
Per un quarto di secolo (1929-1953) Iosif Stalin è stato il padrone assoluto dell'Unione Sovietica. Dall'ufficio al Cremlino, o dalle dacie fuori Mosca dove spesso risiedeva, il dittatore gestiva con pugno di ferro ogni aspetto della vita sociale, sulla base di un'interpretazione estremistica e ultrasemplificata del marxismo. Ossessionato dall'idea di "nemici interni" pronti a tradirlo, Stalin instaurò un regime di terrore che non permise mai a nessuno dei suoi sudditi di sentirsi al sicuro. Si calcola che ben 60 milioni di persone incolpevoli abbiano subito i tragici effetti della discriminazione e repressione, fino alla pena capitale. Eppure, oggi in Russia sembra rifiorire il mito di Stalin quale figura storicamente "necessaria", che ha avuto quantomeno il merito di trasformare un paese arretrato in una superpotenza industriale in grado di affrontare e sconfiggere Hitler. Oleg Chlevnjuk, considerato il maggior esperto mondiale di Stalin e del suo tempo, si oppone a tale tendenza "giustificazionista" sfatando vari miti sul despota sovietico, da quelli celebrativi che lo dipingono come "amministratore eccelso", "stratega militare lungimirante", "vittima di ambiziosi e avidi collaboratori" agli altri, opposti, che lo vorrebbero "traditore del lascito di Lenin", o addirittura, e unicamente, "belva assetata di sangue" e "criminale sadico e paranoico".
SPQR is the Romans own abbreviation for their state: Senatus PopulusQue Romanus, 'the Senate and People of Rome' - and this magnificent book is an eloquent and a definitive account of their story.
Sant'Anna di Stazzema è composta da una manciata di case distribuite su un anfiteatro collinare che guarda il mare, a un'altezza variante dai 600 agli 800 metri. Qui è stato compiuto il secondo più grave massacro d'Italia, dopo quello di Marzabotto, e uno dei più gravi ed efferati nell'Europa occidentale occupata dai tedeschi: il numero dei morti - fra essi molti bambini, donne, anziani - oscilla, a seconda delle valutazioni, fra i quattrocento e i cinquecentocinquanta. Il volume raccoglie le testimonianze dei sopravvissuti, allora bambini.
A torto considerato un periodo storico omogeneo, il millennio che copre il Medioevo in Europa vede cambiamenti profondi e differenze rilevanti da zona a zona, nella diflusione del cristianesimo, nello sviluppo delle città, nel peso dell'eredità di Roma e dell'influenza dei barbari e dell'islam. Famiglia e parentela, agricoltura, scambi e commercio, religione e organizzazione politica, ambienti e stili di vita: con grande chiarezza il volume delinea l'immagine di un'epoca a molte facce.
Il volume si propone di offrire una ricostruzione e un'analisi delle dinamiche dell'economia del Mezzogiorno, dal secondo dopoguerra alla conclusione dell'"intervento straordinario", in rapporto al contesto economico italiano e internazionale e all'impatto delle politiche nazionali e regionali adottate, a partire dall'esperienza e dal ruolo per lo sviluppo svolto dalla Cassa per il Mezzogiorno, di cui si presentano preziose testimonianze. La ricerca affronta aspetti di particolare interesse, quali le trasformazioni economiche e sociali e il ruolo delle istituzioni e del capitale umano, e si sofferma sul passaggio dalla politica di preindustrializzazione a quella di industrializzazione e sulla questione dei flussi finanziari Nord-Sud. Ampio risalto è poi attribuito al ruolo svolto nel periodo considerato da settori specifici per lo sviluppo del Sud: industria, infrastrutture per viabilità e trasporti, agricoltura, energia, formazione. Completano il quadro un'analisi del sistema finanziario in connessione allo sviluppo del Mezzogiorno e una riflessione sugli effetti dell'illegalità sulle politiche di sviluppo.
Cinquecento giorni trascorrono, nella vita di Napoleone Bonaparte, tra il crollo dell'Impero, l'esilio all'Elba, i Cento Giorni e la partenza, infine, per Sant'Elena. Al loro inizio c'è un tentativo di togliersi la vita, a Fontainebleau, nelle stanze vuote di un palazzo vuoto da cui tutti si sono prudentemente allontanati, lasciando solo l'Imperatore in disgrazia. Alla fine, ancora la tentazione di un suicidio, sul vascello inglese che lo conduce, ormai prigioniero, a Sant'Elena. In mezzo, un tempo per così dire intermedio - 500 giorni non sono né pochi né molti - scandito da scelte obbligate: partire, restare, combattere, fuggire. Scelte che si sbaglierebbe a immaginare rivolte solo alla vittoria, o peggio alla rivincita. Esse sono, più spesso, dettate, al contrario, dall'idea della sconfitta, dall'incubo del congedo. Come uscire di scena è, per Napoleone, in questo finale di partita, molto più importante che restare a tutti i costi sul palcoscenico. Come uscire di scena, rendendo per sempre indimenticabile ciò che egli ha fatto nei giorni della fortuna, evitare di negarlo con un comportamento poco appropriato, fare che la propria vita, e la storia che in essa si è scritta, non perda di significato, come molti, troppi, intorno a lui vorrebbero fare e provare a fare in quei lunghi, brevi 500 giorni.
Tra il 1943 e il 1945 molte donne aderirono alla Repubblica sociale italiana e si schierarono a fianco dei tedeschi. Una parte di loro erano 'donne in armi'; inquadrate in bande e brigate nere, parteciparono a rastrellamenti e stragi, commisero omicidi e torture nei confronti di civili e partigiani. Altre erano spie al servizio dei tedeschi o degli uffici politici della RSI, denunciarono ebrei e partigiani contribuendo attivamente alla loro cattura e molto spesso alla loro morte. Nel dopoguerra furono processate e condannate per collaborazionismo. Le storie di queste fasciste saloine (e di alcuni loro camerati) permettono di riflettere su alcuni temi rilevanti per comprendere l'Italia uscita dal fascismo e dalla seconda guerra mondiale: il rapporto di queste donne con la violenza, le posizioni di dura condanna o di clemenza assunte dalle Corti nei loro confronti, le strategie che misero in atto per negare le accuse o per difendersi, l'atteggiamento dell'opinione pubblica. È una storia che non si conclude nelle aule dei tribunali. Le scelte politiche dei governi del dopoguerra, i numerosi provvedimenti di clemenza (amnistie, grazie, liberazioni condizionali), a partire dall'amnistia Togliatti del 1946, permetteranno, nel giro di un decennio, il ritorno in libertà degli ex fascisti, uomini e donne.
Dieci milioni di morti, tre imperi secolari annientati, rivoluzioni, guerre civili, nuovi Stati, nuovi nazionalismi, nuove guerre. È la fine del primato europeo nel mondo. Sono queste le conseguenze dei due colpi sparati a Sarajevo il 28 giugno 1914. Un mese dopo esplode la guerra europea: in quattro anni, diventa la prima guerra mondiale. Nel continente che domina il mondo, la modernità trionfante della Belle Epoque si trasforma nella modernità massacrante di una guerra totale. La prima guerra mondiale lascia un marchio tragico nella coscienza umana: venti anni dopo, una seconda guerra mondiale, con cinquanta milioni di morti, lo rende indelebile. Gli storici interrogano la grande guerra: perché scoppiò, perché tanti milioni di soldati furono massacrati e perché altri milioni continuarono a combattere per tanto tempo? Conoscere la sua storia è la condizione per trovare una risposta. Emilio Gentile racconta con parole e immagini l'evento che ha dato origine all'epoca in cui viviamo.
Pochi mesi dopo la Liberazione, nella Casa del Popolo di Lambrate, il comandante della 118 Brigata Garibaldi Giulio Paggio riunisce alcuni partigiani. Dice loro che la guerra non è finita, che bisogna riprendere le armi. La prospettiva ultima è quella di farsi trovar pronti, se la rivoluzione dovesse proseguire il suo cammino. Ma la spinta immediata, il pungolo all'azione, è il desiderio di stanare i fascisti impuniti, trovare quelli che sono sfuggiti al giusto castigo, e pareggiare finalmente i conti. Sotto la guida del "tenente Alvaro", la Volante Rossa ingaggia una lotta senza quartiere contro i rinati gruppi neofascisti, divenendo presto un punto di riferimento per i lavoratori milanesi. Tutti li chiamano: gli operai per difendere le fabbriche occupate dalla polizia, il PCI per il servizio d'ordine e la vigilanza notturna alle sedi del partito. Nel luglio 1948 il momento sembra arrivato: Togliatti è in un letto di ospedale, colpito da tre colpi di pistola. Gli uomini della Volante Rossa, armati di mitra e panzerfaust, si dirigono a bordo del loro camion verso una caserma dei carabinieri, intenzionati a prenderla d'assalto. Intanto, un'auto con a bordo un dirigente di spicco della Federazione milanese del PCI tenta disperatamente di intercettarli, prima che scatenino una guerra.
Annibale, come Alessandro Magno e Napoleone, è tra i pochi comandanti che hanno allargato il concetto di civiltà. Baker, oltre a raccontare la vita e le battaglie di uno dei più straordinari condottieri della storia, colloca la sua figura nel contesto socioeconomico del periodo, restituendo a Cartagine il suo ruolo mercantile e il suo interesse primario nei commerci del Mediterraneo, non nell'arte della guerra. Figlio di Amilcare Barca, che gli fece giurare in tenera età odio eterno nei confronti dei Romani, e cresciuto in Spagna, da dove partì per la conquista della penisola italica e di Roma, Annibale era un cosmopolita, cittadino della grande civiltà mediterranea, che vedeva rigorosamente identica nella sua essenza, nonostante le varietà e le differenze locali. Il suo genio di stratega e lo spirito dei suoi discorsi infiammarono l'animo delle sue turbolente truppe mercenarie, che tanto avevano fatto penare Amilcare alla fine della Prima guerra punica, e suscitarono vivo terrore e ammirazione nei suoi avversari, tra cui il celebre Scipione "l'Africano" che, secondo Baker, fu una vera e propria "creazione diretta, per quanto involontaria" del cartaginese. Il racconto della straordinaria vita di Annibale è nel contempo la narrazione della lotta epica tra Roma e Cartagine, una vera battaglia disperata, piena di casi imprevedibili e di ingannevoli capovolgimenti di fortuna; un duello terribile che contrapponeva due avversari risoluti e determinati, e che non poteva finire se non con la distruzione.
La storia delle Crociate è nota, eppure è una storia spesso raccontata a metà, perche si basa quasi esclusivamente su fonti occidentali. Questo saggio intende considerare secondo una nuova, più equilibrata, prospettiva gli scontri fra musulmani e cristiani durante il Medioevo su tutte le sponde del Mediterraneo musulmano. Trattate come parte attiva della relazione dinamica tra gli stati islamici medievali e le società che vanno dalla Spagna all'Iran, le Crociate vengono dunque lette non soltanto come un episodio esotico, ma come parte integrante della storia della civiltà islamica stessa. Intrecciando la prospettiva tradizionale e il punto di vista dei musulmani medievali, le Crociate emergono come qualcosa di completamente diverso dalla pretenziosa retorica delle cronache europee: diventano un gioco degli scacchi diplomatico da padroneggiare, un'opportunità commerciale da cogliere, un incontro culturale che ha plasmato le esperienze musulmane ed europee fino alla fine del Medioevo e, come spesso è accaduto, una contesa politica sfruttata da ambiziosi governanti che fecero un uso astuto del linguaggio del jihad.
L'era imperiale è dominata dalla figura di Pietro il Grande, il quale, affascinato dal progresso tecnologico, decide di modernizzare la Russia. L'imposizione del taglio della barba, segno di appartenenza all'Ortodossia, l'obbligo di portare abiti di foggia occidentale e i comportamenti blasfemi del sovrano inaspriscono la frattura tra i seguaci dello scisma dei veteroritualisti, emarginati e perseguitati, e i fedeli della Chiesa di Stato, completamente asservita all'autocrate. Pietro porta a termine un programma di laicizzazione al quale si ispireranno i regnanti del XVIII secolo, in particolare Caterina II, e decreta l'abolizione del Patriarcato, affermando: "Dio mi ha concesso di governare i laici e il clero e pertanto io sono per loro sovrano e patriarca", optando, quindi, per un cesaropapismo di stampo protestante e allontanandosi irrimediabilmente dal modello bizantino della sinfonia tra sacerdotium e imperium. La Chiesa, denominata Ente della professione ortodossa, viene trasformata in dicastero statale e si riduce a mero instrumentum regni. La storia di questa Chiesa è quella dello Stato stesso e lo sarà anche al tempo dei piissimi zar dell'Ottocento. L'imposizione di valori estranei al mondo russo crea una divisione tra i cultori della ricca tradizione spirituale della Russia (slavofili) e i partigiani del modello petrino (occidentalisti). Queste due antitetiche correnti di pensiero hanno, peraltro, in comune la convinzione di una missione salvifica della Russia.