Da prete a prete, da fratello a fratello. Una lunga lettera di consigli e raccomandazioni a un giovane sacerdote da parte di un altro giovane prete. Un testo contemporaneo che richiama lo stile dell'Imitazione di Cristo. "Quando al mattino ti alzi e ti guardi allo specchio ringrazia il Signore, non per quello che fai, ma perché il dono ricevuto ti trasforma, giorno per giorno. Sei prete: davvero un dono grande, per la tua vita e per la Chiesa tutta. Sappilo sempre, anche quando ti verrà il sospetto che potevi fare dell'altro e ti verrà voglia di cambiare rotta. Ritorna, nei momenti difficili, davanti a quel Crocifisso che non ti ha imbrogliato, ma ti aveva annunciato, da subito, la buona, vera notizia sulla tua vita. Ritorna senza rimpianti a quei giorni di libertà, di gioia e di pace in cui hai dato consapevolmente la vita al Signore e lo hai ringraziato e amato con tutto te stesso."
C'è una tentazione che serpeggia da sempre. È quella di fare da soli. Anche nella formazione, nell'educazione, nel diventare grandi. Vale per tutti. Anche nella formazione del prete, che è insieme uomo e credente prima che ministro. E non da solo, ma dentro una Chiesa, con dei compagni di viaggio, in una realtà, che sono da accogliere. La formazione dei preti non si interrompe mai e non è una questione solo individuale o di «seminario», ma interessa tutta la vita e tutti gli attori in gioco: il prete, il presbiterio, il vescovo, perché ha una valenza collettiva e fraterna. Afferma l'autore: «Vale la pena darsi tempo e voglia per pensarci sempre di più come "presbiterio" e sempre meno come "presbitero", più al "plurale" che al "singolare", meglio insieme che da soli perché, solamente come corpo, sapremo affrontare gioie e dolori, fatiche e traguardi e accompagnarci reciprocamente». Guida e caratterizza questa riflessione «ad alta voce» una metafora musicale: quella dell'orchestra, del coro. Il prete dovrebbe essere non un solista stonato ma un orchestrale accordato che suona la sinfonia del Maestro assieme agli altri.
Prendendo spunto dalle parole di papa Francesco nella sua lettera a tutti i presbiteri, don Marco D’Agostino propone un riflessione sulla formazione sacerdotale, su tutto quello di buono che va conservato e su dove si può lavorare per migliorare. Facendo eco al messaggio di orgoglio che invitava i sacerdoti «a rinnovare quelle parole che il Signore ha pronunciato così teneramente nel giorno della nostra ordinazione», D’Agostino si rivolge principalmente ai seminaristi e ai loro formatori con un invito evangelico a tornare alle sorgenti della gioia, a Cristo.
Vita consacrata e Chiesa particolare oppure La vita consacrata nella Chiesa particolare? La risposta dell'Autore è per la seconda formula da collocare in un preciso contesto: l'ecclesiologia di comunione e il principio della coessenzialità dei doni gerarchici e dei doni carismatici (LG 4). La prospettiva ha fondamento negli insegnamenti del magistero. Il rinnovamento della vita consacrata sarà tanto più incisivo e duraturo quanto più si muoverà in prospettiva ecclesiologica e pastorale. Attualizzare il carisma in riferimento a una concreta Chiesa particolare non potrà mai significare l'assorbimento della vita consacrata nella Chiesa particolare. Nella Chiesa unità e pluralità non si oppongono, si arricchiscono reciprocamente. La vita consacrata arricchisce la Chiesa particolare, della quale è parte viva, con il suo amore e i suoi carismi. E l'apre a una dimensione più universale.
In un discorso ormai divenuto famoso, del 22 dicembre 2005, Benedetto XVI ha visto nell'interpretazione del Concilio ecumenico Vaticano II e nella lotta tra due ermeneutiche contrapposte - quella "della discontinuità e della rottura" e quella "della riforma, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato" - uno dei principali problemi del nostro tempo. Secondo l'ermeneutica della rottura - che ha goduto spesso "della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna" con il Concilio ha avuto inizio una nuova Chiesa, relegando quella del passato tra i rottami della storia. In realtà quello che il Concilio ha inteso fare è una riforma, in cui il passato continua ad essere rispettato ed amato, e l'immutabile deposito della fede, cioè il Vangelo, viene riproposto in modo rinnovato, purificato, ed arricchito nella sua comprensione e formulazione. Pietro Cantoni affronta questo argomento con il distacco e l'oggettività di una teologia che vuole essere fedele alla Parola di Dio, al Magistero della Chiesa e alla metafisica classica.
Il prete, protagonista del racconto, nella notte tra il mercoledì e il giovedì santo, si trova in una profonda crisi riguardo al suo rapporto affettivo con un Dio che non sente più, con gli altri e con se stesso, tentato di mettere fine a un cammino che credeva autentico e invece si rivela non più percorribile, addirittura sterile. Il testo ha un potere terapeutico: in un'epoca in cui i legami, sempre più fragili, generano debolezza, questa narrazione insegna ai giovani la bellezza di amarsi e scegliersi in Cristo e agli adulti la forza di perseverare nella scelta.
Le pagine di questo delizioso volume ci offrono il ''diario di bordo'' dei primi anni di ministero di un giovane prete. Non intendono tracciare un bilancio né impartire una lezione di vita. Restituiscono piuttosto, con spigliatezza e sincerità, la fatica del loro Autore, tra piccoli fallimenti e iniziative portate a segno, di forgiare la propria umanità a misura di annunciatore del Vangelo. Pagina dopo pagina, confidenza dopo confidenza, il testo ci consegna il segreto di ogni autentica passione missionaria: mantenere fisso il proprio sguardo su quello del Buon Pastore. MARCO D'AGOSTINO è prete dal 1995 e appartiene alla Diocesi di Cremona. Specializzato in Sacra Scrittura e laureato in lettere classiche, è animatore del Seminario diocesano e responsabile del Centro Vocazioni. Insegna nel Liceo ''Vida'' di Cremona.
Può un prete servire liberamente e gratuitamente il Vangelo nella Chiesa se riceve uno stipendio per il ministero che svolge, se quel dono di grazia ricevuto diventa oggetto di un contratto? Questo interrogativo attraversa le pagine della profetica Lettera che don Luisito Bianchi - "profondamente uomo, prete, incarnato nel Vangelo e nella storia" - indirizza idealmente a un amico vescovo. Il manoscritto originale - quattro taccuini a quadretti scritti tra i primi di giugno del 1998 e la fine di gennaio del 1999 - costituisce un pretesto per tornare sulle note della gratuità del ministero, tema più volte declinato dall'autore in varie formule letterarie. "Il testo è difficile da masticare, da deglutire e da digerire perché la voce di Luisito, come quella del giovane Daniele, si alza, da sola, per difendere l'innocente Susanna-Gratuità, ingiustamente condannata da due vecchi corrotti", scrive Marco D'Agostino nella postilla al volume.