8 agosto 1956: nell'aria si diffonde il suono angosciante delle sirene che annunciano un incidente alla miniera Bois du Cazier, a Marcinelle. In quel momento non si sa ancora, ma è una strage: 262 morti, di cui 136 italiani. La tragedia innesca una serie di riflessioni sulla sicurezza e accende i riflettori sulle condizioni lavorative e di vita dei minatori: sono in prevalenza stranieri che hanno lasciato i loro Paesi per fuggire dalla povertà. Qui in Belgio si sono ritrovati a svolgere un lavoro pericoloso e per cui spesso non erano qualificati, e che avrebbe poi portato tanti di loro alla morte per silicosi. A distanza di molti anni, Maria Laura Franciosi intervista i sopravvissuti e le loro famiglie, ma anche tanti altri minatori emigrati in seguito all'accordo uomo-carbone con l'Italia, e confeziona un volume prezioso che parla di miniere e lavoro, certo, ma anche di sacrificio, amore, integrazione, razzismo, malattia, speranze, passato e presente. Le vicende narrate in questo libro si intrecciano a più riprese con la storia delle Acli, le Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani che, prima e dopo la tragedia, da oltre ottant'anni sono state sempre al fianco degli italiani emigrati, sostenendoli in ogni aspetto della vita professionale e quotidiana.
Lo spirito familiare nello Stato e nella società apparso nel 1910 a Lille con il titolo L'Esprit Familial dans la Maison, dans la Cité et dans l'Etat, è tratto dal secondo volume de Il problema dell'ora presente: Antagonismo di due civiltà, una grande opera che espone la teologia della storia di mons. Delassus, pubblicata nel 1904, con una lettera di elogio del cardinale Rafael Merry del Val.
Nel quadro dell'attacco crescente alla famiglia e alla società intera, le Edizioni Fiducia propongono un'edizione critica dell'opera di mons. Delassus, curata da Fabio Fuiano e preceduta da un'introduzione di Roberto de Mattei, per mettere a disposizione dei lettori un vero e proprio tesoro della letteratura cattolica del XX secolo.
Fin dall’inizio sono stati bollati di essere un geniale falso e le motivazioni pro e contro sono tante. Il testo viene riconosciuto come un falso documentale realizzato nei primi anni del XX secolo nella Russia imperiale, in forma di documento segreto attribuito a una fantomatica cospirazione ebraica e massonica che aveva come obiettivo impadronirsi del mondo. Ma questi fantomatici piani cosa prevedevano?
«Le leggi imbrigliano le azioni, non le opinioni o le idee, questo succede nelle tirannie... Nego di aver insultato chicchessia. Ho espresso dei pareri che rimangono nel perimetro del legittimo, di
ciò che la nostra legge ci consente. Non ho usato parole volgari, ho usato espressioni forti che non possono essere ricondotte arbitrariamente a insulti...».
Un esempio? «Ho una mia idea della famiglia, ritengo che non esista il diritto alla genitorialità: non esiste né nei sistemi sociali umani, né in natura... Esiste invece quello che io chiamo il diritto
dei figli di essere cresciuti da chi biologicamente li procrea; e non possiamo trascendere da questa legge “naturale”. So che ci sono delle eccezioni, che anche nelle famiglie biologiche ci può essere
uno dei due genitori che a un certo punto viene a mancare e allora si corre ai ripari, ma non possiamo partire da un incidente di percorso per farne una regola per tutti. Io non sono assolutamente d’accordo sull’utero in affitto: a mio avviso è una sorta di “economia dell’infanzia”: i bambini non si comprano, non si cedono, non si fa tratta di bambini, anche se posso capire che vi
sia un desiderio di genitorialità. Mi dispiace, non tutto può essere esaudibile in questo mondo.
Io non posso concepire una donna usata come un forno, dove un bambino viene messo e preparato per poi essere ceduto a qualcun altro... Non voglio imporre la mia idea a nessuno, però voglio avere la libertà e il diritto di esprimerla.»
«La reazione alla pubblicazione del mio libro comprova in maniera empirica esattamente ciò che sta succedendo nella nostra società odierna. Non a caso il mio libro si intitola Il mondo al Contrario. Perché questo è il primo paradosso: viviamo all’interno di società in cui i nostri avi hanno combattuto e sono morti per la libertà e la democrazia, e dove invece, piano piano, questi concetti vengono relegati solo in alcuni aspetti. Non solo in Italia, ma in tutto l’Occidente: puoi essere democratico e libero solo entro alcuni limiti. Non ne puoi toccare alcuni punti, perché
altrimenti sei scomodo, e provano a toglierti di mezzo».
(dall’ultima intervista al Generale Roberto Vannacci inserita nel Volume)
L'AUTORE
Il Generale Roberto Vannacci è uno degli Alti Ufficiali dell’Esercito Italiano di maggior esperienza internazionale (Somalia, Rwanda, Yemen, Balcani, Costa d’Avorio, Iraq,
Afghanistan, Libia, Russia). Ha comandato il 9° reggimento d’assalto paracadutisti “Col Moschin” e la Brigata paracadutisti “Folgore”. Plurilaureato, parla sei lingue. È sposato, con due figlie.
24 marzo del 1944, Seconda guerra mondiale, in un paesino della Polonia, Markowa, viene uccisa una intera famiglia: padre, madre, sei bambini e un piccolo ancora nel grembo della mamma. Nove persone soppresse in pochi minuti, “colpevoli”, secondo i nazisti tedeschi, di avere dato ospitalità a otto ebrei, che vengono massacrati con loro. È la storia della famiglia Ulma, giusti tra le nazioni e beati per la Chiesa. Sono stati riconosciuti tutti “martiri”, compresi i bambini e, per la prima volta nella storia, anche il nascituro. Un gesto, il loro, compiuto per amore, come quello del Buon Samaritano del Vangelo.
Il volume fa luce sulle origini più profonde di una disputa iniziata molto prima del 1947, l'anno della partizione della Palestina da parte dell'ONU. Il ruolo delle religioni, lo sviluppo e la cristallizzazione delle identità, il possesso della terra, le strategie delle grandi potenze e quelle dei paesi arabi, l'antisemitismo e le discriminazioni, le prospettive dal basso degli abitanti che da oltre un secolo si contendono pochi chilometri quadrati: ognuno di questi tasselli è parte di un mosaico in cui spiccano le cicatrici della storia e vengono meno le verità assolute proprie di larga parte delle narrazioni correnti. Avere il controllo di questi luoghi millenari significa interpretarne il passato. È un aspetto che è rimasto costante nel corso dei secoli. Solo gli interpreti sono cambiati.
L'allarme per un ipotetico ritorno del fascismo guarda nella direzione sbagliata. L'attenzione degli allarmati democratici si concentra sui segnali più vistosi: gesti identitari (saluti romani, croci celtiche), violenze fisiche, manifestazioni di odio razziale. Si tratta di fenomeni esecrabili, ma appunto perché plateali forse meno pericolosi rispetto a quelli meno immediatamente evidenti: i movimenti politici che, pur ripudiando il ricorso alla violenza agita sul piano fisico (ma non su quello verbale) e pur muovendosi all'interno delle regole del gioco democratico, manifestano chiari caratteri ereditari del fascismo novecentesco. Sono quei partiti - spesso difficilmente riconducibili alle categorie di destra e sinistra - che vengono convenzionalmente definiti come populisti o sovranisti. Mentre i nostalgici dichiarati del nazifascismo non sono che un fenomeno di nicchia, i populisti europei e americani discendono, consapevolmente o inconsapevolmente, non dal Mussolini fondatore del partito fascista ma dal Mussolini che per primo intuisce i meccanismi della seduzione politica nella società di massa. Dopo anni dedicati a un corpo a corpo storico e letterario con i protagonisti del fascismo novecentesco, Scurati si solleva sopra quella materia bruciante e in queste pagine ne individua con limpida precisione le leggi e le eterne insidie, consegnandoci un testo fondamentale per affrontare l'epoca inquieta che stiamo attraversando.
Tra il 20 e il 29 maggio 1937 ebbe luogo, in Etiopia, il più grave eccidio di cristiani mai avvenuto nel continente africano: nel villaggio monastico di Debre Libanos, il più celebre e popolare santuario del cristianesimo etiopico, furono uccisi circa 2000 tra monaci e pellegrini, ritenuti ‘conniventi’ con l’attentato subito, il 19 febbraio, dal viceré Rodolfo Graziani. Fu un massacro pianificato e attuato con un’accurata strategia per causare il massimo numero di vittime, oltrepassando di gran lunga le logiche di un’operazione strettamente militare. Esso rappresentò l’apice di un’azione repressiva ad ampio raggio, tesa a stroncare la resistenza etiopica e a colpire, in particolare, il cuore della tradizione cristiana per il suo storico legame con il potere imperiale del negus. All’eccidio, attuato in luoghi isolati e lontani dalla vista, seguirono i danni collaterali, come il trafugamento di beni sacri, mai ritrovati, e le deportazioni di centinaia di ‘sopravvissuti’ in campi di concentramento o in località italiane, mentre la Chiesa etiopica subiva il totale asservimento al regime coloniale. L’accanimento con cui fu condotta l’esecuzione trovò terreno in una propaganda (sia politica che ‘religiosa’) che andò oltre l’esaltazione della conquista, fino al disprezzo che cominciò a circolare negli ambienti coloniali fascisti ed ecclesiastici nei confronti dei cristiani e del clero etiopici, con pesanti giudizi sulla loro fama di ‘eretici’, scismatici. Venne a mancare, insomma, un argine ad azioni che andarono oltre l’obiettivo della sottomissione, legittimate da una politica sempre più orientata in senso razzista. I responsabili di quel tragico evento non furono mai processati e non ne è rimasta traccia nella memoria storica italiana. A distanza di ottant’anni, la vicenda riappare con contorni precisi e inequivocabili che esigono di essere conosciuti in tutte le loro implicazioni storiche.
Fra tutti i Paesi dell'Europa orientale soggetti al giogo comunista, l'Albania è quello in cui la persecuzione contro la Chiesa cattolica è stata più violenta. Sotto il regime di Enver Hoxha, nel 1967 il Paese fu dichiarato primo Stato ateo al mondo. Tutte le chiese vennero distrutte. Dom Simon Jubani è stato uno dei tanti custodi silenziosi della fede, nei ventisei anni di carcere subiti nell'Albania comunista solo perché sacerdote. In questo libro dom Simon racconta la sua vita e il lungo periodo trascorso nelle carceri comuniste albanesi, dove subì torture tali da perdere tutti i denti. Arrestato e rinchiuso nel carcere di Burrel, in una cella di otto metri per quattro con altri 36 prigionieri, dom Simon e i suoi compagni vennero picchiati, torturati e vessati senza motivo e alcuna pietà. Durante la prigionia dom Simon scrisse queste sue memorie, per evitare che quanto subirono lui e i suoi compagni venisse cancellato dalla memoria e dalla storia. Dom Simon Jubani è nato a Scutari l'8 marzo 1927. A 16 anni iniziò la Scuola apostolica dei gesuiti. Dopo la chiusura delle scuole cattoliche, nel marzo 1946 passò al Liceo statale. Successivamente si trasferì a Tirana. Dopo aver lavorato per un periodo nell'ospedale militare della capitale, venne mobilitato nell'esercito. Nel 1957-'58 ricevette gli ordini sacerdotali e fu inviato come parroco a Mirdita, dove venne arrestato e imprigionato per 26 anni. Il 4 novembre 1990 celebrò la prima Messa pubblica, nella cappella bruciata del cimitero di Rrëmaj, alla presenza di centinaia di fedeli. Nel 1992 l'Università di San Francisco, in California, gli ha conferito la laurea honoris causa in discipline umanistiche. È morto il 12 luglio 2011, nell'ospedale di Scutari.
Per troppo tempo i rapporti tra Impero romano e comunità cristiane sono stati considerati esclusivamente in base alle politiche dei vari imperatori e non in riferimento a quei governatori che, provincia per provincia e in varia misura, rappresentavano l'impero avvalendosi di un ampio margine di discrezionalità nell'interpretazione e nell'applicazione delle norme vigenti. Tale prospettiva va, se non abbandonata, decisamente relativizzata. Questo volume si caratterizza pertanto per un aspetto profondamente innovativo: la vicenda dei cristiani viene messa in relazione con il profilo personale e culturale dei governatori di provincia che ebbero a che fare con la nuova corrente religiosa. Territori privilegiati sono l'Asia, la Siria, l'Egitto, l'Africa. Gli ampi e accurati indici analitici consentono un rapido reperimento di una grande quantità di fonti documentarie (iscrizioni, papiri, monete, scavi) solitamente ignorati nella trattatistica generale di storia del cristianesimo; questo materiale rende più puntuale e articolata la ricostruzione della vicenda degli antichi cristiani.
Una indispensabile ricostruzione storica e geografica per comprendere le origini del cristianesimo. Viene magistralmente ricostruita, per i primi due secoli dell'era cristiana, la vita di Antiochia, terza città dell'Impero e capitale della provincia di Siria, e di Efeso, sede del celebre tempio di Artemide e capitale della provincia d'Asia. Si tratta di due città di primaria importanza nel Mediterraneo orientale, entrambe determinanti per lo sviluppo e la diffusione del cristianesimo. Attraverso l'analisi del loro sviluppo e delle loro trasformazioni sarà possibile osservare i processi che portarono all'affermazione del cristianesimo e cogliere le dinamiche politiche, sociali, economiche e culturali entro cui i seguaci di Gesù costruirono e definirono la propria identità cristiana.
Nei dibattiti sul cattolicesimo democratico e sulla Democrazia Cristiana, spesso il Dossetti politico riemerge quasi come una figura mitologica giudicata o in maniera polemica oppure enfatizzata positivamente. Studiare criticamente il Dossetti politico in quest'ora drammatica per la politica italiana è importante. Assistiamo all'emergere sempre più evidente di un'instabilità della vita politica del nostro Paese che probabilmente non ha pari nella storia nazionale. Sarebbe inutile affermare che se ci fossero uomini come Dossetti la situazione politica sarebbe migliore. A noi compete leggere fra le righe della storia di uomini come Dossetti per capire che non è sempre stato così e che un'alternativa è possibile. Il libro di Gumina ripercorre la parabola politica di Dossetti attraverso il recupero della sua tensione esistenziale e credente che genera uno sguardo critico per la lettura dell'odierno scenario. Così il volume si presenta come un'opportuna e urgente occasione per tornare a pensare alla luce di una delle figure più straordinarie, e oggi dimenticate, del cattolicesimo italiano.