C'è oggi una sorta di «fatica a essere giovani»: è la difficoltà delle nuove generazioni a vivere in pienezza la propria età, in un tempo in cui tutti - a prescindere dal certificato di nascita - fanno di tutto per essere e restare giovani. Questo dilagante «amore per la giovinezza» rende semplicemente impossibile la vita di coloro che giovani lo sono davvero, gettando alle ortiche la generatività, ovvero quel tratto qualificante dell'età matura che si preoccupa di mettere al mondo, crescere, educare e poi lasciare spazio. Generatività significa soprattutto suscitare curiosità e domande cruciali: perché esisto? Per chi e per cosa vale la pena vivere? Il Bene, la Verità, Dio sono invenzioni dell'uomo pensante o realtà a cui affidarsi? Secondo la lucida analisi dell'autore, è anzitutto per questa ragione che «i giovani di oggi non solo non credono più nelle religioni, nei partiti, nel futuro, nella società, ma hanno proprio smesso di declinare il verbo "credere"», perché è chiaro che se non vengono provocate le grandi questioni nel cuore dei ragazzi, nessuno di loro mai si sognerà di andare a cercare le risposte nelle istituzioni civili o religiose. Il sempre più evidente dato del mancato riferimento al Vangelo da parte dei giovani - la loro incredulità - dipende da un vuoto di testimonianza o, meglio, dalla testimonianza di un vuoto da parte di quell'adulto postcristiano incarnato dalle loro mamme e dai loro papà. Non ci si può occupare del rapporto dei giovani con l'esperienza del credere, senza tenere presente che da esso dipende il destino delle società e delle chiese, un destino sempre più incerto.
A dieci anni quasi dalla sua prima apparizione, "La prima generazione incredula" viene ora ripubblicata in versione aggiornata e ampliata. Quella del difficile rapporto tra i giovani e la fede è, in verità, questione sempre più decisiva per una Chiesa che non voglia ridursi ad un piccolo club di vecchi affezionati. Di più. Senza riallacciare significativi rapporti con giovani, non c'è futuro per la Chiesa, almeno qui in Occidente. Tutto questo mentre all'orizzonte si staglia - secondo l'esplicita diagnosi del "Documento preparatorio" del Sinodo sui giovani, fortemente voluto da papa Francesco per l'ottobre del 2018 - una generazione che nella sua componente maggioritaria non si pone "contro", ma che sta imparando a vivere "senza" il Dio presentato dal vangelo e "senza" la Chiesa, e che più in generale arranca a crescere a causa della presenza di adulti di riferimento non solo meno credenti, loro stessi, ma sempre meno credibili già solo dal punto di vista umano. Qui è davvero tutto in gioco. È finito il tempo di una pastorale del cambiamento. È tempo di un cambiamento di pastorale. Prefazione di Enzo Bianchi.
Nessuno, ma proprio nessuno di noi, cittadini dell'Occidente avanzato, accetta più di considerarsi o di venire considerato "vecchio". A qualsiasi età qualcuno muoia, muore giovane. Anzi: troppo giovane. E tutto ciò perché la vecchiaia nel nostro tempo è scomparsa, ostracizzata, resa oscena, diventata non più degna di venire a parola, praticamente espulsa dal ciclo naturale dell'esistenza umana. Siamo messi così di fronte all'effetto più conturbante che l'odierno fenomeno della longevità di massa ha sull'immaginario diffuso: grazie ad essa, non si pensa di avere oggi una vita semplicemente più lunga dei nostri antenati, il cui ultimo tratto si chiama appunto vecchiaia, naturalmente proiettato sull'evento della morte. Si ritiene piuttosto di avere a propria disposizione più vite, più esistenze, più possibilità, più occasioni, in cui ricominciare sempre daccapo e grazie alle quali potersi sentire sempre giovani e disponibili a nuovi cambiamenti e progetti, eterni tirocinanti nel laboratorio dell'esistenza. In ogni caso mai adulti o vecchi o semplicemente mortali. Ed è per questo che si muore sempre troppo giovani ed alla realtà della morte viene tolto quel valore di questione ultima e decisiva per la qualità della vita stessa. Questo libro interroga in profondità tali cambiamenti, la loro ripercussione nell'ambito delle relazioni educative e sociali, ed infine il loro effetto sulla pratica della fede, mai immune da ciò che tocca l'umano che è comune.
Un astronauta e un teologo discutono del senso del limite, della fame della scoperta, dell'avventura umana che si gioca tra gli estremi di uno sconfinato orizzonte di curiosità e di ricerca, e i limiti naturali e morali che gli esseri umani hanno imparato a darsi, nel corso della storia. Tra gli spazi siderali delle imprese cosmonautiche e gli abissi dell'anima umana, un dialogo ricco di sorprese e di provocazioni.
Al di là dell’idolo delle competenze e dell’idea che basti Google per farci conoscere il mondo, riscopriamo il vero senso dell’insegnare e dell’apprendere: conoscere è una questione di cuore. Che ci fa assaporare meglio la realtà.
Le opere di misericordia per un cristianesimo semplice.
L'invidia è da sempre una potente 'macchina' capace di innescare una carica di energia dirompente, tutta negativa e ben difficile da gestire. Alimenta il desiderio di ferire l'altro, che appare felice e prospero come nessun altro, con quel dolore che ora ferisce me. Per Armando Matteo questa 'passione triste', culla di tanta infelicità umana e cifra caratteristica della mentalità diffusa, alimentata dalle sempre più forti spinte al consumo e al possesso come tratto distintivo di sé, altro non è che un 'male degli occhi': lo sguardo si riempie della condizione fortunata dell'altro, che appare ineguagliabile e lontana, unica e inafferrabile. Come guarire dallo sguardo invidioso? La suggestione di questo breve saggio è che la cura stia nel tema evangelico del 'vedere bene', che non a caso sta al cuore di molte guarigioni operate da Gesù. Accettando la differenza dell'altro come voluta e benedetta da Dio, posso giungere a ribaltare la direzione dello sguardo, a cogliere l'intrinseca bellezza della mia stessa alterità e da qui partire per un cammino di felicità.
Da secoli la fortezza silenziosa della Chiesa cattolica è la presenza delle donne: sono loro che principalmente trasmettono la fede alle nuove generazioni e sono sempre loro che con generosità portano a compimento numerosi ministeri ecclesiali. Eppure all'orizzonte appaiono i primi segni di rottura di questa intesa. Protagoniste di un tale cambiamento di rotta sono soprattutto donne che hanno tra i 20 e i 40 anni: vanno di meno a Messa, scelgono di meno il matrimonio religioso, pochissime ancora seguono una vocazione religiosa, e più in generale esprimono una certa diffidenza verso la capacità educativa degli uomini di religione. Prima che sia troppo tardi, è questa l'ora di provare a rinegoziare i termini di una nuova alleanza tra la Chiesa e le donne.
Il testo accoglie l'invito che Benedetto XVI ha rivolto alla comunità ecclesiale con la proposta del cortile dei gentili: l'invito a prendersi a cuore la vicenda dei non credenti, degli atei e degli agnostici, a farsi cioè carico della mancata provocazione della questione Dio nella loro esistenza.
È possibile che il Dio raccontato agli uomini da Gesù sia diventato oggi «sconosciuto» agli stessi credenti, oltre che a quelli che si ritengono non credenti? Cosa succede se questo Dio diviene, per tutti, poco più che un semplice affare di Chiesa? E la stessa Chiesa, al mistero di quale Dio si pone a servizio? Per parlare di Gesù a credenti e non, atei e agnostici, l’autore sceglie un leitmotiv intrigante, vale a dire la presentazione del Figlio come uomo «infinitamente contento di stare al mondo». Gesù rivela un Dio desideroso di servire l’umano e un uomo bisognoso degli occhi di Dio per non smarrirsi nei sentieri dell’esistenza. La grande scoperta è che il cristianesimo non vuole imbrigliare e mortificare l’energia vitale dell’uomo, non si lascia rinchiudere in un passato remoto da replicare, non illude nessuno con promesse di benessere a buon mercato, ma invita l’uomo a conquistare il mondo senza perdere l’anima.
Destinatari
Tutti coloro che sono interessati al dialogo tra credenti e non credenti.
Autore
ARMANDO MATTEO, nato a Catanzaro nel 1970, è docente di teologia presso la Pontificia Università Urbaniana in Roma e l’Istituto Teologico Calabro «S. Pio X» in Catanzaro. Dal 2005 è assistente ecclesiastico nazionale della FUCI. Ha pubblicato numerosi testi sul destino del cristianesimo nel nostro tempo, alcuni tradotti anche all’estero. Sul «Messaggero di sant’Antonio» cura la rubrica «Giovani e...».
Perché il messaggio di felicità che Gesù ha portato sulla terra non fa più breccia nel cuore dei giovani? Perché i nostri ventenni stanno alla larga dalle pratiche di fede e di preghiera? Dove sono finiti le ragazze e i ragazzi della GMG?
Di fronte a tale situazione e più in generale all'irritualità che segna molti comportamenti giovanili, ci si ripete solitamente che i "giovani non sono più quelli di una volta", avallando la rassicurante idea che sia "normale" il loro non essere normali.
Il libro, al contrario, interroga sul serio l'inedito che il modo di vivere e di credere/non credere dei giovani manifesta. individua così al fondo del loro cuore la ferita di un grido di speranza, in mezzo a una società che ama più la giovinezza che i giovani.
E' da questo cricco che bisogna ripartire. Per il loro futuro, per il futuro della società, per il futuro della Chiesa.
Armando Matteo è Assistente ecclesiastico nazionale della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana).
Il cristianesimo non si intende più da sé. Le sue parole centrali, i suoi gesti, la sua morale e la sua teologia suonano estranei al cuore e alla vita degli uomini e delle donne di oggi. È diventato come "una lingua straniera". E credere risulta ogni giorno più difficile. In che modo siamo giunti a tale stato di cose? Quali le cause prossime e quelle remote? Quali le possibilità perché la fede cristiana ritrovi smalto e forza di convinzione? E soprattutto: in quale maniera debbono affrontare i credenti il loro attuale essere "come forestieri" in mezzo a un mondo che ha imparato a cavarsela senza Dio? Questi sono gli interrogativi al centro del saggio, che si propone dunque come una "piccola guida" per comprendere e vivere il nostro tempo.
Attraverso otto parole, che descrivono l'orizzonte di ciò che normalmente chiamiamo "studio", l'autore invita a scoprire quanto sia profondamente ricco e arricchente il gesto quotidiano del chinarsi sui libri e immergersi nel mondo della conoscenza. Nella presentazione, Francesco Lambiasi definisce infatti lo studio un allenamento per vivere, un'occasione di crescita della libertà, una finestra aperta sul cielo. Il volume dà avvio a una collana di formazione per giovani universitari, dedicata alla "spiritualità dello studio".