Complessi e variegati, vibranti e intensi, gli oggetti medievali richiedono esami ravvicinati, riflessioni profonde e approcci cinestetici. La cultura materiale del Medioevo, straordinaria nella molteplicità di significati che include e genera, offre a chi l'osserva una ricca esperienza visiva, spesso multisensoriale, sempre gratificante. Offre, inoltre, scorci di una società vivida o, meglio, delle molte società che erano in costante cambiamento e, a intermittenza, conversavano (e a volte litigavano con veemenza) tra di loro. Eppure, ogni oggetto ha la sua storia. Quindi, come scrivere la storia attraverso gli oggetti? Il presupposto del libro è che una storia del genere richieda una collaborazione intensa. Il suo predicato è una specie di triumvirato: una connessione tra storia dell'arte, museologia e storia. Ecco la scelta di produrre una storia del mondo medievale piena e ricca, basata sui cinquanta oggetti che abbiamo scelto per questo scopo e presentati in quattro fondamentali sezioni: Il sacro e il credente, Il peccato e l'occulto, La vita quotidiana e i suoi racconti, La morte e l'oltretomba. Storici di ogni tipo sono sempre più interessati a ciò che le cose materiali possono raccontarci del passato. Allora, come oggi, le persone vivevano in relazione con gli oggetti e questi ultimi davano forma ai loro usi, alle idee e alle emozioni. Ogni epoca ci racconta molto di se stessa con gli oggetti che crea, usa, apprezza e distrugge. Ma il Medioevo è particolarmente illuminato dai suoi oggetti materiali, perché la sua cultura era così in sintonia coi significati delle cose, dato che erano toccate, viste, udite, assaggiate e addirittura odorate: l'incenso che brucia in una moschea, il bagliore di luce di una spilla di granato, il canto in una sinagoga, il tocco delle dita su uno specchio d'avorio, l'ostia che si dissolve in bocca. Un libro per aiutare i suoi lettori a formarsi un quadro ricco del Medioevo, un mondo sorprendente e frustrante, estraneo e familiare e sempre intriso di meraviglia e contraddizione.
I mille anni del processo di cristianizzazione serba sono un capitolo significativo nella storia dell'evangelizzazione degli slavi.
In particolar modo il Medioevo ha rappresentato il momento in cui l'identità serba ha sviluppato i suoi fondamenti politici, sociali, filosofici e artistici.
Fondamenti che non hanno perso forza anche dopo la conquista ottomana della fine del xiv secolo e che hanno nutrito nei secoli la coscienza collettiva del popolo serbo e la lotta per una cultura serba indipendente.
I grandi monasteri, i dipinti, le miniature nati in questo periodo, che si collegano allo sviluppo del linguaggio, della letteratura e delle arti minori, sono tra gli esempi più vivi e tangibili dell'impronta di societas cristiana lasciata sull'Europa dall'Adriatico fino agli Urali.
Unicorni, draghi, grifoni: una folla di creature surreali e favolose, ma anche molto concrete e temute, popola la vita degli uomini intorno al 1000 e fino al Rinascimento. Santi padri del deserto, monaci, autorevoli predicatori assicuravano che la terra fosse gremita di bestie feroci, nonché di esseri mostruosi e ibridi. E poiché alle bestie si guardava alla luce della Creazione, ecco sorgere alcuni interrogativi fondamentali. Un uomo con la testa di cane doveva essere battezzato? Poteva Dio aver creato qualcosa di tanto orrido? Nel Medioevo si sapeva di vivere ormai in un paradiso perduto. Così come perduto per sempre - dopo la trasgressione dei progenitori - era il meraviglioso rapporto di subordinazione che gli animali, creati per servire Adamo, avevano intrattenuto con gli uomini. Questi ultimi non disponevano di armi efficaci per affrontare lupi, orsi e cinghiali, e ancor meno leoni, tigri e pantere, caso mai li avessero incontrati. Li soccorreva però una fervida fantasia, grazie alla quale venivano a patti con la paura. Dispiegate in arazzi, miniature, mosaici, sculture, dipinti, enciclopedie figurate, raccolte di mirabilia, Chiara Frugoni ci mostra le mille facce della storia di una relazione secolare, simbolica quanto reale, tra gli uomini e gli animali. Con un corredo di immagini che rende vivo, palpitante e nostro quel tempo lontano.
Le guerre medievali sono spesso rappresentate come scontri fra cavalieri, di norma risolti tramite eroiche singoiar tenzoni. In realtà, come ai giorni nostri, anche a quell'epoca, mettere in campo e approvvigionare un esercito era un'operazione complessa, che coinvolgeva truppe a cavallo e appiedate, tiratori e artiglierie, genieri e salmerie. Le battaglie e gli assedi, preparati con grande cura, potevano vedere in campo decine di migliaia di uomini. Eccezionali saperi, tramandati nel tempo e rodati in lunghi tornei, facevano di un aristocratico un vero cavaliere; le tecnologie incessantemente affinate mettevano a disposizione dei comandanti armi ed equipaggiamenti sempre più avanzati; mercenari e professionisti della guerra integravano sul terreno le milizie civiche e quelle contadine, in un multiforme quanto affascinante panorama.
Protagonisti del Medioevo come sant'Agostino, Carlo Martello, Averroè, san Francesco d'Assisi e santa Chiara, Giotto, Marco Polo, Dante, Giovanna d'Arco, Cristoforo Colombo. Ma anche figure chiave dell'immaginario collettivo e popolare come re Artù, il mago Merlino, Robin Hood, Satana. Sono 112 le storie di uomini e donne del Medioevo raccontate in queste pagine lungo dieci secoli di storia, dall'affermazione del cristianesimo in Occidente fino alla scoperta del Nuovo Mondo. Storie di vita vera che smentiscono la vecchia concezione di un Medioevo immobile e oscuro e lo ridisegnano come un lungo periodo creativo e dinamico. Ma anche storie immaginarie perché in una società il fantastico e l'illusorio sono sicuramente tanto importanti quanto le condizioni reali di vita e di pensiero. Un viaggio appassionante tra storie e immagini straordinarie, al fianco del più noto medievista al mondo.
Anche nel Medioevo troviamo donne disposte a vendere il proprio corpo «pro pretio, lucro et questu»: condannata e ritenuta una vergogna, la prostituzione era però considerata ineliminabile e persino necessaria. Giustificabile, perché salvava da mali peggiori come la corruzione delle vergini e delle spose e «l'abominevole vizio della sodomia». Ma qual era la posizione della Chiesa e dei pubblici poteri nel regolare questo fenomeno divenuto assai rilevante? Nel Trecento, infatti, si assiste ovunque in Europa al proliferare dei postriboli, a volte quasi piccole fortezze del piacere, a volte strade o quartieri riservati, e la vita delle donne pubbliche - forestiere o straniere, spesso sopraffatte dai debiti - dentro e fuori fu sottoposta a rigide norme.
Nel medioevo cristiano tutto è simbolo e tra i simboli della natura gli animali sono certamente i più affascinanti e misteriosi. È impensabile avvicendarsi nei meandri della cultura medievale senza conoscerne la zoologia sacra. E il genere letterario che la illustra è quello dei bestiari, raccolte di descrizioni zoologiche (spesso fantastiche) seguite da interpretazioni allegoriche o morali. Solo negli ultimi decenni questi testi sono diventati oggetto di ricerche, di edizioni e di traduzioni. Il presente volume presenta - con i testi originali a fronte - una trentina di bestiari, praticamente l'integralità delle opere che appartengono a questa tradizione, a cominciare dall'archetipo del genere, il «Fisiologo greco». In diversi casi si tratta di nuove edizioni o di testi mai tradotti prima in italiano.
Pochi periodi storici hanno suscitato, fra gli studiosi così come fra la gente comune, interessi e giudizi contrastanti come il Medioevo. Il libro di Chris Wickham getta uno sguardo nuovo sulla storia del continente europeo fra il 500 e il 1500, facendo piazza pulita dei tanti luoghi comuni che nel tempo hanno finito per incrostarsi su questi dieci secoli.
La storia del paesaggio urbano è quasi ancora tutta da scrivere. Per lungo tempo, a proposito della nascita prima e poi della crescita della città nel Medioevo in Occidente, sono stati privilegiati i fenomeni di natura strettamente economica per render conto dell'evoluzione del paesaggio urbano. Senza negarne l'importanza, si deve considerare che ben altri fattori decisivi meritano un attento esame. In particolare, occorre porre l'accento, da una parte, sui legami molto potenti esistenti tra il formarsi, il permanere o il degradarsi dei tessuti urbani o delle forme d'urbanizzazione in generale, e dall'altra sulle strutture politiche e sociali che governano gli uomini nelle città. E non si tratta soltanto di prendere in considerazione le istituzioni governative o amministrative, ma di vedere chi, effettivamente, dirige la città, quali categorie d'individui o quali gruppi la tengono in mano, e attraverso quali mezzi dichiarati od occulti; di precisare le loro origini e ancor più le loro organizzazioni sociali, il modo in cui si riuniscono, si appoggiano o si contrastano a vicenda. Paesaggi, poteri e conflitti sono inseparabili.
La storia di guerre e conquista inaugurata dalla Prima crociata è cosi densa e complessa che in genere se ne tralasciano i dettagli pratici, ricostruendone solo le battaglie salienti, le trattative successive e i cambi di potere in Tèrrasanta. Ma, ci spiega Christopher TYerman, le crociate erano innanzitutto una gigantesca macchina organizzativa: non solo l'accurata scelta del casus belli e la ricerca di alleanze e finanziamenti, ma anche l'arruolamento di migliaia di persone, la raccolta di armi, vettovaglie e cavalli e il loro trasporto dall'altra parte del Mediterraneo erano parte di una complessa organizzazione che nulla lasciava al caso, qualcosa di molto diverso dall'immagine "brancaleonesca" che conosciamo. Dettagliato e divertente, ricco di storie e curiosità, «Come organizzare una crociata» dimostra come questo fenomeno storico, che il razionalismo illuminista vuole figlio della religione più oscurantista e reazionaria, si basasse invece su una particolarissima forma di razionalismo pragmatico, che per certi versi, e in modi tortuosi, avrebbe poi gettato le basi della nostra modernità.
Gli ebrei sono presenti sui territori italiani da tempi remoti. Cittadini dell’impero romano, sono stati riconosciuti come tali durante le prime fasi della cristianizzazione. Nel periodo dal IV all’XI secolo, nonostante le polemiche conversionistiche, gli ebrei sono stati uno dei molti gruppi che componevano la complessa e multicentrica realtà italiana. Dal XII secolo alla fine del Medioevo questa relativa normalità divenne gradualmente una condizione minoritaria. Benché la storiografia abbia abitualmente rappresentato gli ebrei italiani soprattutto come specialisti del prestito a interesse e usurai pubblici, la loro presenza, precedente alla cristianizzazione stessa della penisola, fu in realtà caratterizzata da numerose attività professionali e da un’intensa produzione culturale, letteraria e giuridica. La componente ebraica della società italiana ha dunque attraversato i dieci secoli del Medioevo interagendo in diversi modi con la maggioranza cristiana. La storia della mutevole relazione del mondo ebraico italiano con la popolazione cristiana e con le élite che la governavano consente di rileggere la storia d’Italia alla luce della varietà etnica e culturale che le è propria sin da tempi antichissimi.
Fare la storia degli ebrei presenti nell’Italia del Medioevo significa scrivere un pezzo di storia italiana. D’altra parte, proprio perché la storia medievale dei territori che formavano la penisola italica è il punto di partenza della futura complessità italiana, parlare degli ebrei in Italia come di una componente strutturale della storia italiana significa mettere in discussione l’idea molto diffusa dell’omogeneità culturale e religiosa di questa storia, rimettere in gioco, dunque, l’immagine di un’Italia come realtà compattamente latina e cristiana da sempre. La rappresentazione postrisorgimentale, ma specialmente caratteristica della revisione storiografica fascista, dell’Italia come soggetto storico naturalmente e tradizionalmente unitario, storicamente unificato dalla religione cristiana, ha influenzato in modi diversi, talvolta anche contraddittori, la ricostruzione della presenza degli ebrei in Italia. Da un lato gli ebrei e le loro comunità sono stati descritti come una sorta di complemento della nazione italiana, un’aggiunta più o meno ben tollerata, dall’altro come una presenza diffusa localmente e comprensibile solo alla luce di vicende strettamente regionali o cittadine. In entrambi i casi, si è presupposto che la storia nazionale avesse una sua compattezza politica o almeno religiosa, e che l’esserci degli ebrei ricavasse il proprio significato unicamente dal rapporto con questo soggetto collettivo cristiano o con le sue configurazioni locali. Ebrei come rappresentanti di un ebraismo visto come appendice italiana di un cristianesimo dominante, oppure ebrei come presenze significative all’interno di contesti estremamente specifici, a loro volta da intendersi come tasselli del grande mosaico nazionale cristiano. In questo quadro, l’epoca medievale, in tutta la sua estensione e la sua complessità, ha giocato un ruolo importante anche se abbastanza equivoco. Si è infatti dovuto constatare che i modi dell’esistenza ebraica in Italia sono stati molto diversi, in primo luogo dal Sud al Nord, e poi che questa differenziazione è stata ulteriormente accentuata dal carattere tutto speciale e dall’intensità della presenza ebraica in alcune città o regioni: a Roma, in Puglia, in Campania, in Calabria, in Sicilia, e anche, dal Duecento, nell’entroterra veneto e in Friuli, Toscana e Umbria, ma non in Piemonte, Liguria, Abruzzo e Molise. Nonostante questo panorama molto variegato e discontinuo, si è venuta tuttavia tendenzialmente descrivendo una convivenza ebraico-cristiana che, seppure segmentata dalla differente conformazione politica del Sud e del Centro-Nord (Regno di Napoli e di Sicilia, e repubbliche, comuni e signorie centrosettentrionali) e poi spezzata dall’espulsione alla fine del Quattrocento degli ebrei dai territori italiani posseduti dalla Corona spagnola, avrebbe avuto una sua continuità tutto sommato pacificamente omogenea, caratterizzata dalla funzionalità delle presenze ebraiche all’organismo nazionale cristiano. In altre parole, la rappresentazione piuttosto artificiosa di un’Italia armoniosamente cristiana dal IV al XV secolo ha prodotto di conseguenza una complementare raffigurazione degli ebrei analogamente caratterizzata dall’univocità del senso di questa presenza.
Un senso che rimanderebbe, secondo questo schema semplificato, alla tolleranza o all’intolleranza religiosa cristiana, oppure ai bisogni e ai problemi economici e politici della società dei cristiani.
Il 6 agosto del 1284 è la festa di San Sisto: un giorno solitamente fausto per Pisa. Quel giorno, al largo di Livorno, nei pressi delle secche della Meloria, Genovesi e Pisani si affrontarono in una delle più grandi battaglie navali del Medioevo. La causa immediata è la contesa per il controllo della Corsica. In realtà, al centro v'è soprattutto il tentativo di affermare la propria supremazia su tutto il Tirreno al fine di salvaguardare le rotte per la Sicilia, l'Africa settentrionale e il Levante mediterraneo. In effetti, le due città giunsero allo scontro al culmine di una serie di rivolgimenti - dalla caduta dell'Impero Latino di Costantinopoli all'ascesa della potenza angioina, allo scoppio della guerra del Vespro - che mettevano in discussione gli equilibri raggiunti a fatica. La ricostruzione del volto di questa battaglia e della sua lunga preparazione consente di riportare alla luce, oltre alla brutalità del combattimento sul mare, il profilo di un Medioevo diverso: quello marittimo e navale, dove gli orizzonti improvvisamente si allargano e dove piccole città si rendono protagoniste di rivoluzioni - da quella commerciale a quella nautica, a quella finanziaria - capaci di mutare il corso della storia.