"Concentrata e leggera, nitida e profonda, la poesia di Tiziano Broggiato è insieme ermetica e depistante. Ermetica perché il dettato quieto e fermo cela in realtà sempre una visione inquietante, un tremore tellurico impercettibile ai sensi se non nel vibrare demonico del verso. Per questa ragione depistante: non siamo nella poesia del quotidiano che del quotidiano si appaga, e magari esalta, come spesso accade, né quindi in una visione minimalistica della realtà. Ci troviamo piuttosto in un mondo di visioni rapide, concluse e serrate, che si succedono come fotogrammi di una pellicola il cui movimento è impercettibile. Ogni verso è un'immagine, generalmente priva di bagliori o svelamenti, ma ogni immagine è profonda, pare emergere da una vecchia fotografia, o ancor più da una traccia lapidea invisibile se non agli occhi, meglio alle antenne del poeta. Ferma, priva di sbavature, la poesia di Broggiato ha una sua fredda potenza tragica, inchiodando cose e persone alla realtà del tempo eveniente, e una freddezza anatomistica che felicemente convive con una fraterna solidarietà di fatto con il coro del mondo: 'E quando riesce a vedere un sole bianco, anche attraverso basse nubi, e avvertire che aumentano le acque, mentre la luce riposa, che uno capisce che il suo luogo, è quello. Per sempre.'" (Roberto Mussapi)
Roland Barthes, Paul de Man, Michel Foucault, Max Loreau, Jean-Marie Benoist, Louis Althusser, Edmond Jabès, Joseph N. Riddel, Michel Servière, Louis Marin, Sarah Kofman, Gilles Deleuze, Emmanuel Lévinas, Jean-François Lyotard, Gérard Granel, Maurice Blanchot: scrittori, filosofi, professori che Derrida ha incontrato, letto, discusso nel corso della sua vita, ritrovano ognuno la cifra dell'insostituibile unicità che ha caratterizzato il loro percorso intellettuale, ma anche la soglia in cui memoria e lutto, dolore e destino, sigillano una comune avventura del pensiero e della condivisione di passioni, idiosincrasie, gesti che squarciano spesso la cortina del privato per divenire occasioni pubbliche di dibattito, lotta, testimonianza.
Robert Hugh Benson, con "Il padrone del mondo" (1907), ci porta in una realtà nella quale l'uomo ha raggiunto gli estremi confini del progresso materiale e intellettuale, dove tutto è meccanizzato e programmato per un unico grande progetto: il trionfo dell'Umanitarismo. L'eliminazione della guerra, l'abolizione dei rumori, la legalizzazione dell'eutanasia, l'adozione di cibi artificiali, l'uso dell'esperanto sono solo alcune tra le caratteristiche che fanno da naturale corollario al nuovo tipo di convivenza civile. In questo paesaggio si muovono, con estrema ponderatezza, i personaggi di Benson, ricchi di umanità e descritti in modo sapiente: Oliviero Brand, il politico; Mabel, la deliziosa compagna di Oliviero, che sceglie la dolce morte offerta dalle case dell'eutanasia e che, nel momento estremo, vede, capisce e prova la netta sensazione del misterioso Altro; Giuliano Felsemburgh, l'uomo che costituisce la sintesi più sconcertante dei sentimenti e delle aspirazioni che l'Umanitarismo suscita; Percy Franklin, un prete in cui la fede vacilla per poi riconfermarsi più viva e vera.
"Le situazioni che viviamo oggi pongono sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all'opera nel mondo". Queste parole, pronunciate da papa Francesco al Convegno ecclesiale di Firenze, offrono un prezioso suggerimento per guardare al grande travaglio che caratterizza questo inizio di Terzo Millennio. Uno degli aspetti più vistosi del "cambiamento d'epoca" di cui parla il Papa è il tumultuoso processo di mescolamento di popoli e culture in cui oggi siamo immersi. Più di dieci anni orsono, proposi di descrivere questo processo con l'"ardita metafora" del "meticciato di civiltà e culture", da intendere come "mescolanza di culture e fatti spirituali che si producono quando civiltà diverse entrano in contatto". L'umana avventura della libertà di ogni singolo e di ogni popolo non fa che mostrare la profondità dell'amore di Dio che ha scelto, per comunicarsi, di passare, con la croce di Cristo, attraverso la libertà finita e il suo continuo vagabondare.
Nel pieno della seconda guerra mondiale, circondato dall'odio delle nazioni e dalle distruzioni della guerra, von Balthasar scriveva un libro appassionato sull'amore di Dio. È un amore inarrestabile che porta alla creazione del mondo e dell'uomo, alla generosità di un Dio che non tiene per sé la divinità ma viene nel mondo in incarnazione, morte e discesa agli inferi. La figura di Dio in Cristo è avvolta in una tenerezza infinita che non vuole e non può fuggire le lance e le frecce dell'uomo tracotante e violento. In una breve nota scritta qualche mese prima della morte, l'autore dedicava il suo libro ai giovani.
Robert Hugh Benson, con Il padrone del mondo (1907), ci porta in una realtà nella quale l’uomo ha raggiunto gli estremi confini del progresso materiale e intellettuale, dove tutto è meccanizzato e programmato per un unico grande progetto: il trionfo dell’Umanitarismo. L’eliminazione della guerra, l’abolizione dei rumori, la legalizzazione dell’eutanasia, l’adozione di cibi artificiali, l’uso dell’esperanto sono solo alcune tra le caratteristiche che fanno da naturale corollario al nuovo tipo di convivenza civile.
In questo paesaggio si muovono, con estrema ponderatezza, i personaggi di Benson, ricchi di umanità e descritti in modo sapiente: Oliviero Brand, il politico, teorico del nuovo sistema che vede l’uomo unico dio e signore delle cose; Mabel, la deliziosa compagna di Oliviero, che sceglie la dolce morte offerta dalle case dell’eutanasia e che, nel momento estremo, quando l’ultimo soffio di vita fugge dal suo corpo provato dal lungo conflitto esistenziale, vede, capisce e prova, netta la sensazione del misterioso Altro. Giuliano Felsemburgh, l’uomo che costituisce la sintesi più sconcertante dei sentimenti e delle aspirazioni che l’Umanitarismo suscita, l’uomo che contende a Dio il dominio del mondo; Percy Franklin, un prete, combattuto internamente dall’intensa lotta in cui la fede vacilla per poi riconfermarsi più viva e vera.
Primo volume di un grande dittico dedicato all'arte universale, questo libro introduce ai mondi artistici estranei al percorso storico dell'Occidente. Si tratta di contesti culturali e di forme espressive che necessitano di strumenti propri per essere accostati e compresi, gettando un ponte con la "nostra" propensione, squisitamente occidentale, a leggere l'avventura artistica di un popolo nell'avvicendarsi e nel reciproco superarsi di "stili" e di "forme". Gli autori coinvolti in questa opera non mirano a ricostruire una simile "Storia" degli orizzonti artistici su cui sono stati chiamati a scrivere, ma anzitutto a offrirne una chiave di lettura che consenta di aprire una porta varcando la soglia che ci separa da quei mondi. Si è trattato di costruire ponti con il passato paleolitico e neolitico, pur ancora presenti in varie parti del globo; ponti con tradizioni artistiche che hanno saputo mostrare una impressionante continuità al di là dei cambi di regimi, di imperi, di confessioni, come l'arte persiana o indiana; ponti con civiltà scomparse, come quelle precolombiane, i cui segni espressivi chiedono di essere interpretati quali poderosi messaggi e non più solo come documenti archeologici.
La storia della Grecia dall'età arcaica all'inizio dell'Ellenismo è, per la stessa natura geografica della penisola ellenica, tutta protesa sul mare, per la presenza delle sue colonie sulle coste del mar Nero, dell'Asia Minore, dell'Africa, della Sicilia, della Spagna, della Gallia e dell'Italia, una storia del Mediterraneo. Tra la fine dell'VIII e la fine del IV secolo a.C. il Mediterraneo vide gli albori, lo sviluppo, lo splendore, il declino di quella civiltà che noi chiamiamo classica.
La lettura di Hannah Arendt, interprete straordinaria della dimensione politica moderna, è importante in una società che sembra aver perso il senso della politica come spazio pubblico. Nei tempi inquieti della crisi della politica e della perdita del concetto di pubblico il bisogno di coraggio civile trova nel suo pensiero una metodologia che rende possibile l'operare una critica profonda nei confronti della storia del pensiero filosofico, per procedere, poi, a una riabilitazione del politico, come spazio condiviso.
Una tartaruga di nome Cami dialoga con lo struzzo Tixi, il topo Wil e la farfalla Lulù sui loro mondi e comprende quale è il suo posto, seppur piccolo, nella bellezza del creato.