Perché ancora Antigone? Perché la sua autorità nell'immaginario dell'Occidente? Dopo aver analizzato alcune soluzioni offerte dalla filosofia il testo mostra la circolarità ermeneutica dell'"Antigone" in tempi come i nostri di crisi e di inquiete domande. In particolare ai nostri giorni è significativo re-interrogare l'"Antigone" proprio in uno dei suoi temi centrali: l'individuo di fronte a uno Stato e ad istituzioni più o meno autoritarie. Dall'"Antigone" può emergere un modo nuovo di concepire l'etica e la politica, grazie ad una sorta di rivoluzione morale e antropologica, che giustifica l'ipotesi qui presentata: la figlia di Edipo quale figura della diversità e paradigma del conflitto, in vista di una prassi politica altra.
La deportazione degli ebrei nei campi di sterminio rappresenta l'atto più drammatico della Seconda guerra mondiale. Un atto che fu messo in pratica dai nazisti con il solerte aiuto degli italiani, che si trattasse di militari della Repubblica Sociale o di comuni delatori. Il volume ripercorre le storie di alcuni deportati, concentrandosi sulle fasi iniziali della «soluzione finale»: l'arresto, poi il viaggio e l'arrivo sulla Judenrampe, la banchina di Auschwitz-Birkenau dove avveniva la prima selezione. È questa la prima tappa di una discesa all'inferno in cui i prigionieri cominciano a perdere lo status di esseri umani. Nei vagoni (usati solitamente per il trasporto di animali) viaggiano stretti, pressati uno all'altro, utilizzando un bidone per i bisogni corporali; i giorni e le notti si susseguono e si rischia di perdere la nozione del tempo; la fame e la sete si fanno sempre più crudeli, così come le urla dei comandi, pronunciati in una lingua incomprensibile ai più. Intrecciando le testimonianze di Liliana Segre, Primo Levi, le sorelle Tatiana e Andra Bucci, Shlomo Venezia, Pietro Terracina e Sami Modiano con quelle di altri sopravvissuti, il libro spalanca la porta su un orrore che non saremo mai in grado di comprendere fino in fondo, di cui è però necessario tramandare la memoria e mantenere salda la coscienza collettiva. Le impressioni, le sensazioni, le percezioni, che i salvati hanno restituito nelle loro memorie sono una preziosa fonte per ricostruire quell'indicibile tragedia, una ricchezza per gli studiosi, una grande pagina di letteratura civile.
Come il lancio dei dadi non ha mai una traiettoria definitiva così il gioco in filosofia manifesta una specifica precarietà, un rischio che non diventa mai necessità. Pensare il gioco diventa la consapevole assunzione di un trauma, di una rottura, di una inversione di tendenza, che contiene in sé pur sempre una grande fragilità. Se il gioco è «nemico dei filosofi», come affermava Umberto Eco, qui si affronta il tema trasversalmente - dalla filosofia all'arte, dalla teologia alla letteratura - in compagnia di quel grande giocatore-prestigiatore di concetti quale fu Borges, che costruì una sorta di contrappunto al gioco filosofico. Varie sono le poesie dello scrittore argentino su questo tema, che ci portano a tracciare la fisionomia dell'«homo ludens» e del «deus ludens».
Nell'ultimo decennio le stragi di Cefalonia e Corfù hanno ricevuto particolare attenzione da parte non solo degli studiosi, ma anche dei media e di esponenti delle istituzioni. Questo rinnovato interesse si è inserito in un contesto storiografico ricco e articolato, da cui è maturato un nutrito filone di studi che ha ridefinito l'approccio allo studio delle "Resistenze". A partire dagli anni Novanta, il biennio 1943-1945 è stato letto e interpretato alla luce di nuove categorie analitiche, che hanno fatto emergere la pluralità dei soggetti in campo, conferendo spessore alla presenza di donne e di uomini e alle loro azioni individuali e collettive, e hanno restituito visibilità a gesti fondamentali per la ricostruzione di quel tessuto di solidarietà che è fondamentale per la realizzazione della cittadinanza democratica. Il volume, oltre a fare il punto sullo stato dell'arte della storiografia sul tragico evento, offre i contributi di studiosi rappresentativi di varie generazioni storiografiche, che accompagnano il lettore attraverso una delle pagine più drammatiche della storia dell'Italia in guerra.
In un momento di crisi verticale, in cui l'intero edificio dell'economia di mercato barcolla, aprendo faglie anche nel relativo modello di scambio sociale, si ripropone con un'impellenza sconosciuta ai teorici del Novecento la questione di ripensare e praticare un'etica diversa da quella mercantile. È la logica del dono, che tradizionalmente si colloca sul versante opposto rispetto all'utile e al profitto. Quale rilievo assoluto avesse nelle società arcaiche lo abbiamo appreso dai classici dell'antropologia. Ma come si configura qui e ora un agire libero, gratuito, disinteressato, rischioso, accogliente, perfino scandaloso nella sua radicalità? L'unico modo per non cadere nella trappola idealizzante di un'antitesi tra egoismo e altruismo, spesso appiattita sulle figure più stereotipate del sacrificio di sé, è riflettere sulle ambivalenze dell'idea di dono, sui paradossi del soggetto donante, e immaginare quale nuova grammatica relazionale possa nascere "oltre la società degli individui". È un compito che affrontano insieme filosofi morali, teoretici e sociali, economisti, teologi e bioeticisti, in un libro corale, punto di approdo delle più avanzate prospettive antiutilitaristiche.
Il volume offre gli strumenti critici essenziali per comprendere l'opera di Paul Ricoeur alla luce delle diverse prospettive storiografiche. Francesca Brezzi analizza il contesto in cui il filosofo francese ha operato, ne analizza le opere, offre una cronologia della vita e delle opere, presenta la storia della critica e un'ampia bibliografia.
Analisi profonda e completa di tutto l'itinerario filosofico e teologico percorso da Ricoeur sui fondamenti della fede cristiana e il suo significato per l'uomo d'oggi.