coniugale, parole profetiche, istruzioni e riflessioni sapienziali, composizioni poetiche ed invenzioni narrative. I testi sono tradotti dalla lingua originale e corredati da una spiegazione non troppo tecnica, accessibile ad un lettore di media cultura. Pierangelo Sequeri lo definisce “un valido supporto per la didattica teologica relativa all’argomento di cui tratta, ma anche, più in generale, come riscontro affidabile per l’istruzione e la predicazione cristiana interessate a rimanere in un corretto rapporto con la testualità biblica pertinente” (dalla Postfazione).
Bruno Ognibeni, presbitero della Chiesa di Piacenza, è stato docente di teologia biblica presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia. Tra le sue pubblicazioni si annoverano Tradizioni orali di lettura e testo ebraico della Bibbia, Friborgo 1989; La seconda parte del sefer ’oklah we’oklah, Madrid 1995; Il matrimonio alla luce del Nuovo Testamento, Roma 2007.
Il presente studio tenta di ripensare la sofferenza attraverso un approfondimento condotto secondo un’angolatura particolare: quella della «ferita», a tutt’oggi priva di una trattazione specifica tra gli studi scientifici. Dopo un sintetico status quaestioni se un’analisi della terminologia biblica, si esaminano due pericopi di Geremia e il Salmo 38, l’unico del Salterio dove ricorre esplicitamente il tema in questione. Lo studio esegetico è condotto secondo le regole dell’approccio sincronico, in quanto più consono alla tradizione sia giudaica che cristiana. Attraversate le esperienze del profeta di Anatot, dell’orante del Salterio, del Servo di Isaia e del rabbi di Nazaret, morto e risorto, l’Autrice propone la ferita non solo come prospettiva ermeneutica entro cui leggere la storia, i rapporti con gli altri uomini e quelli con Dio, ma anche come luogo speciale e inedito in cui l’uomo si pone per vivere il dolore con uno spiraglio di futuro. «Ritengo che il lavoro di Gabriella La Mastra sia un bel contributo alla riflessione biblica e teologica sul tema della sofferenza. La sua tesi è uno specchio nel quale è riflessa la sua vita, segnata sì dal dolore, ma soprattutto dalla sua fede incrollabile» (NuriaCalduch-Benages).
Gabriella La Mastra, laureata in Lettere e Filosofia presso l’Università degli Studi di Siena (1990), ha conseguito la licenza in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico (2004) e il dottorato in teologia biblica presso la Pontificia Università Gregoriana (2014). Insieme a don Sergio Carapelli e ad altre due sorelle, ha dato inizio alla Fraternità di San Lorenzo (Pomaio, Arezzo). La conclusione del percorso accademico è coincisa con l’inizio di un cammino di sofferenza: colpita da due tumori, si è spenta il 26 gennaio del 2018.
Non c’è un tempo più favorevole di questo per meditare e pregare i salmi. Molti salmi, infatti, sono nati nei momenti più tremendi della storia di Israele; e nei secoli, poi, hanno donato parole per pregare a chi non ne aveva più. Sono stati la prima preghiera di chi ricominciava a pregare; qualche volta sono diventati parole prestate a chi, senza la fede, aveva però il desiderio di pregare… I salmi parlano di noi, di loro, di lui, di me, di te. Sono un guado notturno di un fiume, un combattimento che non lascia mai indenni: segnano, in-segnano, feriscono, benedicono. Allargano l’orizzonte del nostro sguardo e affondano ogni immagine falsa di Dio. Sull’arca del Salterio c’è posto per tutti, veramente tutti, per quelli “per-bene” e quelli “per-male”.
Luigino Bruni (Ascoli Piceno 1966) è economista e storico del pensiero economico, con interessi in filosofia e teologia, personaggio di rilievo dell’economia di comunione e dell’economia civile. Editorialista di Avvenire, è ordinario di economia politica alla LUMSA dopo aver ricoperto fino al 2012 il ruolo di professore associato all’Università di Milano-Bicocca.
Quindici canti (Sal 120-134) che segnano i passi di un pellegrino che sale verso Gerusalemme, verso il tempio. Chi ha cantato questi salmi? Un pellegrino? Forse un esule che ritorna nella sua patria? Oppure un levita durante la liturgia del tempio? Non lo sappiamo. Tuttavia, questi salmi delineano un cammino spirituale di ritorno alla nostra terra, e di incontro con Dio e con gli altri, che ogni lettore oggi può sperimentare. I Salmi delle salite diventeranno come uno specchio per rileggere la nostra vita, quel “pellegrinaggio” che è la nostra esistenza.
Matteo Ferrari, monaco benedettino camaldolese della Comunità di Camaldoli, è biblista e liturgista, autore di diversi libri. È vicedirettore dell’ISSR “Santa Caterina da Siena” della Toscana per il Polo di Arezzo e docente nel medesimo Istituto.
A 97 anni, Annick de Souzenelle, autrice de Il simbolismo del corpo umano, affronta il capitolo quinto della Genesi, quello della genealogia di Adamo, e quindi dei patriarchi, da Caino e Abele fino a Noè. Dalla lettura dei testi ella ricava un’avvincente descrizione della posizione reale e simbolica occupata da questi grandi antenati. Ognuno infatti risulta essere un momento, un “mese” della gestazione del feto adamitico all’interno della nostra matrice cosmica. Spiega l’Autrice: «Torniamo perciò a quei sei primi patriarchi, inizialmente attenti a quanto essi ci rivelano della nostra umanità. [...] Ne darò conto finché ne ravviserò la ricchezza meditando sulla seconda parte della genealogia dell’‘Adam, offerta nel quinto capitolo della Genesi».