
Oggi che i profitti delle multinazionali tornano a salire, il nostro Paese resta impantanato nella recessione. I poteri della grande industria svaniscono, sacrificati al mito dell'italianità (Alitalia), svenduti alla concorrenza estera (Telecom), decapitati da inchieste e arresti (Eni e Finmeccanica) o salpati direttamente oltreoceano (Fiat). Non va meglio ai poteri storti dell'alta finanza, che negli scandali Montepaschi e Fonsai hanno saputo aggirare anche la vigilanza di Consob e di Bankitalia. In questo stato di decomposizione, l'opinione pubblica ha trovato il capro espiatorio nella casta politica. In realtà stiamo vivendo l'eclissi di un'intera filiera del potere, che nel pubblico come nel privato non ha saputo né voluto affrontare il cambiamento e cavalcare la modernità.
"È stato come se cinque grossi camion, pur partiti in tempi diversi, fossero alla fine tutti insieme venuti a passare su di uno stesso ponte, già per suo conto pericolante: la 'democrazia del deficit', origine, a partire dagli anni Settanta, del terzo debito pubblico del mondo, la nostra maledizione nazionale; la decostruzione-privatizzazione dello Stato, con la creazione a fianco dello Stato di uno 'Stato parallelo' ancora più grande, costoso e paralizzante; il folle cumulo del decentramento amministrativo e del federalismo costituzionale; la forzatura sui tempi e sui modi dell'ingresso dell'Italia nell'euro; infine la globalizzazione. Nell'agosto-novembre 2011, mossa da enormi interessi esteri, una 'quinta colonna' ha infine minato il pilone portante di quello stesso ponte. Oggi in Italia non si compra, non si assume, non si investe. Una volta, a fianco dei costi c'erano anche i ricavi, oggi ci sono solo i costi. In queste pagine si formulano molte proposte concrete, come per esempio il 'rimpatrio' del debito pubblico, libera impresa in libero Stato, una fiscalità avveniristica nella sua semplicità. Ma tutto ciò potrà realizzarsi solo se il Paese saprà riappropriarsi della sua sovranità nazionale, eleggendo un governo che sia espressione di una vasta maggioranza popolare e perciò abbastanza forte da compiere, senza avventurismi e senza traumi, i passi necessari per ridare ai cittadini fiducia nel presente e speranza nel futuro." (Giulio Tremonti)
Nel 1990, agenti federali fanno irruzione in un'azienda di giochi americana portando via tutti i computer, alcuni dei quali mai più restituiti, anche quando le accuse che avevano portato al blitz decadono. Tra i giochi sequestrati, ce n'è uno di carte, "Illuminati". Che la vera ragione del sequestro siano le carte, che riportano immagini molto simili ad altre diventate poi notissime dell'esplosione delle Twin Towers, dell'aereo schiantato sul Pentagono o del maremoto di Fukushima, nessuno lo dice ufficialmente, ma, alla luce di quanto avvenuto nel 2001 e nel 2011, pare molto probabile. E può esserci un collegamento tra questo episodio e gli esclusivi incontri del Bohemian Club, che riunisce nomi come Rockefeller, Kissinger e molti presidenti americani, o del Gruppo Bilderberg, a cui fa capo il gotha della finanza e della politica europea e mondiale? Che esista un ristretto gruppo di persone talmente potenti da infiltrarsi in ogni ambito della vita sociale e politica mondiale e di influenzare ogni decisione che ci riguardi è ormai più che un sospetto per molti. Quello che non tutti sanno è che queste persone, note o sconosciute, farebbero parte di una società segreta di storiche origini, quella degli Illuminati. Verità? Menzogna? Esistono prove della loro esistenza? Adam Kadmon, il personaggio misterioso che raccoglie milioni di contatti sul web, di coincidenze - prove, forse? - ne presenta a centinaia.
Dove sono finite le appartenenze politiche? Non pochi sostengono che l'attenuarsi del contrasto tra opposte identità collettive è il segno di un passaggio della politica dall'infatuazione ideologica a una conquistata dimensione pragmatica. Ma le ragioni della contrapposizione Sinistra-Destra sono ancora tutte lì, sul tappeto "globale", potenziate e ingigantite dall'unificazione dello spazio planetario. Quel che più sorprende è che l'appannamento della Sinistra si manifesti proprio nel momento in cui esplode lo scandalo della diseguaglianza. È difficile sottrarsi alla sensazione che questo indifferenziato convergere di programmi e proposte della politica, questa rinuncia a dividersi sulle questioni di fondo derivi da una non dichiarata né dichiarabile impotenza, da un'obiettiva assenza di risposte alle questioni vitali del nostro vivere in comune.
Come si impara a essere cittadini, in Italia? Sono fondamentali la famiglia, la scuola; ma da millenni qualcos'altro ci educa a essere quello che siamo, ci lega al nostro passato e ci permette di costruire il nostro futuro: questa cosa si chiama "patrimonio culturale", ed è l'altra lingua degli italiani. Ne fanno parte il paesaggio, le opere d'arte, le biblioteche, gli archivi, i siti archeologici... Chi lo ritiene "il petrolio d'Italia", un magazzino di oggetti da affittare al magnate di turno o da svendere nell'ennesima mostra-evento, è un nostro nemico: ci sta togliendo un bene primario come l'aria, ci sta privando di un diritto fondamentale, come la salute o l'istruzione. Per questo, dopo aver denunciato i disastri della politica culturale italiana nelle "Pietre e il popolo", Tomaso Montanari scrive un libro sull'Italia possibile, su un progetto di comunità basato sulla cultura, su ciò che potrà essere la Repubblica italiana quando sapremo render finalmente concreto l'attualissimo disegno della Costituzione. "Istruzioni per l'uso del futuro" è un piccolo alfabeto civile: ventuno idee che ci mostrano come per trasformare un paese non bastano le nostalgie o le indignazioni ma servono responsabilità e conoscenza.
All'idea di democrazia sono stati attribuiti significati assai diversi. Ma se dalle definizioni ideali si passa alle realizzazioni storiche, quali strumenti di accertamento empirico offre la scienza politica? Lijphart individua una tipologia bipolare - modello maggioritario e modello consensuale - a cui riconduce regolarità e variazioni riscontrabili nei diversi paesi. Questa nuova edizione esce in un periodo di grandi sfide per le democrazie e offre un contributo insostituibile al dibattito sul loro "rendimento", un tema assai sentito in un paese come il nostro, incapace di scegliere tra l'uno e l'altro modello democratico.
Vent'anni fa, la neonata Forza Italia di Silvio Berlusconi usciva vincitrice dalle elezioni del 27-28 marzo 1994. Non è stata una fiammata episodica. Anzi. Il periodo che ci separa da quella data, fondativa del nuovo sistema partitico, è marcato dalla presenza del Cavaliere. Ripercorrendo le vicende politiche di questo periodo - ma anche degli anni Ottanta, che ne costituiscono l'incubazione - Ignazi mette in luce le origini del berlusconismo, i modi e le ragioni del suo dispiegarsi lungo un ventennio, i suoi punti di forza e di debolezza. Berlusconi si è posto al centro della scena politica grazie alle sue risorse, soprattutto nel campo della comunicazione, all'innovazione dei contenuti e dello stile, e alla balbettante reazione degli avversari. Ma il contenuto "rivoluzionario" della sua irruzione sulla scena politica in che modo ha modificato il sistema politico italiano? E quali esiti ha avuto? Siamo alla fine della parabola?
Siamo tutti scontenti dello Stato italiano. Governi e opinioni pubbliche delle altre nazioni europee, stupiti dalla mancanza di solidità e compattezza delle istituzioni e dalla loro difficoltà a governarci. I governanti nazionali, le cui politiche rimangono parzialmente inattuate. I governati, che lamentano costi e inefficienze dei poteri pubblici. I burocrati, frustrati e impotenti, per di più accusati del malfunzionamento dell'amministrazione. L'alta dirigenza, identificata come una casta. Le ragioni di questa situazione sono state ampiamente ricercate dagli storici. Mancava però una ricostruzione dall'interno della macchina statale italiana e un esame degli eventi esterni che ne hanno condizionato lo sviluppo nel secolo e mezzo di storia unitaria.
"Siamo chiamati a reinventare noi stessi in quanto specie", si legge in questo saggio scritto dal brasiliano Leonardo Boff, ex francescano, riconosciuto a livello mondiale come uno dei massimi esponenti della teologia della liberazione, e dal ricercatore e educatore statunitense Mark Hathaway. Il compito non è certo facile, ma per "liberazione", suggeriscono gli autori, va inteso un cambiamento radicale della coscienza umana. A occupare la scena è la crisi odierna, una società "spiritualmente" malata, ossessionata dalla crescita e dal consumo materiale, attaccata a valori che hanno portato al progressivo saccheggio delle risorse e all'aumento delle disuguaglianze. La grande sfida del XXI secolo è allora quella di invertire rotta, operando una trasformazione che sia allo stesso tempo individuale e collettiva. Come? Gli autori tracciano un cammino di guarigione - Tao è l'antico termine cinese per "via" - cercando il punto di intersezione tra la tradizione cattolica e quella orientale. Non solo, la rinascita spirituale che invocano si nutre dell'apporto di psicologia e fisica quantistica, femminismo e cosmologia, economia ed evoluzionismo. Solo incrociando le prospettive di scienze, religioni e saggezze antiche si può produrre una rivoluzione della percezione, il preludio al cambiamento delle nostre abitudini.
Esistono uomini talmente smisurati, complessi e contraddittori che sembra impossibile raccontarli. Per esempio, come si racconta la vita di uno come Sandro Pertini, che ha attraversato da protagonista tutte le stagioni del Novecento italiano? Da dove si parte: dal giovane soldato in azione tra le trincee della Prima guerra che, pur contrario al conflitto, combatte furiosamente e conduce i suoi soldati in imprese al limite della follia? Dal militante socialista, picchiato e bandito dal fascismo, che al fianco di Turati fugge dall'Italia su un motoscafo nel mare in tempesta? Oppure dal partigiano che, dopo quattordici anni fra carcere e confino, diventa intransigente giustiziere di camicie nere? O magari dall'ultima fase, dall'immagine benevola del vecchietto con la pipa? Rispondere a queste domande è la sfida del Giancarlo De Cataldo protagonista di questo libro. Sfida doppia, perché da un lato è chiamato a sceneggiare un film sul "Presidente di tutti gli italiani", dall'altro cerca di spiegare a suo figlio tredicenne la grandezza di quell'uomo, e il contrasto, doloroso, tra passato e presente. Ma per lui il combattente Pertini è qualcosa di più: è un'affinità elettiva, è l'integrità che illumina la lunga notte del regime e della prima repubblica, è l'orgoglio delle idee, è la furia della battaglia. E l'eroe incorruttibile, libero, severo, ma anche guascone e maldestro, che tutti noi vorremmo avere accanto.
Il 20 marzo 1963 Palmiro Togliatti tiene a Bergamo un discorso che ha come titolo "Il destino dell'uomo". È in corso la campagna elettorale, ma il segretario del Pci si tiene lontano dalle schermaglie tattiche del momento, e si impegna in una operazione politica di altissimo livello, cercando di costruire il terreno per una collaborazione tra il movimento operaio e il mondo cattolico sui grandi temi del nostro tempo, a partire dalla necessità di salvare l'umanità dalla minaccia della guerra nucleare. Bergamo è una città di fortissima tradizione cattolica, ed è anche la terra d'origine di papa Giovanni XXIII. È dunque chiaro l'intento di costruire un ponte con tutto il movimento riformatore che sta cambiando in profondità gli orizzonti culturali della Chiesa cattolica, con l'impulso decisivo del pontefice, che segna davvero una "svolta" nella storia della Chiesa. Dopo pochi giorni, l'11 aprile, viene promulgata l'enciclica "Pacem in terris", nella quale giungono a piena maturazione i nuovi orientamenti dottrinali della Chiesa cattolica, con un impatto fortissimo sulla società italiana e sull'intera comunità internazionale. A cinquant'anni da questi due eventi il volume propone una riflessione storica sull'attualità di Togliatti e di Giovanni XXIII e sulla loro convergenza di metodo e di approccio. Il libro pone l'accento non tanto sulle ideologie, quanto sulle forze reali e sulle possibilità di un incontro che avvenne sul terreno della comune condizione umana...
La classe dirigente italiana sembra essersi smarrita nei meandri del labirinto politico. Soprattutto, si è smarrita quella lunga tradizione di fiducia, consenso e speranza nell'azione pubblica senza cui è a rischio la stessa vita democratica. Così il Palazzo è oggi sfidato da una Piazza in tumulto e in nome della rete avanzano gli alfieri di un'idea (falsamente) assembleare di democrazia. Marco Follini, che quel labirinto lo ha frequentato a lungo, con un misto di passione e disincanto riflette in questo libro sulle cause dell'attuale disfatta. E giunge a una diagnosi: "la crisi della politica italiana è essenzialmente una crisi di potere". Per capire cosa ci ha condotti a questa impasse, Follini si addentra nel labirinto, ripercorre le vicende del potere nella prima e nella seconda Repubblica, in un bilancio amaro ma ricco di spunti preziosi. Se "il potere si è fatto di fumo e di nebbia e resta solo un po' di polvere nell'aria a ricordare i fuochi d'artificio che ci hanno abbagliato in questi vent'anni", forse non tutto è perduto. Per riguadagnare questo ventennio si dovrebbe "cambiare musica" e trovare una colonna sonora che accompagni in modo più armonioso la ricerca di nuovi equilibri: i violini di Mendelssohn - suggerisce l'autore -, contrapposti agli elicotteri di "Apocalypse Now". "Continuo a credere - scrive Follini - che un paese di grande civiltà debba tornare ad ascoltare il suono dei violini e non farsi troppo inebriare dal rumore degli elicotteri".