Ogni cultura ha predetto inutilmente la sua fine, noi stessi siamo figli di catastrofi altrui. Estinzioni di massa e colossali ecatombi del passato hanno infatti più volte segnato un nuovo inizio per altre forme di vita. La "catastrofe", intesa come resa dei conti finale con la storia, ci affascina da sempre perché soddisfa bisogni psicologici e vincoli cognitivi, magnificamente rappresentati dall'immaginario classico della fine del mondo interpretata come catarsi risolutiva, punizione, vendetta. Il 21 dicembre 2012 - presunto compiersi di un ciclo di calendario dei maya - segna ancora una volta l'avvicinarsi di una fine imminente. Telmo Pievani ci accompagna in un viaggio fino alla fine del mondo guidandoci attraverso le parole chiave dell'attesa: apocalisse, disastro, nemesi, estinzione. Tra scienza, filosofia e letteratura, un messaggio di umiltà evoluzionistica e di accettazione della contingenza della vita sulla Terra, per decidere che cosa fare quando anche questa volta il mondo non sarà finito.
Il Medioevo fu un'epoca segnata dall'attesa (speranza o paura) della fine; le profezie delle Scritture ed eventi come le invasioni, l'espansione dell'islam o il traguardo stesso dell'anno Mille disegnavano un orizzonte apocalittico che è parte integrante della fede e della cultura dell'Europa medievale. Nel riconsiderare tale concetto il libro mostra anche come, lungi dall'esaurirsi in credenze "apocalittiche e oscurantiste", la coscienza della fine futura abbia molti motivi di interesse anche per l'uomo contemporaneo.
Jean Flori, direttore di ricerca al Cnrs, lavora al Centre d'Études Supérieures des Civilisations Médiévales di Poitiers. Tra i suoi libri: "Cavalieri e cavalleria nel Medioevo" (1999) e "Riccardo Cuor di Leone" (2002) per Einaudi; per il Mulino "La cavalleria medievale" (2002), "Le crociate" (2003) e "La guerra santa" (2009).
Tanto inquietante quanto sfuggente, dalle origini del cristianesimo al rock satanico, l'Anticristo è una figura ricorrente nella cultura occidentale. Il libro ne ricostruisce la storia assumendo direttamente il punto di vista degli autori che lungo i secoli si sono occupati di definire l'incarnazione della malvagità e dell'abominio. Ne emerge un testo originale, in cui dai padri della chiesa ai teologi del Medioevo, fino alla modernità vengono proposte al lettore riflessioni, curiosità e preoccupazioni che nell'Europa secolarizzata di oggi possono sembrare farneticanti, ma che per lungo tempo hanno costituito paure e speranze vive e pulsanti.
Colossali ecatombi del passato hanno più volte segnato un nuovo inizio per altre forme di vita. La «catastrofe», la resa dei conti finale con la storia, ci affascina da sempre. Soddisfa bisogni psicologici magnificamente rappresentati nell'immaginario classico della fine del mondo vista come catarsi risolutiva, punizione, vendetta. Attraverso le parole chiave dell'attesa - apocalisse, disastro, nemesi, estinzione - queste pagine piene di ironia ci propongono un messaggio positivo di umiltà evoluzionistica e di accettazione della contingenza della vita sulla Terra, per decidere che cosa fare quando anche questa volta il mondo non sarà finito.
La crisi pandemica è una lente per leggere il nostro tempo, un telescopio per guardare più lontano. Non solo una sventura che interrompe una corsa da rimettere il prima possibile sui binari, ma una frattura che è anche una rivelazione, di limiti e insieme di possibilità. L'occasione per un avvenire inedito anziché per un divenire inerziale. La sfida è ora trasformare le tensioni che definivano il mondo pre-Covid in leve di cambiamento, a partire da cinque nodi cruciali che aprono altrettante vie verso equilibri più equi. Per rendere il nostro vivere insieme migliore di prima, e perché la fine di un mondo diventi un nuovo principio.
Con le scoperte portoghesi del XV secolo, il mondo atlantico si trasforma, progressivamente, nel luogo in cui Europa, Africa e America s'incontrano e costruiscono le loro relazioni asimmetriche. Questa convergenza senza precedenti dà origine a diversi fenomeni: il colonialismo, lo sviluppo economico e commerciale, ma anche significative migrazioni, volontarie o forzate, e la formazione di scambi inediti. L'Atlantico diventa così uno spazio unico di circolazione, di commerci e interazioni, sia pacifiche che violente. Questo libro offre un quadro completo delle trasformazioni avvenute nel mondo atlantico nei quattro secoli successivi alle scoperte portoghesi, fino ai movimenti rivoluzionari della fine del XVIII secolo, e illustra il formarsi e l'evolversi di una nuova identità.
Fra il IV e il VI secolo la società antica subisce grandi cambiamenti, legati all'affermazione del cristianesimo, alla divisione definitiva dell'impero in due parti, con l'emergere della nuova città di Costantinopoli nella metà orientale, e infine alla caduta dell'impero romano d'Occidente, travolto dalle invasioni barbariche. Com'era la vita quotidiana in quella turbolenta epoca di transizione? Il libro ce la restituisce in tutta la sua ricchezza e in rapporto ai diversi strati sociali.
La realtà reagisce al nostro modello di sviluppo e ci sollecita con forza a cambiare. Un libro coraggioso per ridefinire il rapporto tra la libertà di ciascuno, la società e l'ambiente. Siamo tanti, viviamo meglio e più a lungo. Ma la vorticosa crescita economica dell'ultimo secolo si sta ora scontrando con le sue contraddizioni - cambiamento climatico, migrazioni, squilibri demografici, disuguaglianze - minacciando la vita stessa del pianeta e ponendo con urgenza il problema della sostenibilità. La risposta non può essere però solo tecno-economica: occorre piuttosto mettere in discussione le premesse su cui la crescita si basa, colmando un ritardo culturale nella consapevolezza che non esiste forma vivente che non sia in relazione. Lo dice la scienza e lo dicono da sempre le religioni: solo in rapporto con gli altri diventiamo noi stessi ed esercitiamo la vera libertà, in modo transitivo e generativo e non estrattivo e predatorio. È questa la logica che presiede la vita umana, personale e collettiva, e che può riaprire la strada verso una società libera, giusta e sostenibile.
Solidarietà, empatia, simpatia, compassione: parole di cui oggi nel discorso pubblico e nel linguaggio della politica si è quasi persa traccia. E questo, proprio mentre milioni di uomini e donne chiedono aiuto attraversando mari e tribolazioni, e mentre la povertà e le diseguaglianze crescono anche nel mondo ricco. Perché entrare in contatto con le emozioni altrui è diventato così difficile? E che cosa accade quando un essere umano le vede e le sente, le emozioni dell’altro? È subito spinto a condividerle, a muoversi in aiuto del prossimo in difficoltà, o per decidersi a farlo ha bisogno di un Dio, di una Verità, di un’Ideologia?
Si tratta di una breve riflessione compiuta dal noto antropologo sugli aspetti socio-culturali dei processi di trasformazione connessi alla globalizzazione dell'economia mondiale. Il tema centrale è la frammentazione del mondo, speculare alla globalizzazione, e le sue ricadute sul pensiero politico e i processi culturali del XX secolo.
Per un punto Martin perse la cappa. Così suona il detto popolare che indica coloro che, per un nonnulla, falliscono in un'impresa importante. Come il monaco Martino perse la cappa, che lo avrebbe promosso a canonico, perché aveva dimenticato di mettere un punto nel testo che stava scrivendo, allo stesso modo Orfeo, per un fuggevole sguardo rivolto a Euridice uscendo dall'Ade, la perse per sempre. Perché Orfeo si voltò a un passo dal portare a compimento la sua impresa? L'antropologia del mondo antico ci spiega il significato del fallimento di Orfeo, come di tanti altri aspetti della classicità che ci appaiono bizzarrie, ma che grazie al loro contesto di riferimento illuminano i meandri di una cultura e di una struttura sociale lontane dalla nostra. Questo libro è un percorso in dieci lezioni che vanno dal ruolo del silenzio al valore vincolante degli incantamenti e della magia, dalla giustizia popolare alla fluida identità delle divinità e alla biologia selvaggia. Per rispondere alle domande poste dai testi e dalle tradizioni classiche senza pregiudizi, uscendo dai nostri quadri mentali.
Al libro cui sembra affidare il senso ultimo della propria esperienza di vita e di lavoro Hannerz ha dato un titolo che allude a un duplice mondo. Da una parte, il mondo "interno" dell'antropologia. L'autore guarda qui alle vicende di una disciplina che, avendo per oggetto addirittura la specie umana, si è trovata a occupare la posizione non sempre confortevole del crocevia, e a svolgere la funzione non sempre commendevole dell'ingrediente universale. Dall'altra parte, il mondo "esterno" che l'antropologia si sforza di conoscere e decifrare nelle sue continue trasformazioni. E dunque, di che cosa devono occuparsi nel nostro tempo gli antropologi? A chi si rivolgono? Come viene inteso, e magari frainteso, ciò che dicono? Si condensa in queste pagine, che rimandano a quelle di Clifford Geertz e di Mary Douglas, la convinzione che mai come oggi della prospettiva antropologica abbiamo bisogno, perché meglio di ogni altra può aiutarci a capire - a interpretare - un mondo globale dove i mondi locali rifiutano tenacemente la sottomissione.