Le parole nuove sono spesso guardate con sospetto o diffidenza, quasi costituiscano una minaccia per il solido edificio della lingua. Ma il cambiamento è sempre segno di vitalità, non di corruzione, e i neologismi sono la spia più evidente di questa ricchezza creativa che si innesta nella continuità. Un tempo gli inventori erano i poeti, i letterati come D'Annunzio, ora tocca ai giornalisti e agli influencer. A volte si tratta di meteore, altre volte diventano simboli di una stagione: dal fattore k all'edonismo reaganiano, da Sua Emittenza al vaffa-day, dagli inciuci alle rottamazioni, dalla pandemia alla rivoluzione della tenerezza. Rileggere sessant'anni di storia italiana attraverso le parole che li hanno segnati riserva molte sorprese. E nello sguardo retrospettivo dell'autore, le epoche passate si rivelano in tutta la loro originalità. Presentazione di Luciano Canfora.
L'edizione, rivista e ampliata con l'aggiunta di 100 voci, del fortunato Dizionarietto che ricostruisce la "carta d'identità" della nostra cultura e permette di riscoprire la più formidabile macchina per pensare (e per sentire) mai elaborata: la lingua greca. Chi ha detto che il greco è marginale nel panorama delle lingue moderne o, peggio, che il greco antico è una lingua morta? Paolo Cesaretti e Edi Minguzzi propongono ai lettori una cavalcata interdisciplinare attraverso le parole (da "Abissale" a "Zoologia"), mostrando come l'universo linguistico greco sia il serbatoio concettuale di 3000 anni di cultura occidentale. Lo dimostrano anche i neologismi che hanno caratterizzato le scienze negli ultimi secoli (dalla fisica alla cibernetica, dall'economia alla psicoanalisi). Per ogni lemma si presentano l'etimologia, la fortuna culturale, gli esiti, spesso paradossali, nella lingua comune, le curiosità e l'uso, con brevi citazioni di passi greci proposti nell'originale, trascritti e tradotti.
La Grecia antica è a un tempo inizio e punto d’arrivo. Nella sua lingua si sono elaborati i fondamenti stessi della nostra civiltà, all’insegna di altissimi ideali come la giustizia e l’amicizia. I racconti eroici di Omero hanno trasmesso un’etica dell’eccellenza; la lirica di Saffo ha rappresentato i travagli e le gioie dell’eros; quella di Pindaro ha esaltato le glorie della competizione atletica; le storie di Erodoto e Tucidide hanno indagato le differenze tra i popoli e i motivi dei conflitti; le tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide hanno portato in scena il dramma della libertà individuale; le commedie di Aristofane hanno criticato le derive della democrazia e posto in primo piano la formazione dei giovani; i dialoghi di Platone hanno dato voce alle ambivalenze del reale; i discorsi di Demostene hanno insegnato a difendere la libertà dalle sopraffazioni più temibili… Dopo averci iniziato all’utile inutilità del latino, Nicola Gardini volge ora lo sguardo alla madre ideale di tutti noi e ci accompagna alla scoperta di una lingua di infinita ricchezza, fitta di contrasti e di parallelismi, costruita sul confronto e sull’antitesi, che ancora può aiutarci a interpretare la complessità dei nostri tempi, invitando a comporre i dissidi in convergenze.
C'è un luogo comune e universale che ha dato vita all'umanità e in cui ogni essere umano continua a nascere. Questo luogo è il discorso, il sermo, direbbe Orazio: liquido amniotico dello spirito che ci traghetta dalla natura alla cultura, dalla vita istintiva alla vita sociale. Questa semplice evidenza reca però con sé tutti i problemi e i paradossi delle nostre credenze e dei nostri saperi, quindi i limiti delle nostre pretese verità e l'ambiguità di una presunta idea di realtà che da molto tempo ci accompagna. Il libro ne attraversa esemplarmente numerose figure emblematiche: dall'idioma dell'antico mondo della poesia cinese alla riflessione greca sui nomi, ai dialetti e alle lingue del medio evo e del mondo romanzo, alla formazione della nostra lingua volgare, sino ai lessici paradossali delle moderne scienze della natura e alla evoluzione darwiniana delle forme di vita. Da questi e da ancora altri percorsi emerge la proposta di una nuova etica del discorso, che ne curi le cecità e le superstizioni: estremo dono della filosofia al senso dell'uomo planetario in cammino.
Il linguaggio non è uno strumento: è una condizione in cui abitiamo e viviamo senza nemmeno accorgercene. Pensiamo a un piccolo aneddoto raccontato dallo scrittore David Foster Wallace: «Ci sono questi due giovani pesci che nuotano e incontrano un pesce più vecchio che nuota in senso contrario e fa loro un cenno, dicendo: Salve ragazzi, com'è l'acqua? E i due giovani pesci continuano a nuotare per un po' e alla fine uno di loro guarda l'altro e fa: che diavolo è l'acqua?». Il linguaggio è come molti aspetti del vivere quotidiano: proprio perché presenti da sempre sullo sfondo dell'esistenza, ci sono sconosciuti, diventano pressoché invisibili. Un libro che spiega al lettore la "tecnologia del linguaggio" e il linguaggio come tecnologia, cioè un'abilità e un'abitudine che è di tutti noi e che è sorprendete analizzare: a cosa serve? Come è nato? Perché lo abbiamo sviluppato in un certo modo? Qual è il suo futuro?
Alla luce dei grandi cambiamenti linguistici, la Bibbia è ancora un testo attuale? Gli autori dimostrano come i mutamenti culturali non mettano fuori gioco la Bibbia che, anzi, pone alla luce tutta la sua contemporaneità, esalta il suo singolare modo di significare la realtà e di trasformarla. La Bibbia è Parola viva in cui, anche l'uomo di oggi, riesce a trovarne il significato nella sua quotidianità. Un testo che pone in evidenza il carattere assolutamente originale e unico del modo di operare del linguaggio biblico. Attraverso una rassegna storico-critica del mutamento linguistico, gli autori dimostrano come il linguaggio biblico rimane significativo sempre e sia qualcosa di assolutamente unico e autentico nella storia dell'umanità.
«Chi scrive per dire qualcosa di utile agli altri, anche a uno solo, si chieda, finita la prima stesura, se le parole e frasi che ha scelto sono le più adatte al destinatario, le più adatte a farlo entrare nel senso che gli si voleva comunicare.»
Un grande classico del più grande linguista italiano per imparare a scrivere e parlare in modo semplice e preciso.
Andrea Marcolongo ha scelto le sue personali 99 parole. E di ognuna di esse, con eleganza e leggerezza e al tempo stesso infinita cura, ricostruisce il viaggio. Ma come ci si prende cura delle parole? Innanzitutto riappropriandoci della storia, seguendo il viaggio che un termine ha percorso per arrivare fino a noi. Tutt'altro che sterile e fine a se stessa è dunque l'arte di ricostruire le etimologie. È lente per mettere a fuoco chi siamo stati, chi siamo. E chi vogliamo essere.
È possibile preservare le parole dalla volgarizzazione pubblica? Quali circostanze favoriscono l'emergere e la trasmissione delle parole migliori? Che tipo di attività è l'ascolto? Quando è appropriato il silenzio e quando è giustificato gridare? Nello spazio pubblico, la democrazia ha bisogno di parole che circolino senza ostacoli e spesso le parole che si sentono sono quelle che meno lo meritano. Nelle reti e nei media le parole sono raramente coltivate con cura. Rimane al cittadino, rimpicciolito da una connessione ubiqua, la libertà di selezionare le voci a cui concedere autorità, che meritano di essere ascoltate. In tutti questi casi, la libertà di parola è sempre un atto di resistenza e di coraggio. Ma le parole giuste, quelle migliori, ci dice l'autore, ovviamente non si trovano nel pubblico, ma altrove, nei fenomeni quotidiani: «Per sentirle non ci vuole altro che fermarsi ad ascoltare come si parlano quelli che non soltanto condividono una lingua, ma anche l'aria, l'affetto e il destino». Prefazione di Alessandro Ferrara.
La lingua madre della Città Eterna è il latino, ma davvero gli antichi romani parlavano solo quello? E come siamo passati dal latino al romanesco? Si può dire che Roma non abbia un vero dialetto ma una parlata? Luca Serianni risponde a queste domande partendo dai primi insediamenti etruschi e latini per arrivare alle lingue contemporanee della capitale, passando per la fase cruciale dei Papi medicei del Cinquecento, la cui corte è principale artefice della "toscanizzazione" del volgare parlato a Roma. Ma sono tante le incursioni linguistiche che hanno modificato il romanesco arcaico. "Le mille lingue di Roma" è una mappa che segue le sorti alterne di una lingua forgiata da dinamiche costanti di integrazione e che ha per risultato l'essenziale e originario plurilinguismo della nostra capitale.
Chi parla, soprattutto se da posizioni di autorità o in contesti istituzionali, ha una pesante responsabilità: ciò che diciamo cambia i limiti di ciò che può essere detto, sposta un po' più in là i confini di ciò che viene considerato normale, assodato, legittimo. E cambiare i limiti di ciò che può essere detto cambia allo stesso tempo i limiti di ciò che può essere fatto: ci abituiamo a una mancanza di attenzione e vigilanza sulle parole, che rende più accettabile la mancanza di vigilanza sulle azioni. Il silenzio, l'indifferenza o la superficialità con cui spesso accogliamo gli usi offensivi di altri corrono il rischio di trasformarsi in consenso, approvazione, legittimazione - e muta noi in complici e conniventi. Così il libro indaga una delle declinazioni più interessanti del tema della violenza: quello che è diventato comune chiamare hate speech ('linguaggio d'odio' o 'discorso d'odio'). Con questo termine si indicano espressioni e frasi che comunicano derisione, disprezzo e ostilità verso gruppi sociali e verso individui in virtù della loro mera appartenenza a un gruppo; le categorie bersaglio dei discorsi d'odio vengono identificate sulla base di tratti sociali come etnia, religione, genere, orientamento sessuale, (dis)abilità. Lo hate speech raccoglie usi discorsivi estremamente vari: dalla propaganda nazista alle leggi sull'apartheid, dal discorso ideologico di certe formazioni politiche fino agli esempi quotidiani di linguaggio d'odio divenuti ormai tristemente frequenti. Un tema diventato ancor più d'attualità con il diffondersi dei nuovi media: commenti sessisti, insulti razzisti e attacchi omofobici hanno trovato un ambiente ideale per esprimersi online, dove spesso mancano mediazioni, filtri o (auto)censure.