
Quando c'era Lui, il Duce, non solo i treni arrivavano in orario, ma si poteva lasciare aperta la porta di casa, perché l'ordine e la legalità erano così importanti da valere persino il sacrificio della libertà... L'immagine di un potere incorruttibile, costruita da una poderosa macchina propagandistica, ha alimentato fino a oggi il mito di un fascismo onesto e austero, votato alla pulizia morale contro il marciume delle decrepite istituzioni liberali. Ma le migliaia di carte custodite nei National Archives di Kew Gardens raccontano tutta un'altra storia: quella di un regime minato in profondità dalla corruzione e di gerarchi spregiudicati dediti a traffici di ogni genere. A Milano, Mario Giampaoli, segretario federale del Fascio, e il podestà Ernesto Belloni si arricchiscono con le mazzette degli industriali e con i lavori pubblici per il restauro della Galleria, coperti dall'amicizia col fratello di Mussolini. Il ras di Cremona Roberto Farinacci conquista posizioni sempre più importanti tramite una rete occulta di banchieri, criminali e spie. Lo squadrista fiorentino Amerigo Dumini tiene in scacco il governo con le carte sottratte a Giacomo Matteotti dopo averlo assassinato - che provano le tangenti pagate alle camicie nere dall'impresa petrolifera Sinclair Oil. Utilizzando i documenti della Segreteria Particolare di Mussolini e quelli britannici desecretati di recente, gli autori ricostruiscono l'intreccio perverso tra politica, finanza e criminalità nell'Italia del Ventennio.
L'Europa del Cinquecento, scoperta l'America, stermina in pochi decenni gran parte dei suoi abitanti. Ma nello stesso periodo l'Europa diventa anche uno straordinario laboratorio di pensiero. Chi sono gli "altri", animali da macello, utili schiavi, buoni selvaggi, nostri simili? La Spagna di Cristoforo Colombo e dell'imperatore Carlo V, di Hernán Cortés e dei missionari offre a questo dibattito un terreno particolarmente fertile. Bartolomé de Las Casas (1484-1566) arriva nelle colonie a diciotto anni. Come cappellano dei conquistadores è testimone delle loro stragi e di infinite crudeltà. Inizia a interrogarsi con temeraria onestà sulla sua presunta missione, gradualmente si converte alla causa degli indigeni e spende il resto dell'esistenza per fermare il massacro. Mettendo a frutto i tesori della sua formazione giuridica e teologica e la sua abilità politica apre spazi di dubbio e introduce novità teoriche prima impensabili. Las Casas arriva a negare la legittimità di tutte le guerre di conquista, a riconoscere il pieno valore delle culture indigene, a teorizzare la necessità di restituire ai nativi la libertà e la terra. È stato dipinto ora come il diabolico traditore della missione evangelizzatrice spagnola, ora come l'apostolo e il cantore degli indios. Oggi alcuni lo ritengono un profeta della decolonizzazione, altri un ambiguo corresponsabile dell'etnocidio culturale degli indigeni. Questo libro indaga la sua straordinaria avventura umana, politica e intellettuale.
"In quanto parola di Dio, il Corano è il fondamento della vita di ogni musulmano. Tutti i casi pubblici e privati, religiosi e secolari, rientrano sotto la sua giurisdizione". Questa visione predominante, peraltro formulata da un intellettuale arabo non fondamentalista, è probabilmente una delle principali cause dell'evidente conflitto politico, sociale e ideologico presente nella quasi totalità dei paesi musulmani. Nasr Abu Zayd, uno dei più importanti intellettuali arabi, condensò nelle pagine coraggiose e illuminanti di questo libro le sue riflessioni circa la necessità di contestualizzare il testo sacro nella storia, cercando di restituire all'interpretazione del Corano il suo valore più autentico per sottrarlo a qualsiasi manipolazione politica e religiosa. Ciò che il Corano offre ai musulmani, sostiene Abu Zayd, non è l'islamizzazione della vita, e neppure la totale separazione della religione dalla vita. Separare la religione dallo Stato è tuttavia essenziale, senza che ciò significhi relegare la religione sullo sfondo della vita sociale. Come modalità di comunicazione tra Dio e l'uomo, il Corano, argomenta Abu Zayd, insegna che l'interpretazione letterale del testo sacro significa congelare la parola di Dio nel momento del suo annuncio storico, ovvero semplificare e impoverire l'immensa e complessa dottrina dell'Islam, trasformando una religione della fede in una religione delle opere e dei riti.
Gli uomini sono figli dell'Era glaciale: solo quando il freddo intenso dell'ultima glaciazione cominciò a stemperarsi, oltre 10000 anni fa, apparve la coltivazione, e con questa l'urbanizzazione e l'inizio della storia. Può apparire paradossale, ma è stato il riscaldamento del clima a crearci. Nel corso di tutta la storia umana, d'altra parte, il clima non è certo rimasto stabile e i suoi effetti sulle culture sono stati enormi. Non si può prescindere dalle condizioni climatiche nello studio delle civiltà, dei popoli, delle guerre, delle migrazioni, delle carestie, delle religioni e persino dell'arte e della letteratura. Diventa sempre più chiaro che il clima della Terra è parte integrante e motore inconsapevole dello sviluppo storico, politico e culturale dell'uomo e Wolfgang Behringer lo dimostra per la prima volta in forma estesa, con chiarezza e abbondanza di esempi.
"Quando l'Europa era un campo di prigionia" narra le storie parallele dei componenti di una stessa famiglia costretti alla fuga dall'avanzata nazista in Europa. Da una parte il libro di memorie del padre Otto, scritto nel 1941, dall'altra il racconto del figlio Peter, che insieme alla madre ha affrontato un viaggio attraverso la brutalità della Seconda Guerra Mondiale. Ricordi vividi e feroci arricchiti di documenti storici. Gli Schrag erano dei borghesi ebrei tedeschi. Otto fu internato in condizioni esecrabili in un campo di concentramento nel Sud della Francia, ma con l'aiuto di una donna coraggiosa riuscì a fuggire prima dell'inizio dei massicci trasferimenti di prigionieri verso Est. Anche Peter e sua madre scapparono dal Belgio prima dei rastrellamenti e delle deportazioni ad Auschwitz. I due racconti si alternano e si avvicendano, i due punti di vista si accavallano tra storia e memoria, finzione e verità, coraggio e rassegnazione, fino a formare un'unica struggente testimonianza di chi ha attraversato l'orrore, disseminato per tutto il territorio europeo, lo ha guardato dritto negli occhi ed è riuscito a tornare indietro.
La 'barbarie' la troviamo a viso scoperto o celata sotto sinonimi. Tra questi sta conoscendo una fortuna crescente 'identità'. E accanto a 'identità', 'radici', ma anche 'etnicità', con gli antenati 'nazione' e 'nazionalità'. Parole che sono diventate abituali nel nostro linguaggio ma che possono diventare pietre perché, come tutto ciò che serve a distinguere e a prendere coscienza di una separazione, contengono un potenziale violento pronto a giustificare aggressioni civili e guerre. È dietro queste parole che vediamo alzarsi in piedi individui collettivi di cui si presuppone una naturalistica e inassimilabile diversità. Se, come scriveva Saul Bellow, l'identità di un essere umano è quella definita dal racconto della sua vita, per estensione l'identità di un popolo o di una società umana sarebbe la sua storia. Ma nessuna definizione, per quanto acuta ed elegante, può impedirci di avvertire dietro questa parola, apparentemente così semplice e innocua, l'eco sorda della risacca della storia e dei rapporti di forza che ha ripreso a fare intensamente il suo antico lavoro: scaraventa sulle rive più diverse popoli e individui, quando non li cancella inabissandoli nel fondo del mare.
Una prosa lieve e arguta fatta di descrizioni minute e deliziose ci accompagna a vagabondare dall'alba al tramonto in una immaginaria città del Due-Trecento: una finestra sulla vita medievale.
È il 1814, siamo a Vienna, è in corso il Congresso che ridisegnerà la carta dell'Europa come la vorranno i vincitori di Napoleone - lo zar, l'imperatore d'Austria, il re d'Inghilterra, il re di Prussia. Un giovane, che è arrivato nella capitale al seguito del Segretario di Stato del Papa, scrive a suo zio del Congresso e del clima politico e artistico viennese. Attraverso le sue lettere scopriremo la musica di Beethoven, autore di sinfonie dalla dirompente carica innovatrice. È un momento di svolta: da qui in poi la musica non sarà più affare di pochi aristocratici. Il virtuosismo diventa in questo momento la chiave di volta per la conquista di un nuovo pubblico borghese. Le regolari stagioni sinfoniche e le regolari stagioni da camera che si diffonderanno ovunque nella seconda metà dell'Ottocento hanno una delle loro più importanti radici nella Vienna del Congresso. Fa da contraltare alla potenza di Beethoven, la musica di Schubert, l'"escluso", il prodigioso giovane musicista incapace di farsi largo nel mondo e di cui il mondo non s'accorge.
"Ho dei progetti personali che non mi lasciano tempo, e ai quali nessuna considerazione potrebbe farmi rinunciare. In due parole (lo tenga per lei fino a nuovo ordine), ecco di che cosa si tratta: forse, potrò finalmente lavorare in fabbrica come sogno di fare da almeno dieci anni. Se tutto si arrangia, comincerò alla fine di agosto, e sarà a Parigi o in periferia. Forse può capire ciò che mi aspetto da questa esperienza e quale importanza abbia per me. Sarebbe difficile spiegarlo per scritto. Tutto quello che posso dire, è che non riesco a pensarci senza sentire una gioia profonda" (Lettera di Simone Weil a Marcel Martinet, probabilmente del luglio 1934, inedita, Fondo SW Bnf.).
Fin dall’inizio sono stati bollati di essere un geniale falso e le motivazioni pro e contro sono tante. Il testo viene riconosciuto come un falso documentale realizzato nei primi anni del XX secolo nella Russia imperiale, in forma di documento segreto attribuito a una fantomatica cospirazione ebraica e massonica che aveva come obiettivo impadronirsi del mondo. Ma questi fantomatici piani cosa prevedevano?
C'è un conflitto che attraversa la storia ma non è stato mai apertamente dichiarato. È quello in cui in cui il passato viene piegato alle necessità del presente. E ciò accadeva tanto ai tempi di Ottaviano e Cesare quanto al termine della Seconda guerra mondiale, dopo gli anni di piombo o durante i conflitti in Medio Oriente. È un'operazione destinata a provocare danni incalcolabili, "primo tra tutti quello di disarmare le generazioni che dovrebbero essere pronte ad affrontare le guerre, purtroppo non metaforiche, di oggi o di domani". Con la consueta arguzia e lucidità, Paolo Mieli conduce il lettore in un viaggio lungo i secoli, durante il quale affronta e demolisce alcuni dei nostri miti più comuni alla luce di fatti e documenti, offrendo spesso una visione alternativa a quella ufficiale. Per farlo è necessario applicare i rimedi contro la manipolazione e la contraffazione: la disponibilità a rivedere i propri giudizi sui fatti e sui personaggi, la consapevolezza che spesso anche la parte "giusta" ha commesso atti riprovevoli e l'attenzione a non cercare a tutti i costi negli eventi i retroscena delle posizioni politiche del presente. Perché il fatto che tutti usino il passato nelle discussioni quotidiane è "la miglior ragione per studiare sul serio la storia" e per affrontare anche i temi più cari alla nostra memoria collettiva con "una buona dose di imperturbabilità".
Una ricostruzione storico-sociale del movimento delle crociate che sconvolse l'intero bacino del Mediterraneo dal 1096 al 1291. Per i papi che lo promossero la giustificazione era "Deus lo vult"; per Hegel era lo Spirito della Storia che spingeva l'Europa verso l'Oriente; per altri furono la prova generale del colonialismo ottocentesco; per altri ancora furono feroci guerre d'aggressione i cui semi nefasti continuano a produrre ancora oggi atroci frutti. Gad Lerner rivisita questa pagina storica sottolineando come la stessa Chiesa abbia condannato con un importante "mea culpa" quel tragico periodo.