Il Sistina è sempre stato, dalla sua inaugurazione, il teatro numero uno della capitale. Si sono esibiti, in questi settanta anni, i più grandi artisti del mondo, che hanno avuto modo di portare a Roma gli spettacoli più famosi del loro repertorio; sono transitati compagnie e gruppi, cantanti, strumentisti, fantasisti ed artisti di ogni genere conosciuti in tutti i continenti. Sontuoso palcoscenico della rivista, del varietà, del musical è diventato ben presto il tempio della commedia musicale, soprattutto per opera di Garinei e Giovannini, che lo hanno gestito fino al 2006. Il Sistina è oggi diretto dal Maestro Massimo Romeo Piparo, affermato artista e regista, che produce già da alcuni anni i suoi spettacoli o presenta repliche di classici nazionali ed internazionali, ma consente anche l’utilizzo del teatro ad artisti e compagnie che desiderano portare a Roma le loro rappresentazioni; ha assunto quindi una connotazione molto simile a quella dell’Olympia di Parigi e del Palladium di Londra. Questo volume, con la prefazione del Professor Umberto Broccoli, comprende la storia della costruzione del Palazzo Sistina, una biografia degli autori Garinei e Giovannini, una sintetica presentazione delle loro circa cento opere, tra riviste e commedie e di tutti gli altri spettacoli che vi hanno trovato posto in questi settanta anni. Il testo è corredato da 283 foto in bianco e nero e a colori. La maggior parte del volume contiene la raccolta di 80 interviste di personaggi che hanno reso celebre questo teatro o questo teatro ha reso celebri loro.
Se il 79% di noi dichiara di vivere in un perenne e diffuso stato d’ansia e 9 italiani su 10 si definiscono stressati, è perché non abbiamo mai imparato una cosa fondamentale: a spegnere il cervello.
Certo, per la maggior parte del tempo funziona che è una meraviglia, ci regala idee folgoranti, ricordi che scaldano il cuore, e ci sorprende perfino per la quantità di cavolate che riesce a tenere a bada contemporaneamente. Ma ogni tanto comincia a girare ininterrottamente a vuoto come l’ormai proverbiale criceto, senza riuscire a fermarsi. Succede perché la parte del cervello che è programmata per proteggerci non si è ancora adattata a distinguere il pericolo di una fiera che ci vuole mangiare da quello di un colloquio con il capo, o dai casini in famiglia, e nemmeno da quello del tizio che ci ha rubato il posto nel parcheggio, e si mette in ogni caso in allarme. In poche parole, non sa riconoscere le situazioni di vera emergenza da quelle che non lo sono. A questo si aggiungono poi le batoste che l’esistenza spesso ci assesta. Ansia, stress, irritabilità e compagnia brutta sono tutte strategie di difesa. E visto che nella nostra vita di ogni giorno di situazioni di questo tipo ne abbiamo a dozzine, il cervello, e di conseguenza noi, vive in perenne stato di allerta. Lo sa che non si fa così, ma non può farne a meno.
Ed è qui che entra in scena questo metodo ruvido e rivoluzionario. Con humor, pazienza, tanta competenza e una buona dose di sfrontatezza, la dottoressa Harper spiega cosa succede nel nostro cervello e ci guida in un processo fondamentale: “disincasinarlo” innanzitutto, e quindi addestrarlo a rispondere in maniera appropriata alle situazioni della vita quotidiana e ad affrontare una volta per tutte vecchi o recenti traumi che sono spesso alla base dei nostri disagi. Per insegnare al cervello a lavorare per noi e non contro di noi e riconquistare una volta per tutte la serenità e la felicità perdute.
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Quando pensiamo alla famiglia, la prima immagine che ci viene in mente è, con buona probabilità, quella di due genitori e dei relativi figli. D'altronde, oggi il concetto di famiglia è talmente interiorizzato e condiviso che quasi mai si riflette sul suo reale significato e sul ruolo che gioca nella vita di ognuno di noi. C'è persino chi sostiene di non averne una, ignorando che famiglia si è, prima di tutto, con se stessi: tutti noi, che ci piaccia o no, siamo anche la somma delle storie di chi ci ha preceduto. Proprio di questo tratta Ameya Canovi nel suo nuovo libro, partendo dal presupposto che ogni nucleo familiare è come un albero: le radici, forti oppure fragili, lo nutrono e sostengono, e i rami crescono dando origine, in alcuni casi, a foglie e frutti, in altri restando «a maggese». Insieme a coloro che sono venuti prima, quest'albero forma una foresta che può essere prospera e rigogliosa o, al contrario, poco accogliente. Trovare il coraggio di prendere il proprio vissuto e addentrarsi in quel bosco alla scoperta delle tracce di chi ci ha preceduto non è facile. Spesso, però, è l'unico modo per conoscere davvero se stessi. È questo il viaggio in cui ci accompagna l'autrice: fra trattazione, ricordi personali, soste riflessive e testimonianze in cui ogni lettore può riconoscersi, dimostra come ricostruire la propria storia familiare sia fondamentale per scoprire le proprie eredità emotive, la presenza di traumi transgenerazionali, il modo in cui ci relazioniamo a noi stessi e agli altri. Tenendo a mente che, qualunque siano la nostra storia e le nostre radici, è sempre possibile prendersi cura delle ferite e trasformarle in risorse.
Nel conflitto tra Russia e Ucraina diventa sempre più evidente il ruolo essenziale svolto dall'ideologia del Russkij mir - il "Mondo russo", la "Pace russa" - nello scoppio e nella prosecuzione della guerra. Questa inedita ridefinizione del mondo assume un carattere aggressivo in forza di una lettura della realtà che non è più soltanto geopolitica ma anche metafisica, e nella quale non è in gioco soltanto la Russia come Stato, ma anche la sua tradizione religiosa. Così, nel progetto totalitario di teologia politica elaborato da Putin, l'aspirazione è quella di costruire un nuovo ordine mondiale, purificato dagli elementi ritenuti estranei - i "nazisti ucraini", l'Occidente, i nemici della civiltà russa -, con l'esito paradossale che l'immagine tradizionale della Russia come incarnazione dei valori e della tradizione cristiana viene completamente deturpata.
Parole chiave del nostro linguaggio pubblico, «destra» e «sinistra» sperimentano, oggi più che mai, una straordinaria capacità nel connotare il campo della politica. Persino coloro che si mostrano scettici circa l'efficacia della distinzione, o la considerano insoddisfacente, tuttavia non sanno farne a meno e finiscono col riproporla mentre la negano. A distanza di trent'anni dalla sua prima edizione, questo «aureo libretto» - come fu subito autorevolmente definito - assume sempre più la statura di uno di quei rari classici del pensiero politico che possono essere ritenuti fondativi. Davvero Bobbio aveva visto lungo. Davvero la sua saggezza era riuscita ad arrivare alla radice della distinzione, il cui nodo di fondo sta nel diverso atteggiamento che le due parti mostrano nei confronti dell'idea di eguaglianza. Naturalmente eguaglianza e diseguaglianza sono concetti relativi: né la sinistra pensa che gli uomini siano in tutto eguali, né la destra pensa che essi siano in tutto diseguali. Ma coloro che si proclamano di sinistra danno maggiore importanza, nella loro condotta morale e nella loro iniziativa politica, a ciò che rende gli uomini eguali, o ai modi di ridurre le diseguaglianze; mentre coloro che si proclamano di destra sono convinti che le diseguaglianze siano ineliminabili e che non se ne debba neanche auspicare la soppressione. Nel dispiegare i suoi argomenti, Bobbio riesce a rendere conto, secondo il classico procedimento della sua argomentazione, delle «ragioni» di entrambi i campi: «Guardando le cose con un certo distacco, non mi domando chi ha ragione e chi ha torto. Anche se non faccio mistero, alla fine, di quale sia la mia parte». Questa edizione del trentennale si avvale di una nuova prefazione di Nadia Urbinati, che di Bobbio fu allieva, e che percorre qui tutte le tappe, le discussioni, i consensi e le critiche, che hanno fatto di "Destra e sinistra" un libro di riferimento, e che ne fanno oggi più che mai «una stella polare» per orientarsi nel nostro difficile e problematico presente. Il libro ripropone anche l'introduzione di Massimo L. Salvadori alla «edizione del ventennale» (2014) e una nota introduttiva di Carmine Donzelli alla «edizione del decennale» (2004).
"Credere e non credere" (1971) è un libro che, a oltre mezzo secolo dalla prima pubblicazione, resiste tenacemente a qualsiasi tentativo di inquadramento e di riassunto. Nato da una serie di conferenze tenute a Princeton nel 1966, affonda le radici in alcuni spunti che si ritrovano in lettere scambiate dall'autore con Albert Camus a partire dal 1945: è un libro, scrive Chiaromonte, «nato senza premeditazione, in tempi diversi, obbedendo allo stimolo di circostanze e letture diverse. Esso ha tuttavia un tema unico: il rapporto fra l'uomo e l'evento, fra ciò che egli crede e ciò che gli accade. La questione della Storia». Per discutere il problema, e senza alcuna pretesa di risolverlo, Chiaromonte si affida ai grandi romanzieri otto-novecenteschi, a partire da Stendhal e Tolstoj fino a Pasternak e Malraux, e lo fa perché il romanzo è il genere letterario che più di ogni altro ha saputo dare voce al dubbio, all'incoerenza. E perché «è soltanto attraverso la finzione, e nella dimensione dell'immaginario, che è possibile apprendere qualcosa sull'esperienza autentica dell'individuo».
Chi lavora sodo e gioca secondo le regole avrà successo e riuscirà a elevarsi fino a raggiungere il limite del proprio talento. Questa retorica dell'ascesa, sposata anche dal Partito democratico americano e dai partiti della sinistra moderata europea come soluzione ai problemi della globalizzazione, presenta un enorme lato oscuro. È un modello che, in una società nella quale l'uguaglianza delle opportunità rimarrà sempre una chimera, fornisce alle élite di sinistra il pretesto per abbandonare chi dell'élite non fa parte. E la conseguenza inevitabile è il contraccolpo populista degli ultimi anni, per combattere il quale l'unica strada è quella di dare una risposta alle richieste legittime che lo hanno scatenato.
La medianità è uno strumento di grande conforto per chi ha perso una persona cara. Ritrovarla attraverso le parole di un medium può placare un dolore lacerante e farci capire che loro ci restano accanto. Ma se all'inizio questa ricerca ha uno scopo consolatorio, in seguito per molti diventa una strada di crescita e di trasformazione interiore. Ecco perché il contatto con l'aldilà attrae sempre più persone. Se una volta lo spiritismo evocava ambienti bui e un po' inquietanti, oggi essere medium significa ampliare la propria ricettività e la capacità di comunicare con la dimensione da cui tutti proveniamo. L'autrice affronta questo delicato argomento in tutte le sue sfaccettature: le varie forme di medianità, come e dove sviluppare questa dote e i pericoli delle sedute. Inoltre, ci presenta molti soggetti interessanti che ha incontrato sia in passato nel suo percorso giornalistico, sia quelli della generazione più recente, degli ultimi vent'anni.
Il 19 gennaio 2018 Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah, viene nominata senatrice a vita dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Dopo l'orrore di Auschwitz, il ritorno alla vita e gli oltre trent'anni di testimonianza nelle scuole, si apre per lei una nuova fase: quella dell'impegno istituzionale. «Per uno strano destino», dirà il 13 ottobre 2022, inaugurando a Palazzo Madama la nuova legislatura, «quella stessa bambina che in un giorno come questo del 1938, sconsolata e smarrita, fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco della scuola elementare, oggi si trova addirittura sul banco più prestigioso del Senato». Sono tante, dopo la nomina, le attestazioni di stima e di affetto, ma arrivano anche minacce e messaggi d'odio. Serve la scorta. Liliana Segre però non si arrende e, a braccetto con i carabinieri, porta avanti la sua attività al servizio del Paese. Con analogo spirito civile, nel febbraio 2022, accetta di tenere una rubrica («La Stanza») sul settimanale «Oggi»: una possibilità di dialogo diretto con i lettori che va dalla sua storia personale ai temi della contemporaneità, come la guerra, la pandemia, le migrazioni, l'emergenza climatica. In questo volume, introdotto da una Prefazione di Carlo Verdelli, ritroviamo le rubriche scritte per «Oggi» e i discorsi pubblici più importanti che insieme compongono anche un racconto in presa diretta dell'Italia. In apertura, inoltre, in una conversazione con Alessia Rastelli, la senatrice spiega come abbia vissuto questi ultimi anni e da dove nasca il suo impegno. Mentre la Postfazione del figlio Luciano Belli Paci offre uno scorcio intimo, privato, su come sia cambiata la vita della madre e sul privilegio di esserle accanto.
La fase dell'«iper-globalizzazione», come l'ha definita il grande economista Dani Rodrik, sembra ormai al tramonto. La crisi finanziaria del 2008, l'inasprirsi della competizione fra Stati Uniti e Cina, la pandemia e la guerra in Ucraina costituiscono, infatti, altrettante tappe della profonda trasformazione dell'assetto politico ed economico internazionale delineatosi nei decenni precedenti, a partire dalla cesura del 1989. È tempo di pensare a una forma nuova di globalizzazione, fondata sul riconoscimento dell'interdipendenza e del pluralismo politico, giuridico e culturale. Il diritto può svolgere un ruolo importante nello strutturare e stabilizzare questo nuovo ordine globale se esso viene concepito, oltre il paradigma del globalismo giuridico, come uno strumento più flessibile di negoziazione e accordo fra interessi geopolitici inevitabilmente divergenti e tra Stati che non rinunciano in toto alla loro sovranità.
Questo libro racconta in prima persona la vita, per certi versi incredibile e miracolosa, di padre Gereon Goldmann (1916-2003), che da seminarista, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, riceve la chiamata alle armi nelle forze armate tedesche. Assegnato suo malgrado a un’unità delle SS, ne viene espulso per incompatibilità ideologica. Ma anche da soldato della Wehrmacht, per tutta la durata della guerra, Goldmann metterà al primo posto il suo impegno al servizio di Dio, arrivando più volte a rischiare la vita per i suoi compagni. Dall’invasione tedesca della Francia alla guerra nel Sud Italia fino alla prigionia nei campi francesi in Marocco, la testimonianza di Goldmann colpisce per la determinazione e la perseveranza che egli dimostra sia sul campo di battaglia sia in prigionia. In lui domina infatti non soltanto il desiderio di confortare i fratelli sofferenti, ma anche la devozione all’Eucaristia unita al costante impegno per l’evangelizzazione e l’attività pastorale, fino alla conclusione della sua vita come missionario in Giappone. Il libro ha riscontrato grande successo nel mondo, con numerose traduzioni nelle principali lingue, compresi giapponese e coreano. Negli Stati Uniti ne è stata realizzata una graphic novel.
La tecnologia sta cambiando il mondo a una velocità inedita e questo crea spaesamento tra i giovani che non possono più contare sull'esperienza dei genitori e devono costruire da soli il proprio futuro, mentre le altre generazioni vedono venir meno quelle certezze che avevano sempre considerato indiscutibili. L'unica risposta possibile è non aspettare, farsi trovare preparati. Un costante investimento su se stessi è lo strumento per mettere al sicuro il proprio futuro e garantirsi il successo nel mondo che verrà. La formazione è l'unica bussola capace di condurci attraverso le incertezze, l'unico investimento per costruire il nostro futuro. Davide Dattoli, un imprenditore della formazione digitale, e Claudio Ubaldo Cortoni, un monaco bibliotecario eremita, conducono il lettore in un viaggio attraverso nove percorsi di formazione che hanno caratterizzato il passato dell'essere umano e ancora sono attualissimi: per acquisire il sapere e giungere alla realizzazione di sé.