«La bufera del coronavirus ha scosso il mondo. In particolare l'Occidente ne esce indebolito, e bisogna domandarsi perché nelle società più avanzate e più ricche l'impatto del virus sia stato così devastante. Il fatto è che gli ultimi vent'anni di globalizzazione e di egemonia neo liberista hanno reso enormemente più fragili le nostre società. Non si tratta solo dell'indebolimento dei sistemi sanitari universalistici. Né soltanto della riduzione del welfare e della spesa sociale. Si tratta della crescita delle diseguaglianze e delle aree di emarginazione. Ma la crisi getta una luce impietosa su un altro aspetto non meno preoccupante. Cioè che società fragili, impaurite, prive di corpi intermedi e impoverite nelle loro basi culturali producono classi dirigenti sempre più casuali e improbabili». Con un saggio introduttivo su "La bufera del coronavirus".
Una riflessione su una visione differente dell'attuale modello di sviluppo e ordine sociale. Bisogna chiedere al mercato non solamente di essere efficiente nella produzione di ricchezza e nell'assicurare una crescita sostenibile, ma anche di porsi al servizio dello sviluppo umano integrale, di uno sviluppo, cioè, che mantenga in armonia tutte le dimensioni dell'umano. Il volume, grazie anche alle interviste a importanti studiosi (Leonardo Becchetti, Francesca Corrao, Francesco D'Agostino, Jean Pierre Darnis, Paola Marion, Eugenio Mazzarella, Stefano Zamagni) fornisce chiavi di lettura su temi di stringente attualità. Prefazione di Gianfranco Ravasi e introduzione di Giuliano Amato.
Con l'irruzione del Covid-19, le presidenziali USA 2020 sono divenute ancora più rilevanti non solo per l'America ma per tutto l'Occidente. La più ricca nazione del mondo rivela il suo lato debole: né la forza delle armi né la potenza del dollaro sono in grado di affrontare la sfida del momento. La democrazia americana ha saputo resistere a guerre, crisi sociali e tentativi autocratici: saprà ora battere Trump e risollevarsi dalla pandemia? La sua forza è il Genio americano che poggia sul Rule of Law e sul Bill of Rights. Dal 1790 il cuore della nazione batte al ritmo del voto presidenziale che anche quest'anno sceglie il suo leader. America First ha generato molti abusi di potere. In passato altri movimenti (nativismo, maccartismo, militarismo) hanno convertito il patriottismo in nazionalismo e l'amore per la propria comunità in razzismo, senza tuttavia rendere l'America illiberale se non per limitati periodi. Finora la nazione ha trovato gli antidoti per resistere alle involuzioni e difendere il suo regime di libertà. Cosa accadrà alle presidenziali di novembre di fronte all'irruenza di Trump e alla prova del Covid-19? Massimo Teodori con l'esperienza dello storico individua i dilemmi del momento: egemonia finanziaria o rispetto dei diritti umani? Populismo o democrazia? Se sarà confermato, l'attuale Presidente potrebbe trasformare in senso illiberale le istituzioni con un danno per l'Occidente democratico. Se Joe Biden andrà alla Casa bianca, gli Stati Uniti potrebbero riprendere la strada maestra, interna ed estera, tracciata dal Genio americano.
Un nomade globale, che vive tra Asia e America, sonda le radici culturali del binomio Oriente-Occidente. Accompagnandoci in un viaggio nella storia indispensabile per capire l’oggi con tutte le sue contraddizioni. E anche per interpretare le diverse risposte di fronte all’emergenza coronavirus.
È dai tempi di Alessandro Magno che l’incontro-scontro fra Est e Ovest ispira la nostra visione del mondo. «Noi» siamo concentrati sui valori e sui diritti del singolo, «loro» abitano un universo comunitario. Il dispotismo orientale, teorizzato da Marx e da altri pensatori dell’Ottocento, lo ritroviamo al multiplo nelle sue reincarnazioni contemporanee, da Erdogan a Xi Jinping. C’è poi il «loro» spiritualismo contro il «nostro» materialismo: un mito che si complica sempre piú nella modernità. Siamo passati attraverso le fasi dell’emulazione, talvolta dell’omologazione, del rifiuto, della rincorsa e del sorpasso, della riscoperta delle radici. È probabile che un punto di equilibrio non lo troveremo mai.
Ora che la pandemia ci ha abbattuti entrambi, resta da scoprire chi si risolleverà per primo, quale modello risulterà vincitore.
Il 6 aprile 1967 Theodor Adorno tenne una conferenza all'Università di Vienna il cui valore va ben oltre l'aspetto puramente storico e che può aiutarci a comprendere il tempo che stiamo vivendo. Risalendo alle origini del consenso ottenuto dai movimenti radicali di destra, il filosofo intendeva chiarire le ragioni dell'ascesa dell'NPD, formazione di destra che all'epoca stava registrando un certo successo nella Repubblica Federale Tedesca. Adorno mette in luce e collega tra loro in modo inedito vari elementi: il congegno sofisticato della propaganda e l'antisemitismo, il connubio tra perfezione tecnologica e un «sistema folle», l'individuazione di un capro espiatorio e l'odio ostentato verso gli intellettuali di sinistra e la cultura in generale, la tendenza del capitale alla concentrazione e la paura diffusa di perdere il proprio status sociale. Oggi lo «spettro» a cui la conferenza è dedicata non solo non si è dissolto, ma assume nuove e inquietanti sembianze. Diventa dunque ancora più importante prendere coscienza dei meccanismi dell'agitazione fascista e dei fondamenti psicologici e sociali su cui poggia. Nella consapevolezza che «se si vogliono affrontare sul serio queste cose, bisogna richiamare in modo perentorio gli interessi di coloro ai quali la propaganda si rivolge. Ciò vale soprattutto per i giovani che devono essere messi in guardia». La postfazione dello storico Volker Veiss contestualizza il testo e lo inquadra in una prospettiva attuale.
Un racconto corale di malinconia ma anche di felicità, che riporta alla luce i valori civili fondamentali che oggi dobbiamo difendere. Un grande romanzo collettivo di formazione di un soggetto fragile e inestimabile: la nostra Costituzione democratica.
"Chi è stato partigiano, resta partigiano per sempre."
La Resistenza e la sua memoria sono fatte di azioni e di luoghi divenuti simboli di un'epoca tragica ed eroica della nostra storia. Ma la memoria svanisce e gli errori della storia possono ripetersi. Quella dell'Anpi, di Gad Lerner e Laura Gnocchi è una corsa contro il tempo per dare voce a donne e uomini che nel 1943 erano giovanissimi, adolescenti o persino bambini. Cosa passava per la testa di quelle ragazze e di quei ragazzi quando furono chiamati a una scelta estrema, rischiosa e difficile come quella di conquistare anche con le armi una libertà che molti di loro non avevano mai conosciuto? C'è il ragazzo veneziano di buona famiglia che lascia il suo liceo un anno prima della maturità per andare in montagna in Friuli, senza avvertire i genitori, c'è la quattordicenne sfollata in un casolare sull'Appennino che si mette quasi per caso a fare la staffetta su e giù per i boschi, il suo coetaneo figlio di un antifascista perseguitato che si separa dalla madre vedova e prende dimestichezza nell'uso delle armi, trasformandosi da apprendista di fabbrica in combattente. Un grande romanzo collettivo di formazione di un soggetto fragile e inestimabile: la nostra Costituzione democratica. Ricordi personali, episodi drammatici, dinamiche familiari, rievocazioni di figure ingiustamente dimenticate, ma anche riflessioni sul cammino incompiuto dopo la Liberazione si intrecciano in un racconto corale di malinconia ma anche di felicità, che riporta alla luce i valori civili fondamentali che oggi dobbiamo difendere.
Il libro si compone di tre parti. La prima offre riflessioni sul problema della tecnocrazia, quale si è andato svolgendo nella nostra cultura. Il tono d'insieme è più teorico che storiografico, più attento a dottrine che a scelte e prassi di governo. La varietà delle occasioni di studio anche spiega certe riprese di concetti, e ritorni di temi, e affinamenti definitori. La seconda coglie riflessi tecnici o tecnocratici nella nuova fisionomia degli studî giuridici, ormai volti dalla formazione alla competenza, dal sapere al saper fare. L'ultima raccoglie saggi su figure, che o vissero l'esperienza del corporativismo tecnocratico o, su sfondi più alti e gravi, toccarono il rapporto fra decisione politica e competenze esecutive.
Il cuore del libro si svilupperà su due polmoni, la politica della città e la politica dell’Europa, attraverso 18 brevi studi, pensati come un unico spartito diretto dal curatore che ne assicura coerenza stilistica e contenutistica. Il lettore sarà accompagnato in un percorso tematico di ricostruzione della politica: dai nuovi linguaggi nella città all’urbanistica, dai beni comuni al terzo settore, dalla giustizia ai nuovi lavori nelle città. Le proposte contenute nel testo nascono dai fondamenti della dottrina sociale della Chiesa e da una comunità credente che da anni si riunisce per leggere spiritualmente i temi della politica e per approfondire insieme le loro competenze. Il volume ha il fine di parlare di politica da cristiani a partire dalle competenze e dai temi, di presentare una serie di volti che hanno costruito insieme una comunità, di offrire al paese un modello concreto di formazione.
Il 29 marzo 2020 gli italiani saranno chiamati a votare, in un referendum, sul disegno di revisione costituzionale approvato dal Parlamento nel 2019 con cui viene ridotto il numero dei parlamentari: 400 deputati anziché 630, 200 senatori al posto degli attuali 315. Viene inoltre modificata la previsione relativa ai senatori a vita, con lo stabilire che essi non possono mai superare il numero di cinque (esclusi gli ex Presidenti della Repubblica). A prima vista si tratta di una riforma semplice e assai limitata: in effetti così è, ma le conseguenze di essa, come il suo significato complessivo, sono di assoluto rilievo. Il presente lavoro analizza tali aspetti: perché e come si è arrivati ad approvare questo taglio; quali conseguenze esso avrà sui costi della politica, sul sistema elettorale come su quello dei partiti, sull’organizzazione del Parlamento, e così via. Cosa emerge dalla comparazione con i parlamentari e le riforme negli altri paesi? Ma anche: come inciderà la riforma sulla rappresentanza politica? Essa è reazione ovvero incentivo alle tendenze populistiche? Nell’ultima parte del volume sono ospitate alcune opinioni di costituzionalisti che, in modo sintetico, propongono il proprio punto di vista sulla riforma e sulle conseguenze dell’esito referendario.
«Raggiungeremo l'ordine democratico solo con la partecipazione di tutti in quanto persone, il che corrisponde alla realtà umana. E l'uguaglianza di tutti gli uomini, "dogma" fondamentale della fede democratica, dovrà essere uguaglianza tra persone umane, non tra qualità o caratteri, perché uguaglianza non significa uniformità. È, al contrario, il presupposto che permette di accettare le differenze, la ricca complessità umana e non solo quella del presente, ma anche quella dell'avvenire. È la fede nell'imprevedibile. Sarà un'utopia pensare che quest'ordine, invece di escludere delle realtà, le possa includere piano piano tutte quante?»
Il libro analizza il significato delle nozioni di popolo, autorità e democrazia nella tradizione del popolarismo, in un fecondo incontro con la tradizione liberale. Il punto fermo del popolarismo sturziano è un'idea di "popolo" del tutto differente da quella fornita dai populismi di ogni tipo. In particolare, il problema di fronte al quale Sturzo pone i cattolici riguarda la domanda se essi dovrebbero accettare un regime politico che nega le libertà, in cambio dell'ottenimento di privilegi. L'assenso verso tali regimi è impraticabile per un cattolico, a pena di sacrificare la propria coscienza sull'altare dell'idolo della Politica. Il popolarismo sturziano mette in discussione la nozione di popolo declinata al singolare, per declinarla al plurale. Tale pluralismo salvaguarda e presuppone il valore della coscienza individuale e non si lascia assorbire in un indistinto misticismo politico di impronta tanto giacobina quanto organicistica: il brodo di coltura di ogni populismo.
Altro che fine della politica, è proprio a questo punto del trionfo dell'individuo che si scopre che il mercato non basta. E' necessario che la politica ritrovi la forza di orientare lo sviluppo e di non subire l'egemonia di un vecchio pensiero liberista che ha fatto molte vittime anche a sinistra. Nel mondo delle interdipendenze non si può essere liberi da soli, senza gli altri o contro gli altri, ma solo in dialogo con gli altri.