È dal mito di Achille che l’umanità aspira a rendersi invulnerabile, a dotarsi di una corazza capace di garantire sicurezza per sempre. Per quanto comprensibile, è un desiderio vano, un’illusione che abbaglia. Non solo: coltivare questo pensiero magico significa innescare il meccanismo per cui le paure, lungi dal venir sconfitte, si ingigantiscono. Finiamo così per diventare vittime inconsapevoli di chi ci promette un qualche soccorso. Solo l’accettazione della vulnerabilità permette di affrontare in modo razionale l’incertezza futura basandosi sul calcolo dei rischi e sul bilancio costi-benefici. Infatti, mentre l’invulnerabilità si situa su un piano di fantasia (se non di delirio), la vulnerabilità ha a che fare con la gestione di pericoli reali: meglio dunque non perdere tempo con la prima quando si può ridurre efficacemente la seconda.
Ci sono amori che quando finiscono ti scaraventano in un baratro, senza appigli per venirne fuori. Non ti sostengono il conforto degli amici né le spiegazioni che provi a darti. Puoi solo raccogliere ogni briciola di coraggio rimasta e trovare la forza di alzare lo sguardo cercando una luce. Cosa hanno in comune una moglie e un'amante? Un timido ragazzo di provincia e una donna andata in sposa a un generale dalle mille stellette? Sono uomini e donne che hanno sofferto per amore con «storie diverse per gente normale», come avrebbe cantato Fabrizio De André. In queste pagine s'intrecciano i grovigli dolorosi di Paola, Domitilla, Tommaso e Carla: raccolti da Alessandra Arachi e interpretati da Paolo Crepet per scandagliarne la mente e i comportamenti. Un racconto denso e articolato in cui gli autori scelgono di stare dalla parte in ombra dell'amore, quella parte di cui altrimenti finisce per occuparsi solo la cronaca nera. I due autori scavano nel vissuto dei protagonisti nel tentativo di aiutare loro a capire il significato delle sconfitte e noi tutti a riconoscerci e a ritrovare noi stessi. Perché la vita è un lavoro duro, soprattutto quando si cade e quando di mezzo ci sono i nostri sentimenti, la parte più fragile e sconosciuta della nostra anima.
Grazie alla neuroplasticità, ogni volta che interagiamo con l'ambiente e con le macchine, i nostri neuroni mutano: si potenziano o si atrofizzano, attivano nuove connessioni o interrompono quelle già esistenti. La struttura del cervello è simile a una materia liquida e viscosa, capace di riplasmarsi. Dato che oggi molti stimoli ambientali provengono dalle tecnologie, che riescono a incastonarsi nelle nostre abitudini quotidiane, il rapporto tra mente e macchine diventa fondamentale. Quando utilizziamo un sistema digitale o un utensile "intelligente" ne subiamo l'azione. Ciò non è necessariamente un male, ma è indispensabile analizzare il fenomeno con un approccio multidisciplinare, che tenga conto degli aspetti tecnologici, psicologici e sociologici. Ad esempio, le macchine anti-edonistiche - sviluppate con il fine di delegare la forza di volontà alla tecnologia - stanno cambiando radicalmente l'essenza della nostra umanità. Calcolatrici e navigatori satellitari provocano la fossilizzazione cognitiva della mente. La digitalizzazione dei rapporti sociali ci fa innamorare con modalità imprevedibili. Macchine che stimolano in maniera incoerente la vista e il tatto possono potenziare le capacità sensoriali. Le modalità di condizionamento sono molte e variegate e di alcune abbiamo poca consapevolezza malgrado la loro diffusione. Forte di un'attiva ricerca nel settore della robotica e dell'intelligenza artificiale, Paolo Gallina mescola con equilibrio e ironia risultati scientifici ed esperienze quotidiane, facendoci comprendere i meccanismi consci e inconsci con cui la mente si fa condizionare, aiutare o persino "violentare" dalle macchine.
Nell'era dell'attesa ossessiva di un "like" che esalti l'ego, era nella quale l'"io" sembra neanche più intravedere il "tu", tutto diventa pressoché irrilevante se non viene confermato dallo "share", dalla certificazione di essere stati riconosciuti, osannati, acclamati... Ma è questo il vero successo? L'uomo lo raggiunge davvero se, inseguendolo e cercando la propria autocelebrazione, dimentica l'"altro da sé"? Paola Versari, con la sua esperienza di psicoterapeuta, quasi avesse in mano un pennello da artista, dipinge l'attuale, imperante cultura narcisistica, la quale, identificando il successo nella triade "celebrità-potere-denaro", finisce per costituire una mera illusione, un insidioso auto-inganno, piuttosto che il veicolo per il raggiungimento di un'autentica realizzazione esistenziale. Il pensiero del grande psichiatra austriaco V. E. Frankl - sopravvissuto ai campi di concentramento e che è stato capace di trovare un successo esistenziale nei luoghi di dolore - fa da traino a questo testo e aiuta a comprendere come solo dedicando la propria vita a un compito e all'incontro con l'altro sia possibile pervenire al successo autentico. Una tale consapevolezza, il riconoscere e il vivere il vero successo, aiutano a ribaltarne il senso comune. È unicamente il successo autentico che apre alla vita vera, a quella che appaga pienamente e regala attimi di felicità ineludibili, pregni di un significato che non conosce inganno.
Una delle insidie più pericolose e sottovalutate della nostra epoca, in cui le nuove tecnologie digitali funzionano come un rallentatore cognitivo ed emotivo che rende tutto apparentemente fattibile e fruibile senza sforzo, è il progressivo deperimento - se non addirittura l'estinguersi - della passione, quella sfida lanciata al mondo e a se stessi per continuare a migliorarsi, a sperare, a sognare. Ma poiché, senza passione, non c'è una vita vera né una visione del futuro, in primo luogo del proprio, l'unico modo per non arrendersi a questa perdita è invocarla, provocarla, inseguirla, raccontarla. È quello che fa Paolo Crepet componendo un inventario di storie e riflessioni, attinte dalla propria esperienza esistenziale e professionale, che ruotano attorno a questa parola sacra, in tutte le sue accezioni e declinazioni. Perché spiegare ai giovani che cosa significhi la passione, il fuoco interiore necessario per tenere accesi i propri desideri e cercare di soddisfarli, è oggi un compito fondamentale, se si vuole davvero «sostenerli nella scoperta e costruzione di sé, alimentare la loro gioia, coltivare i loro entusiasmi, non anestetizzarli o assopirli». E siccome gli esempi valgono più delle parole, il libro è impreziosito dalle testimonianze di tre campioni di passione: Paolo Fresu, straordinario jazzista acclamato in tutto il mondo; Alessandro Michele, che ha rivoluzionato il panorama internazionale della moda, e Renzo Piano, tra i più celebrati architetti contemporanei. Tre uomini molto diversi per età, formazione e biografia, ma accomunati da un'inconfondibile caratteristica: l'inossidabile entusiasmo che anima il loro lavoro e l'assoluta fedeltà ai sogni di gioventù, che ne ha reso possibile l'avverarsi. Le loro storie ci insegnano che la passione è basata su ostinazione, tenacia e un'incontenibile urgenza di libertà, ed è un meraviglioso traghetto che trasporta e preserva la speranza di una vita stupefacente. Non è un viaggio facile, e nemmeno per tutti, ma la meta è così speciale che ognuno ha il dovere di dimostrare se ha il coraggio di affrontarlo.
Un tempo il coraggio - nella sua accezione di ardimento fisico - era solo opera dell'umano, poi le macchine se ne sono impossessate: non più il guerriero armato delle sue proprie mani, ma di mitragliatrici, carri armati, lanciafiamme, cacciabombardieri. Un po' come accade ora con la tecnologia: fino a trent'anni fa occorreva pronunciarsi, scrivere, telefonare, dunque esporsi. Oggi si può comunicare, anzi si è indotti a farlo, senza un'interfaccia umana, dunque senza rischio, senza paura di compromettersi. E le umane virtù vengono delegate a ciò che umano non è. Così, anche il coraggio e la forza d'animo che vi è intrinsecamente connaturata stanno diventando sempre più un'astrazione virtuale, svuotata di senso, per uomini e donne che vagano senza bussola, giovani accecati dal presente e vecchi incartapecoriti nel ricordo. Per fronteggiare «la più grande urgenza sociale odierna», Paolo Crepet propone a genitori, educatori e, in particolare, a quei «nativi digitali» che si accingono a esplorare la propria esistenza in una società ipertecnologica un «ipotetico inventario» di alcune declinazioni del coraggio in vari ambiti dell'esperienza umana (il coraggio di educare, di dire no, di ricominciare, di avere paura, di scrivere, di immaginare, di creare...). Un inventario concepito come un'associazione di idee, un 'brain-storming', un esercizio utile per stimolare adulti e non ancora adulti a ritrovare la forza della sfacciataggine e la capacità di resistenza che la vita ogni giorno ci chiede. Ma in queste pagine Crepet parla soprattutto di un'altra e più ambiziosa forma di coraggio. Quella che dobbiamo inventarci per creare un nuovo mondo, se non vogliamo che siano altri a inventarlo per noi; quella che i giovani devono riscoprire per non ritrovarsi tristi e rassegnati a non credere più nei loro sogni; quella che tutti devono scovare in se stessi per iniziare un rinascimento ideale ed etico. Perché, alla fine, il coraggio è la magica opportunità che permette di capire il presente e di costruire il futuro.
Un tempo il coraggio - nella sua accezione di ardimento fisico - era solo opera dell'umano, poi le macchine se ne sono impossessate: non più il guerriero armato delle sue proprie mani, ma di mitragliatrici, carri armati, lanciafiamme, cacciabombardieri. Un po' come accade ora con la tecnologia: fino a trent'anni fa occorreva pronunciarsi, scrivere, telefonare, dunque esporsi. Oggi si può comunicare, anzi si è indotti a farlo, senza un'interfaccia umana, dunque senza rischio, senza paura di compromettersi. E le umane virtù vengono delegate a ciò che umano non è. Così, anche il coraggio e la forza d'animo che vi è intrinsecamente connaturata stanno diventando sempre più un'astrazione virtuale, svuotata di senso, per uomini e donne che vagano senza bussola, giovani accecati dal presente e vecchi incartapecoriti nel ricordo. Per fronteggiare «la più grande urgenza sociale odierna», Paolo Crepet propone a genitori, educatori e, in particolare, a quei «nativi digitali» che si accingono a esplorare la propria esistenza in una società ipertecnologica un «ipotetico inventario» di alcune declinazioni del coraggio in vari ambiti dell'esperienza umana (il coraggio di educare, di dire no, di ricominciare, di avere paura, di scrivere, di immaginare, di creare...). Un inventario concepito come un'associazione di idee, un 'brain-storming', un esercizio utile per stimolare adulti e non ancora adulti a ritrovare la forza della sfacciataggine e la capacità di resistenza che la vita ogni giorno ci chiede. Ma in queste pagine Crepet parla soprattutto di un'altra e più ambiziosa forma di coraggio. Quella che dobbiamo inventarci per creare un nuovo mondo, se non vogliamo che siano altri a inventarlo per noi; quella che i giovani devono riscoprire per non ritrovarsi tristi e rassegnati a non credere più nei loro sogni; quella che tutti devono scovare in se stessi per iniziare un rinascimento ideale ed etico. Perché, alla fine, il coraggio è la magica opportunità che permette di capire il presente e di costruire il futuro.
Il libro presenta terribili testimonianze di vita, direttamente raccolte nelle carceri, nelle comunità di recupero, per le strade, da giovani violenti. Contro la frequente e comune rimozione sociale che accompagna il proliferare dei comportamenti giovanili violenti, criminali, devianti, Paolo Crepet tenta di comprendere, e far comprendere, da dove traggano origine tali condotte e, al di là del contesto degradato, suggerisce quanto anche il decadimento delle nostre relazioni affettive e l'indisponibilità all'ascolto possano influire sulla diffusione della criminalità tra i giovani.
Questo libro, della collaudata collana «Cattedra del Confronto», affronta tre delle emozioni che più sembrano caratterizzare il nostro tempo. La paura - sociale, religiosa, etnica, affettiva - la rabbia - quotidiana, politica, televisiva, lavorativa - e lo stupore - che troppo spesso è sconcerto o semplice fascinazione. Attorno a queste tre, e ai legami che creano e distruggono, si confrontano gli autori di questo libro. Sono prospettive e voci differenti: lo psicanalista Luigi Zoja si confronta con la biblista Rosanna Virgili sulla paura, madre di tante emozioni e azioni; lo scrittore Paolo Nori ci provoca sulla rabbia, faccia a faccia con lo psicologo-teologo Stefano Federici che ci ricorda che l'ira è perfino divina; il filosofo Silvano Petrosino s'interroga sullo stupore e sulla bellezza incrociando la storica dell'arte e direttrice di Religion Today Katia Malatesta. «Le nostre relazioni con gli altri sono segnate dalle emozioni. L'incontro con l'altro non è mai semplicemente neutro. Gli altri si odiano o si amano, ci odiano o ci amano, ma la gamma delle emozioni è sterminata: gli altri possono essere noiosi, affascinanti, imbarazzanti, spaventosi, accoglienti, fastidiosi o rabbiosi, esasperanti o esasperati, inermi, divertenti, ingombranti, leziosi» (dall'introduzione di Andrea Decarli)
Dire di "sì" agli altri significa fidarsi, aprirsi e avere una solida fiducia in se stessi. Perché i "si" rendono vulnerabili, esposti alle delusioni, sono la spinta che fa accadere cose ignote e, dunque, potenzialmente allarmanti. Paolo Ragusa, esperto di mediazione e gestione di conflitti, spiega in questo libro come dire "sì" all'apertura e alla fiducia negli altri senza rinunciare alla nostra Identità. Per vivere, attraverso le mosse giuste, in maniera appagante un'esistenza appagante piena di relazioni feconde. E di tante, bellissime sorprese.
Rispondere al cellulare mentre guidiamo l'auto, mandare sms mentre camminiamo per strada, leggere e nel frattempo ascoltare musica, scrivere una mail e parlare a chi ci sta di fronte: spesso, non senza correre qualche rischio, facciamo molte operazioni contemporaneamente. In un mondò saturo di sollecitazioni e informazioni, come funziona l'attenzione? Gli autori ce lo raccontano, illustrando i meccanismi che la regolano, sfatando il mito del multitasking, rivelando i segreti di chi vuole catturarla a scopi più o meno manipolativi. E attirano - è il caso di dire - la nostra attenzione sui "superstirnoliartificiali di cui si nutrono arte e pubblicità.
L'anoressia pone una questione etica, nella misura in cui espone il soggetto a dilemmi fra pulsioni di crescita e desiderio di perfezione, tra difesa della vita e ricerca d'emancipazione, tra un insaziabile bisogno di relazioni e la cura di un'autonomia narcisistica. Il rifiuto del cibo esprime l'incerta reazione adolescenziale alle sorprendenti esperienze della pubertà, in cui emergono possibilità promettenti e sviluppi minacciosi. Imbrigliato in una situazione-limite e assediato da rischiosi conflitti di senso, chi soffre di disturbi alimentari elabora una propria visione del mondo e insegue un ideale normativo, giustifica le proprie valutazioni morali e difende una certa immagine di bene e di salute. Il volume delinea l'organizzazione valoriale che ruota attorno alla paura di aumentare di peso, svolgendo una serie d'indagini preliminari: l'analisi delle opzioni morali veicolate indirettamente dalla psicoterapia e dalla psichiatria, le narrazioni mitiche che influiscono sulle cornici simboliche personali, l'esame di alcuni testi cinematografici sull'ambiguità semantica del pasto, le alternative concettuali ben note alla filosofia e alla teologia (i dualismi mente/corpo, norma/desiderio, ragione/passioni, sesso/genere). Attraverso e nonostante i sintomi, il soggetto tenta, in forme pericolose e aggressive, di prendersi cura di una sofferenza profonda, facendo di sé un'opera degna, in cui la dolente verità del corpo emaciato possa comunicare una nuova figura di bellezza. Il disturbo alimentare svela così la componente estetica dell'esperienza morale.