La globalizzazione non è un fenomeno
recente. Perché non ha ancora
eliminato la diversità culturale? La storia
mescola da secoli le nostre civiltà.
Tuttavia, il panorama culturale del pianeta
mostra un livello di diversità complessiva
elevato e sostanzialmente
costante nel lungo periodo.
Questo può derivare da diversi
motivi: siamo più sensibili alla diversità
proprio perché scarseggia o perché
abbiamo migliorato la nostra capacità
recettiva; oppure ancora (e questo non
esclude la precedente spiegazione)
ordine e disordine culturale si creano
insieme. Se fosse così, non dovremmo
solo difendere una diversità creatasi,
chissà come, in passato, ma preoccuparci
di assicurare le migliori condizioni
per la sua riproduzione oggi.
Quali sono queste condizioni? Due
filoni di pensiero sono alla base del
ragionamento: quello della complessità
e quello evolutivo.
Il primo ci dice che l’emergere di sistemi complessi, in
questo caso aggregazioni discrete, coerenti, che rompono
il continuum del disordine culturale rendendosi riconoscibili,
è possibile in condizioni lontane dall’equilibrio, al
cosiddetto “margine del caos” (la frontiera cui allude il
titolo). Sfortunatamente le politiche culturali contemporanee,
soprattutto quelle dei musei, non rispettano queste
mostrano una tendenza verso l’equilibrio:
una bella parola nel linguaggio
quotidiano, ma un concetto pessimo
per l’evoluzione della vita, anche di
quella culturale.
Il secondo ci dice che l’evoluzione è
una partita complessa, che si gioca su
più livelli: individuale, di specie e di
ambiente collettivo. Solo quando si
realizzano determinati cambiamenti,
coerenti fra loro a ogni livello, si ha
evoluzione vera, ossia duratura.
Sfortunatamente le politiche che pretenderebbero
di far evolvere i musei, si
limitano il più delle volte a modificarli
su un piano definibile, in analogia con
la biologia, somatico e lamarkiano ma
non genetico. Incentivi e disincentivi,
regole e standard, possono produrre
mutamenti anche visibili, ma effimeri:
come quelli di un atleta i cui muscoli si
sono formati in palestra, non dureranno
nelle generazioni successive.
La conclusione è che nuove e più efficaci politiche
museali dovrebbero essere più indirette, operare “lungo la
frontiera” e occuparsi di modificare l’ambiente in cui si
muovono le creature culturali, più che di modificare direttamente
le creature stesse. E’ un cambiamento profondo e
coraggioso, necessario per dare un futuro alla straordinaria
bellezza che osserviamo nel mondo.
Maurizio Maggi è nato nel 1956 a Torino. Laureato in Scienze politiche con indirizzo economico, ricercatore dirigente dell’Ires, ente di
ricerca della Regione Piemonte. Ha insegnato presso Università Statale, Cattolica, Politecnico e Bocconi di Milano, Università di
Goteborg, Valencia e Bilbao oltre che per diversi Master universitari a Torino; autore di numerosi testi di economia della cultura e di
museologia. Fra gli altri: Economia e politica dei beni culturali (1993, con Luigi Bobbio), Ecomusei: cosa sono e cosa possono
diventare (2001, con Vittorio Falletti), Ecomusei. Guida Europea (2002). Ha pubblicato su riviste di museologia internazionali
(Museum International, International Journal of Cultural Heritage, Chinese Museum) e italiane (Rivista di Economia della Cultura,
Nuova Museologia). Impegnato sul campo nella comunità di pratica ecomuseale Mondi Locali.
L'amore non è cieco solo per gli innamorati: del resto, come si può dare limiti al sentimento? Ma quando si tratta di papà e mamma, le conseguenze sono sotto i nostri occhi, basta guardarsi intorno, nei luoghi pubblici come a scuola: bambini ingestibili, svogliati, accontentati in ogni desiderio eppure mai soddisfatti, incapaci di sopportare un'osservazione o un rifiuto. Sono quegli stessi ragazzini che, spesso, finiscono per mettersi nei guai. Siamo diventati una società fintamente bambinocentrica, in cui i voleri del bambino hanno conquistato priorità su tutto: sull'armonia famigliare e della coppia, sulle considerazioni finanziarie, sull'educazione, sul rispetto per gli altri. In una parola, sul buon senso. Per anni i media e perfino alcuni esperti hanno ammonito i genitori: i bambini devono prendere parte alle decisioni, devono essere stimolati continuamente, sentirsi appagati, e fare le loro scelte. Il dire no è diventato sinonimo di meschinità o autoritarismo. E i bambini cosa ne hanno ricavato? Che la famiglia prima e il mondo dopo dovrebbero ruotare intorno a loro, che ogni desiderio è legge. Ovviamente, l'industria e i pubblicitari se ne sono accorti per primi. La soluzione esiste, e non è certo quella di amarli di meno, ma meglio. Significa riacquistare il valore di educatori, trasmettere loro il senso di responsabilità verso gli altri e verso se stessi. Insegnare a gestire l'impazienza, e anche la noia, che "è l'ingrediente dal quale sboccia la vera creatività".
In questo libro Lidia Maggi ricerca nelle Scritture quei fili sottili che consentono di narrare le meraviglie di Dio e la storia della salvezza con voce femminile. Pagine in cui, all'interno di una storia spesso coniugata al maschile, fanno capolino figure di donne che con la loro presenza offrono testimonianza di un Dio che sfugge alle semplificazioni religiose e di un libro che riserva continue sorprese ai lettori disponibili ad aguzzare la vista. Pagine che spingono a recuperare la sapienza di uno sguardo penetrante, capace di leggere l'inedito e lo "straniante" rispetto a letture più tradizionali, per scorgere quel Dio che ama nascondersi dietro i dettagli e agire tramite figure ai margini.
Amedeo Maiuri è stato uno dei più grandi archeologi del Novecento. La sua infaticabile attività, durata più di mezzo secolo, spazia da Creta, Rodi e le isole del Dodecaneso fino alla Campania, dove ha compiuto clamorose scoperte soprattutto a Pompei, Ercolano, Cuma e nelle altre aree archeologiche dei Campi Flegrei. L'autore di questo saggio definisce "magica" l'archeologia di Maiuri perché è evocatrice di fatti e personaggi del passato, che risultano vivi e attuali, ben diversa, quindi, dall'archeologia intesa come studio di oggetti.
Questa è la storia di Simone. Siamo in un parco alla periferia di Torino, uno spiazzo un po' brullo riecheggiante di grida gioiose, di cigolii d'altalena, di mamme che chiamano ad alta voce i loro figli. Ma è anche un terreno di caccia, per qualcuno che se ne sta tranquillo su una panchina a osservare quello che succede intorno a lui, ad aspettare il momento buono. Per alzarsi, avvicinarsi. Magari regalare due parole dolci, fare una carezza. Qualcuno che il protagonista di questa scioccante storia vera chiama il Falco. Se questa storia è stata scritta, è perché il bambino di allora oggi è cresciuto, ma il Falco è rimasto a lungo con lui, come un dolore sotto pelle, un disagio quotidiano durante gli anni della crescita, per manifestarsi in attacchi di panico improvvisi, mentre l'adolescenza sembrava scorrere normale come quella di molti suoi coetanei. E proprio quando Simone sembrava aver rimosso tutto quanto, ecco che il Falco si ripresenta nella sua vita.
Andando dagli anni della formazione di Antonio Gramsci ai "Quaderni", l'autore ritrova le costanti intellettuali di scritti legati alla contingenza politica, ma retti da una prospettiva fìlosofica radicale, quella che è stata riassunta nell'espressione "filosofia della rivoluzione". In Gramsci si vuole comprendere "l'espressione culturalmente più significativa e politicamente più complessa del dramma rivoluzionario vissuto dall'intellettuale nel novecento. La vicenda spirituale del novecento, italiano ed europeo, attende ancora la compiuta catarsi del riconoscimento storico. Di tale riconoscimento lo studio di Gramsci, che di quella vicenda impersona il livello culturale più alto, si rivela a questo punto un passaggio essenziale" (dalla Premessa dell'autore).
La Bibbia, ' codice culturale dell'Occidente', può ancora svegliare emozioni, suscitare pensieri vitali, aprire squarci inediti? E tutto questo anche su registri non necessariamente seriosi, ma arguti ed umoristici? Molto dipende dall'atteggiamento interiore di chi vi si accosta. Tuttavia l'inedito e l'ironico non sono solo negli occhi di chi legge, frutto di letture proiettive. Il testo stesso delle Scritture invita a battere questi sentieri, opponendo alla tentazione della presunzione di sapere già ed al logoramento dell'abitudine una strategia narrativa capace di sorprendere e spiazzare il lettore. Il libro mostra che cosa può ancora accadere, di nuovo e di intrigante, quando il Primo ed il nuovo Testamento vengono letti con gli occhi di una donna: una donna cristiana che svolge il ministero pastorale nella chiesa battista.
Un manuale articolato in quattro filoni: i fattori protettivi, il riconoscimento del problema, gli strumenti di intervento e, infine, un percorso di sostegno alle persone in difficoltà e alcuni strumenti di valutazione dei singoli incontri o dei percorsi nel suo complesso. Completo di schede di lavoro già sperimentate da impiegare direttamente nelle classi, il manuale mira a potenziare le possibilità di intervento degli educatori chiamati a condurre percorsi educativi. Il Cd-Rom allegato presenta materiali di supporto alle attività per avviare la discussione nel gruppo-classe, oltre che ulteriori proposte di approfondimento.
Un libro scritto in forma paradossale per illustrare un paradosso ancora maggiore: la strategia divina che si serve del "niente" umano per realizzare cose divine. L'autore riesce a darci, con il minimo di parole, il più e il meglio dell'esegesi biblica e della contestualizzazione socio-culturale riguardo a Maria.
I vangeli sono stati scritti per suscitare la fede in Gesù di Nazaret. Numerosi sono gli interrogativi o i problemi che la lettura di essi comporta; problemi che sorgono anche dall'uso di un linguaggio espressione di una cultura molto diversa dalla nostra. Qui, una serie di riflessioni rivolte ai "non credenti" che tentino un primo approccio ai vangeli e ai "credenti" che desiderino scoprire le ricchezze in essi nascoste.