La collana Esh (il fuoco nella Parola) presenta il nuovo libro di Paolo Farinella, scrittore, biblista e teologo. L'autore mette in luce e in modo radicale la rivoluzione cristiana insita nella parola "perdono". Gesù ha manifestato una scelta controcorrente che produce lo scardinamento delle istituzioni e delle strutture di peccato che dominano il mondo e la chiesa: il perdono, sempre, il perdono che va oltre la quantificazione e che, superando il criterio tariffario, si situa sul piano di Dio, capovolgendo tutta la dottrina come si era codificata nella tradizione. Il libro mostra come il binomio "peccato/perdono" sia intrinsecamente legato perché i due termini esprimono aspetti diversi della stessa realtà. Un vuoto di qualsiasi genere (peccato) deve essere riempito da una forza più grande e sostenuta (perdono) per riequilibrare l'armonia della giustizia.
La superbia appare come espressione di un vasto insieme di vizi: orgoglio, tracotanza, boria esteriore, desiderio di abbassare gli altri per emergere, arbitrio. San Tommaso, sulla scia di sant'Agostino, la definisce "desiderio disordinato di eccellenza". Esiste, infatti, in ciascuno di noi il legittimo desiderio di realizzare pienamente se stesso. Si tratta di uno stimolo, potente e positivo, a cercare di dare il meglio nelle diverse situazioni. La forza seducente e il fascino della superbia consistono proprio nell'esaltare il desiderio naturale di eccellere, incentrando in modo assoluto l'attenzione su se stessi e oltrepassando la propria misura. Esistono rimedi? Innanzitutto favorire una sana autostima, virtù laica che si contrappone alla superbia ed è una qualità indispensabile per vivere, e poi trovare il modo di entrare nella complessità propria e altrui, affinando la capacità di ascoltare e la curiosità di capire se stessi e gli altri. La virtù opposta alla superbia è l'umiltà, che non va confusa con la ritrosia, la timidezza, la mediocrità, la vigliaccheria. L'umiltà, infatti, non comanda di esagerare i difetti né di negare le proprie doti né di fuggire tutti gli onori, ma ne reprime ogni ricerca esagerata e non giustificata per beneficiare dell'eccellenza in modo equilibrato.
Vizio difficile da descrivere, l'accidia è soprattutto incuria e indifferenza, scoraggiamento e disgusto, "male di vivere" e principio di disperazione. Essa si manifesta attraverso il languore inattivo, l'assenza di concentrazione, la lentezza nell'operare il bene, la noia generalizzata, la paura del vivere e del morire. Non è semplice pigrizia, ma debolezza dell'anima e assenza di attrazioni, anche se può manifestarsi come "fuoco inquietante" e umore euforico. Sentimento per sua natura oscuro, complesso, confuso e sfuggente, l'accidia è dunque capace di molteplici espressioni, talvolta opposte nella loro apparenza, ma unite dalla medesima radice: l'annebbiamento della gerarchia dei valori, che ricopre tutto di un manto grigio e omogeneo. Gli antichi la definivano "tentazione meridiana", poiché caratterizza soprattutto la metà della giornata, ma anche il mezzogiorno della vita, e in passato era considerata una malattia tipica della vita monastica. Oggi, al contrario, essa viene sempre più considerata come uno stato d'animo universale e moderno, innestato sulle ferite interiori, sull'indecisione e sulla mancanza di desiderio. Sull'incapacità di riaccendere uno sguardo svuotato e assente nella direzione della gioia e della letizia.
A fronte del processo invasivo delle strutture economico-finanziarie "ineque" (Evangelii Gaudium 202), il volume offre un insieme di informazioni e di argomenti in una sintesi convincente. Vi è svolta un'approfondita indagine sui valori morali della dimensione economica del vivere umano alla luce della Scrittura, della Tradizione, della riflessione teologica e della recente Dottrina sociale della Chiesa, ma anche alla luce delle conoscenze acquisite dalle scienze sociali ed economiche. Il rapporto dei cristiani con la ricchezza. La riflessione teologica in economia: un'indagine in munere non alieno. Gli attuali problemi economici e la proposta della Dottrina sociale della Chiesa.
"il denaro deve servire, non governare". Con una delle sue sintesi omiletiche che ormai abbiamo ben imparato a conoscere e ad apprezzare, Papa Francesco non ha fatto che ribadire, in fondo, il primato dell'umana creatura su tutto quanto è stato creato per essere posto a suo servizio. In che direzione dobbiamo cercare, allora, la forma buona dell'uso del denaro? O, detto altrimenti, che relazione debbono avere l'economia e i sistemi economici in rapporto agli altri poteri e alle altre forze che determinano i sistemi sociali e la vita dei popoli? Quale dovrà essere il contributo specifico dei cristiani nella governance dei processi economici? Che ruolo, in particolare, deve occupare la politica, che così spesso ci appare succube e ancillare rispetto alle leggi del mercato e alle decisioni che esse le impongono? Sono queste alcune delle domande e delle tematiche oggetto dei lavori del Colloquio e alle quali ci si è accostati con un approccio interdisciplinare.
TEMA MONOGRAFICO:
CORRUZIONE DILAGANTE
1. Il peccato va perdonato, la corruzione non è perdonabile (pag. 27)
2. Affrontare una corruzione onnipresente (pag. 31)
3. Corruzione nella tradizione politica. Mentalità coloniali e relazioni gerarchiche: uno sguardo a partire dall’America latina (pag. 44)
4. Grovigli legali. La saga della violenza sessuale in India (pag. 55)
5. Le risorse naturali africane e la corruzione (pag. 66)
6. Corruzione strutturale delle istituzioni sanitarie (pag. 77)
7. Corruzione nella Chiesa: esiste un’età costantiniana (pag. 91)
8. Dove sono le vittime? (pag. 105)
9. «La corruzione del meglio genera il peggio». Una questione cruciale per la Chiesa (pag. 114)
10. La validità della tradizione profetica e sapienziale contro la corruzione e il peccato strutturale (pag. 129)
11. Dio si lascia forse comprare? Una ricerca delle tracce (pag. 139)
FORUM TEOLOGICO
1. Senza Mandela cosa sarebbe mancato nella mia vita e nel mio lavoro? (pag. 153)
2. Libertà che si intersecano. Riflessioni sull’eredità di Mandela (pag. 158)
3. João Batista Libânio (19 febbraio 1932 – 30 gennaio 2014). In memoriam (pag. 163)
4. David Noel Power (14 dicembre 1932 – 19 giugno 2014). In memoriam (pag. 170)
"Se l'invidia fosse una malattia, il mondo sarebbe un ospedale". La sapienza popolare, facendo ricorso a proverbi e adagi, ha ripetutamente descritto, beffeggiato e condannato una passione torva e rancorosa che genera soprattutto maldicenze, diffamazioni e calunnie. Figlia della superbia, l'invidia impedisce di essere contenti di ciò che si ha, si rallegra per il male altrui, si angustia e si rattrista per ciò che gli altri possiedono. È un vizio che non procura vantaggio o piacere a chi lo coltiva, ma genera un'acuta e costante sofferenza. Anche se c'è chi la considera il "carburante che fa girare il mondo", perché attiverebbe energie altrimenti sopite incoraggiando l'emulazione, l'invidia è un sentimento triste e infelice che macera e tormenta interiormente, isola dalla realtà e falsifica le relazioni. Vasta è la galleria dei "grandi invidiosi", a partire da Iago nell'Otello di Shakespeare e da Uriah Heep nel David Copperfleld di Dickens. Anche la Bibbia non ne è esente: Caino invidia Abele, Esaù invidia Giacobbe, Saul invidia Davide. E persino gli dèi, narrano Erodoto, Eschilo e Pindaro, talvolta soffrono d'invidia per certi mortali troppo felici.
Un uovo con le zampe, un pollo arrosto, un maiale raffigurato con il coltello che lo sta affettando sono le delizie che si muovono, indisturbate e animate, nel Paese di cuccagna di Bruegel il Vecchio, un paradiso di polenta e di crostate, abitato da personaggi grassi e sguaiati. Se nutrirsi è un atto essenziale per la sopravvivenza, il desiderio eccessivo, disordinato e scomposto genera un vizio, quello della gola, nei confronti del quale si è di solito indulgenti, anche se i padri della Chiesa lo considerano la porta di tutti i pensieri malvagi e di tutte le passioni. Tenuto oggi sotto controllo da medici e dietisti, il piacere del cibo è considerato dalla saggezza biblica un dono di Dio e un segno della sua benedizione, purché gli eccessi della tavola non facciano dimenticare il dovere della carità nei confronti del prossimo, come ricorda la parabola evangelica del ricco epulone e del povero Lazzaro. Atto personale, ma anche sociale e politico, il mangiare, legato com'è all'oralità e al desiderio, investe pienamente la sfera affettiva. A tavola non si condividono solo le pietanze, ma si scambiano parole e discorsi, si nutrono le relazioni e si possono curare le ferite dell'anima che spesso si annidano proprio nel difficile rapporto con il cibo.
Il volume propone un approccio teologico-morale, e in dettaglio morale-sociale, al pensiero del teologo gesuita B.J.F. Lonergan, guardando soprattutto al trentennio 1945-1975: in questi anni l'intellettuale canadese entra in una fase di maturità culturale e teologica, proprio mentre vanno prendendo sempre più piede, in Europa e nel mondo, i temi dell'economia e della storia, frattanto divenuti molto importanti anche nel pensiero sociale della Chiesa o, come si dice, nella dottrina sociale cattolica.
Il libro si basa sull'esperienza clinica dell'autore e illustra le conseguenze che la "schiavitù" dei vizi capitali può produrre, in aggiunta ai quadri nevrotici e psicosomatici. Dopo un excursus sull'evoluzione del concetto di vizi capitali, in ambito storico-religioso, l'autore passa in rassegna i singoli vizi chiarendone la dinamica psicologica e la possibile sintomatologia nevrotica, psicosomatica e addirittura organica che può scaturire dalla scelta di eleggere uno o più di essi come "guida esistenziale". Il libro si conclude con proposte di "terapia" dei vizi, sempre tratte dall'esperienza professionale dell'autore.
Quest'anno il tema è stato declinato con l'approfondimento delle esigenze etiche della vita "in relazione", esaminate alla luce del comando biblico "Ama il prossimo tuo come te stesso". Interessante la "presenza" di Bonhoeffer nelle riflessioni. Relazione, responsabilità, interdisciplinarietà, visione "olistica" della persona umana sono le parole chiave ricorrenti nei contributi raccolti in questo volume, il terzo che il SAE ha dedicato ai problemi etici, che sollecitano a ricercare un modello di etica affrontando le questioni che le neuroscienze e la bioetica pongono continuamente agli uomini e alle donne di oggi: le nuove fragilità richiedono nuove abilità e maturità in chi se ne deve occupare. Inoltre vi sono possibilità tecnologiche formidabili che pongono, però, nuovi problemi. Le riflessioni bibliche ripropongono un'interpretazione dei testi che non vuole essere solo ermeneutica, ma chiede di sfociare in prassi di vita.
Interruzione volontaria della gravidanza, pratica eutanasica, uso delle biotecnologie, questioni di etica sessuale, trapianto d'organi: questi sono alcuni degli argomenti sui quali l'autore invita credenti, non credenti e diversamente credenti a entrare in dialogo, con l'obiettivo di evidenziare le vie che vengono seguite quando si pensa in ambito morale, le argomentazioni che vengono addotte, il ragionamento morale che sta a fondamento delle scelte. Sullo sfondo del rapporto tra fede e morale, l'interesse non è quello di far cambiare opinione al lettore, ma di mostrargli un metodo, attraverso casi diversi, per elaborare, sistematizzare e ripensare i fondamenti del ragionamento morale, fornendo, in ultima analisi, gli elementi grammaticali dell'agire morale. La convinzione profonda che anima l'autore è che sono il caso, le persone, la loro storia a dare contezza sulla ricerca del bene che, se vuole essere responsabile e rifuggire da risposte lapidarie e perentorie, deve tener conto delle possibilità concrete, del peso specifico delle circostanze, delle condizioni e delle conseguenze.